Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Poiché le proteste contro l’America non si fermano e risultano cortei anche a Parigi, in Australia, alle Maldive, c’è da da chiedersi se non vi siano pericoli anche per il nostro Paese. Il ministero dell’Interno pensa che sia meglio essere prudenti e così il dipartimento di Pubblica Sicurezza ha invitato prefetti e questori ad «aumentare l’attività di vigilanza» specialmente intorno ad obiettivi americani, britannici e tedeschi. Una particolare attenzione è raccomandata a Firenze, perché, oltre al consolato americano, ci sono una ventina di università statunitensi e decine di sedi industriali e bancarie legate agli Stati Uniti. Altro motivo di preoccupazione: il capodanno ebraico, che cade stanotte. Il ministro degli Esteri Terzi ha poi confermato che c’è un’allerta generale nelle ambasciate italiane nel mondo.
• Che incidenti ci sono stati, ieri?
Di ogni tipo e ovunque. Farei forse prima ad elencarle i posti dove non è successo niente. Al Cairo è temporaneamente tornata la pace solo perché, dopo essere riuscita a sgombrare la piazza Tahrir e il viale che porta all’ambasciata Usa, la polizia ha costruito un muretto di calcestruzzo che impedisce a chiunque di passare. Il bilancio è di un morto e 99 feriti (12 funzionari e 87 soldati). I governativi hanno ripreso il controllo anche della base Onu nel Sinai, presa d’assalto l’altra sera da gruppi jihadisti che vi avevano issato una bandiera nera con la scritta «Non c’è altro Dio all’infuori di Allah». Alcuni contestatori esigono l’espulsione dell’ambasciatore americano al Cairo, senza sapere o senza capire che il loro presidente Morsi sta facendo il giro del mondo per chiedere soldi e che Washington s’è già detta disposta a saldare il debito egiziano, cosa impossibile in caso di rottura delle relazioni diplomatiche. La situazione è particolarmente grave a Tunisi, dove il bilancio degli scontri di questi giorni è di quattro morti, 49 feriti, 68 macchine incendiate (fonte: Tunisie Numerique, ritenuta attendibile). I feriti salafiti sono stati portati in un ospedale diverso da quello dove sono ricoverati gli agenti feriti, questo per evitare scontri tra le famiglie. Politicamente, la Tunisia ha preso le distanze dai terroristi: «Abbiamo piena fiducia che questi atti irresponsabili non influenzeranno gli amichevoli legami tra Tunisi e Washington». Così il loro ministero degli Esteri. Stanno cercando un noto salafita, lo sceicco Abou Iyadih, che avrebbe avuto una parte importante nei disordini dei giorni scorsi.
• Perché dice “terroristi”? Siamo certi che siano tutte azioni premeditate?
Al Qaeda ha ribadito ieri che l’attacco di Bengasi e la conseguente morte di quattro americani, tra cui l’ambasciatore Chris Stevens, sono stati una risposta all’assassinio di Sheikh Abu Yahya al-Libi, loro numero due. Nel comunicato esorta a continuare nelle proteste e ad attaccare soprattutto le ambasciate americane in Medio Oriente, Africa, Occidente. I qaedisti yemeniti hanno detto che sarà bene, d’ora in poi, sparare su qualunque americano ci si trovi di fronte. In ogni caso: la matrice di quello che è successo e sta succedendo si capirà meglio alla fine degli interrogatori di quattro arrestati in Libia, dove sono state identificate, come partecipanti al massacro, una cinquantina di persone.
• Gli americani non hanno mandato truppe in Medio Oriente per proteggere i loro connazionali?
Leon Panetta, segretario di Stato, dice che piazzeranno marines in 17-18 località. Le autorità sudanesi e yemenite hanno pero rifiutato il permesso: le loro ambasciate americane non potranno essere protette dalle truppe di Washington.• Che altro s’è saputo del film?
Google ha respinto la richiesta, avanzata dal Dipartimento di Stato, di rimuovere il trailer da YouTube. Non abbiamo spazio per occuparcene, ma è in corso un gigantesco dibattito in tutto il mondo sulla necessità di difendere in Occidente la libertà d’espressione. Il trailer non è comunque più visibile in India, Indonesia, Egitto e Libia. In Pakistan sono stati chiusi 112 siti. Quanto alla banda di produttori, regista, attori, s’è scoperto che le prime tracce della società di produzione (la altrimenti ignota Pharaoh Voice poi acquistata da “Youssef M. Basseley” e domiciliata a Hawaiian Gardens, Los Angeles sud, stesso indirizzo del produttore-truffatore Nakoula) risalgono al 2006 e che il bando per il reclutamento degli attori era apparso sul magazine “Backstage” nel 2009. Si cercava gente disposta a lavorare per “un’avventura storica ambientata nel deserto” prodotta da “Sam Bassiel” (era stato scelto un titolo di due parole Desert Warriors). Il regista dovrebbe essere Alan Roberts, al secolo Robert Brownell, 65 anni, specializzato in semi-porno. La polizia sta interrogando Nakoula, che forse, essendo già stato condannato, non aveva il permesso di andare su internet. Il “Los Angeles Times” scrive che uno dei consulenti per la sceneggiatura, Steve Klein, è stato minacciato di morte, ma non intende nascondersi. Dietro tutto ci sarebbero i fondamentalisti cristiani di Media for Christ.
• Il Papa?
Il Papa, nel suo viaggio in Libano, è accompagnato tronfalmente dai rappresentanti di tutte le religioni. A Beirut e Sidone pattuglie presidiano non solo le sedi diplomatiche, ma anche i fast food KFC, McDonald’s, Burger King e Pizza Hut. Benedetto XVI ha tra l’altro pronunciato questa frase meravigliosa: «In Libano, la Cristianità e l’Islam abitano lo stesso spazio da secoli. Non è raro vedere nella stessa famiglia entrambe le religioni. Se in una stessa famiglia questo è possibile, perchè non dovrebbe esserlo a livello dell’intera società?».
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 16 settembre 2012]