la Repubblica, 4 dicembre 2017
«Così ascolto le voci della natura». Intervista a Bernie Krause
ROMA Un’orchestra che non conosce pausa. Ma suona per un concerto senza fine. È il mondo visto da Bernie Krause, naturalista e musicista che ha iniziato con George Harrison, Peter Gabriel e Stevie Wonder. In cinquant’anni anni non ha mancato una nota: neppure il vento che taglia le fronde dei pini, il frullio d’ali dei colombi, lo zampettio delle formiche. Ha registrato tutto, viaggiando per il globo con novanta chili d’attrezzatura. «Per fortuna oggi basta uno zaino» racconta. Così ha regalato ai posteri un enorme archivio di ogni sbuffo della Terra: 4.500 ore di registrazioni e oltre 15mila specie catalogate.
Gli incendi che hanno messo in ginocchio la California lo scorso ottobre, lasciando oltre 20mila senza un tetto, hanno distrutto apparecchiature e nastri originali. Ma le copie digitali sopravvivono e Krause, a quasi 80 anni, non si arrende: «Abbiamo perso ogni cosa: la casa, i gatti, il nostro passato, dobbiamo ripartire dall’essenziale». Ora sta lavorando ad alcune mostre e a un nuovo libro, il sesto, che anticipa a Repubblica. «Un saggio sul potere curativo del suono, quando si ascolta la musica giusta. Il consiglio? Spegnere il cellulare, correre il più lontano possibile dalle città. E restare in silenzio».
Come ha iniziato?
«Non vedo bene e da sempre, per me, il mondo prende forma grazie ai suoni. Quando ho scoperto che le melodie della natura mi calmano, non ho più smesso di ascoltarle. Un salvavita: mi hanno allontanato dalle droghe che non uso da quarant’anni. E aiutato con un disturbo dell’attenzione, insegnandomi a mantenere la concentrazione durante le ore di registrazione, restando immobile».
Il primo audio catturato?
«L’urlo di un’orca. Ero in barca ed è stato come vedere il volto di Dio».
Lei è tra i pionieri dell’ecologia del paesaggio sonoro.
«Ci sono i suoni non biologici, come il vento tra le foglie, i movimenti della Terra o le onde dell’oceano.
Poi quelli prodotti dall’insieme di organismi viventi. Infine, i suoni degli esseri umani. Ogni habitat ha una voce unica».
Ha notato dei cambiamenti?
«Il numero di creature presenti in un ecosistema oggi è radicalmente diminuito, al pari della loro diversità. Una conseguenza del riscaldamento globale. È un ammutolimento del mondo naturale. Il nostro rumore sta diventando predominante dove non avevamo messo piede. E anche se gli animali si adattano, non basta. James Watt, segretario degli Interni di Reagan, disse: “Più rumorosi siamo, più potenti sembriamo”. Lo dimostrano Trump o Berlusconi».
Ci sono suoni scomparsi?
«Sì, moltissimi. In alcune parti della Germania è sparito il 70 per cento degli insetti presenti alla fine dell’estate. Lo stesso vale per l’Africa, il Sud e il Nord America».
Conseguenze sugli esseri umani?
«Una società sempre più folle.
Stiamo perdendo il senso della vita e del suo valore. Un cambiamento è fattibile, smettendo con il consumo sfrenato. Io non ho più nulla».
Speranze per il futuro?
«Non sono ottimista. Ma vorrei che più persone si mettessero in ascolto per capire come la fragile voce del mondo sta cambiando».