Mario Deaglio, la Stampa 16/9/2012, 16 settembre 2012
SE LA FED SPARA CON IL BAZOOKA DELL’INCERTEZZA
Probabilmente già da domani la Fed, la banca centrale degli Stati Uniti, comincerà a comprare sul mercato finanziario americano titoli a reddito fisso di ogni genere al ritmo di circa 1,3 miliardi di dollari (un miliardo di euro) al giorno. Con quali risorse? Con quelle che la stessa Fed «stamperà» sul momento gonfiando complessivamente la liquidità di 40 miliardi di dollari al mese. Per quanto tempo? Fino a quando ce ne sarà bisogno, ossia finché l’occupazione, la cui crescita è bassa, insufficiente a riassorbire i 7-8 milioni di lavoratori resi disoccupati dalla crisi, non darà segni di duratura risalita.
Anni prima della sua nomina, Bernanke, il governatore della Fed, aveva spiegato che seguire questa strategia equivale a stampare banconote, caricarle su un elicottero, alzarsi in volo e buttarle su una città: la gente le raccoglierà e comincerà a spenderle e spendendole rilancerà l’economia.
L’ aneddoto gli valse il soprannome di «Helicopter Ben» ed è la terza volta in quattro anni che «Helicopter Ben» riempie di miliardi di dollari nuovi di zecca l’elicottero della Fed per spargerli sull’economia americana. Le due volte precedenti, i dollari di Ben non sono riusciti né a dar vita a una vera ripresa né a ridurre sufficientemente la disoccupazione; è stato soltanto possibile tenere a galla l’economia americana, al massimo farla muovere a velocità complessivamente bassa.
Perché mai i soldi lanciati sull’America dall’elicottero della Fed non producono risultati? Perché, prima ancora di toccar terra, vengono intercettati e risucchiati verso impieghi, sparsi per il mondo, diversi dal finanziamento delle imprese. Le banche nelle quali approdano i nuovi dollari hanno infatti motivi ragionevoli per non prestarli ai piccoli imprenditori della California o del Massachusetts, con prospettive rese problematiche dalla crisi e investirli invece in titoli «artificiali», dal rischio controllato, dal risultato apparentemente meno incerto, legati alle speculazioni sulle materie prime e ad altre operazioni puramente finanziarie.
Nelle due volte precedenti, quindi, i dollari a bassissimo costo messi a disposizione dell’economia hanno stimolato soprattutto operazioni finanziarie sul petrolio o sull’oro e non investimenti nell’economia reale, fallendo così l’obiettivo di mettere l’America e il mondo al riparo da una perdurante precarietà e suscitando ostilità verso il dollaro. Brasile e Cina hanno eretto barriere fiscali per difendersi dall’«invasione» di «biglietti verdi», molti Paesi hanno deciso di non usarli più nei loro scambi reciproci. E l’euro, dato per spacciato da autorevoli commentatori americani all’inizio dell’estate, si è apprezzato di circa il dieci per cento da quando la nuova manovra della Fed ha cominciato a prendere corpo.
Errare è umano, perseverare nell’errore è diabolico. Perché allora il governatore Bernanke – e con lui tutta la finanza americana – insiste addirittura per la terza volta in una politica scarsamente efficace? A questa domanda ci sono almeno tre risposte parziali che possono variamente combinarsi tra loro. La prima è che il governatore è probabilmente convinto di non avere, nelle volte precedenti, né fatto abbastanza né perseverato abbastanza a lungo. Il «bazooka» che questa volta ha imbracciato immetterà ogni giorno molti più dollari nuovi delle volte precedenti e lo farà senza limiti di tempo predeterminati. A questo punto, anche se al signor Smith arriveranno soltanto le briciole, si tratterà di briciole piuttosto corpose e l’economia potrebbe ripartire.
La seconda risposta è che l’America della finanza non conosce altre strategie che quella di accelerare sulla via della finanza. L’idea che si possa intervenire sul finanziamento delle banche, separando in qualche modo i flussi puramente speculativi da quelli «normali», destinati al finanziamento delle imprese, proprio non è popolare oltre Oceano. I progetti di penalizzazione finanziaria dei capitali speculativi vengono accolti con orrore da chi fa della finanza fine a se stessa la ragione della propria vita professionale. E quindi, come i medici durante le epidemie del passato, anche i banchieri centrali al tempo delle crisi tendono a ripetere le uniche strategie delle quali hanno veramente esperienza, indipendentemente dai risultati.
La terza risposta è più maliziosa e ci si deve augurare che entri solo marginalmente nelle ragioni di questa strategia: la Fed non vive sotto una campana di vetro e tiene conto delle elezioni incombenti. Di regola, non gioca mai contro un Presidente in carica che chiede al Paese di essere rieletto e anzi cerca, sia pure discretamente, di favorirlo un poco. Per Barack Obama, arrivare alle urne tra sette settimane con una Borsa euforica e un’economia ottimista può fare la differenza tra vittoria e sconfitta. A urne chiuse e a risultati proclamati, tanti problemi scomodi – come quelli che hanno portato molte banche a essere pesantemente multate dalle autorità di vigilanza – potranno appropriatamente riaffiorare.
Tutto ciò porta la Fed a stampare moneta al cospetto di un mondo inquieto. I titoli che acquisterà dal mercato con queste operazioni saranno, in genere, di bassa qualità e ridurrà la qualità dell’attivo del suo bilancio, già assai meno solido di quanto non fosse prima della crisi. L’incertezza sarà drenata dai mercati che festeggeranno e arriverà dritta al centro del sistema finanziario americano e mondiale; sistema che è pronto a un altro giro di valzer, più difficile e pericoloso di quelli che l‘hanno preceduto.