Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  dicembre 04 Lunedì calendario

Russia ai Giochi, arriva il verdetto. Stefania Belmondo: «Punire solo i dopati»

Un’Olimpiade senza Russia non si vede dal 1984 e il Cio non ha proprio voglia di ritirare su il muro, dividere il mondo, impoverire i Giochi, ma domani a Losanna si vota e ignorare le ragioni che portano al bando dell’intera nazione potrebbe essere complicato.
Sochi 2014 è stata una truffa eppure Stefania Belmondo, bandiera del fondo italiano, che si è vista consegnare a casa un bronzo olimpico due anni dopo la gara proprio per colpa di una dopata russa, a sorpresa, dice: «Non escludeteli».
Belmondo a Salt Lake City, nel 2002, ha vinto un oro sulla neve, ha visto un bronzo diventare argento tra il traguardo del pomeriggio e il podio della sera e ha ricevuto la decima medaglia olimpica della carriera via posta: «È arrivata in un sacchetto». Ogni classifica è cambiata per colpa di una russa dopata.
Se fosse seduta al tavolo del Cio cosa voterebbe?
«Lascerei a casa i positivi, punirei duramente i colpevoli, dal massaggiatore all’alta carica: chiunque la giustizia sportiva abbia trovato coinvolto. Ma lascerei la Russia dentro i Giochi».
Anche se è stato provato che a Sochi c’era un sistema legato al loro governo?
«È come a scuola: se fai una nota a tutti alimenti solo il senso di ingiustizia, non insegni niente. Bisogna dare la responsabilità a chi ha sbagliato, non a pioggia».
Mi scusi, ma se dopo i Mondiali in Finlandia, nel 2001, quando già si parlava di doping collettivo per i russi, li avessero squalificati, lei avrebbe vinto le medaglie in diretta nel 2002.
«Si parlava proprio di doping di stato, come oggi, solo che allora non c’erano prove del sistema. Comunque significa che a Salt Lake City io ho vinto un oro contro il doping di stato nella 15 km. Non si può guardarla dal punto di vista del dopato, lui o lei non meritano un secondo della mia riflessione, io penso al giovane innamorato dello sport che ha lavorato duro per la sua prima Olimpiade. Uno che non ha sgarrato, è entrato magari nell’élite dopo le schifezze di Sochi e adesso rischia di essere confinato a casa per il comportamento di chi l’ha preceduto. È un pensiero deprimente».
C’è chi suggerisce la via neutrale.
«Sarebbe a dire?».
Niente bandiera, niente inno, niente divisa. Viene ammesso solo chi ha superato test indipendenti.
«Non mi dice nulla. Che senso ha? Le Olimpiadi sono speciali perché gareggi per la tua nazione, togli il patriottismo dai Cinque Cerchi e li sgonfi. Se penso a uno dei miei successi senza tricolore... anche solo la foto rende molto meno».
Del suo bronzo del 2002 non ha neppure una foto però, sul podio al posto suo c’era una dopata.
«In effetti è triste come lo è stato ricevere quella medaglia in un sacchetto. In origine stavano in un’elegante scatola di radica, la mia era svestita. C’era solo un biglietto, “congratulations miss Belmondo”. Suonava come uno scherzo».
Con il tempo ha fatto pace con quella medaglia?
«Rappresenta un traguardo storico: è la decima vinta ai Giochi. Mi sento sempre scippata di una grande emozione quando ricordo come l’ho avuta. Proprio per questo non potrei mai togliere qualcosa a un atleta pulito. E in Russia ci sarà persino qualcuno che era presente nel 2014 e non ha barato».
Così però si rischia di dare un lasciapassare a un sistema intero.
«Ecco, allora cambiamo la punizione. Mettiamo multe pesantissime per chi ha contribuito alla truffa, in tutti ruoli. Radiamo a vita i colpevoli, quelli certi. Tutti: allenatori, dirigenti, medici, politici. Nessuno deve più poter fare un singolo passo nel mondo dello sport».
Guarderà le Olimpiadi di PyeongChang?
«Certo che sì, anche se sono felice di non gareggiare oggi».
Perché?
«La sci di fondo è cambiato, tutte le specialità sprint aggiunte lo hanno geneticamente modificato. Ora è solo potenza, forza di braccia: non si scia più, si spinge. Questione di gusti, io ringrazio di aver vissuto un’altra epoca».
L’Italia troverà un campione in questa epoca?
«A Pellegrino manca solo un risultato importante per cambiare dimensione, in Corea può centrarlo. È pronto».
Le sarebbe invece piaciuto fare le staffette miste?
«Quelle sì, è una grande idea e mette donne e uomini sullo stesso piano. Avrei adorato battermi insieme con i miei compagni di squadra».