Giani Mura, la Repubblica 16/9/2012, 16 settembre 2012
IL KILLER DEI PUNTI E DEL BUONSENSO
Venerdì i giornali ci hanno detto che nel tennis potrebbe arrivare il killer point. La prima reazione è che può restare dov’è, non ne sentiamo la mancanza. La seconda è che potrebbero chiamarlo in altro modo. La terza è che la colpa è nostra. Ma andiamo con ordine. Nel mondo del tennis sono ossessionati dai tempi morti in rapporto ai ritmi televisivi. Così morti i tempi non sono, sono elastici, li sfrattano per metterci pubblicità e fin qui nulla da ridire. Mi piacerebbe una difesa d’ufficio dei tempi morti, ossia quelli in cui si sente di più il gusto della vita, ma non è questa la sede più opportuna. Anche i giornali, paragonati a quelli di dieci-quindici anni fa, hanno l’imperativo del fast. Lasciamo stare e torniamo al tennis. Si pensa a un accorciamento in Davis (due set su tre anziché 3 su 5) e tolleranza zero per chi sfora il limite di 25’’ a disposizione di chi batte. Sempre per ridurre i tempi, in caso di parità a 40 non più 2 punti di vantaggio per aggiudicarsi il gioco ma 1 solo, il killer point. Tanto varrebbe chiamare terminator la palla-partita, o match-ball. La colpa infine è nostra perché la parola killer l’abbiamo imposta, abbinandola a: nebbia, pioggia, neve, api, vespe, zanzare, vipere, squali, cani, caldo e freddo eccessivi, motoscafi, funghi. Da questa alluvione si sono fortunatamente salvati Henry e Arthur Miller e Tex Willer, ma il killer è sempre in agguato e le vittime sono la lingua italiana
e il buonsenso.
Il discorso sembra abbastanza coinvolgente se lo mettiamo in questi termini: è la vita, di cui lo sport fa parte, a doversi adattare alle esigenze della televisione oppure no? La pallavolo è già diventata un altro sport, rispetto a quello che era, coi cambi-palla. Una volta contava anche la resistenza allo sforzo, tant’è che le partite molto lunghe, come del resto nel tennis, si definivano maratone. Chi stabilisce se è più avvincente un set che si conclude 7-6 oppure 14-12? Il golden gol (già sepolto) era nato come Sudden Death (morte improvvisa). E poi dicono di sdrammatizzare. Mettiamoci nei panni, alquanto larghi, di Taylor Townsend, 16 anni, tennista nera, numero 1 nelle classifiche mondiali Under 18. Un’ottantina di chili per 168 cm d’altezza: così non va bene, la federtennis Usa le ha tagliato i fondi. Si è iscritta agli Open a sue spese e ha vinto il doppio, ma non è bastato. Né è bastato che in sua difesa intervenissero campionesse di ieri e di oggi, da Martina Navratilova a Serena Williams, che non ha escluso una discriminazione anche razziale. Nello sport, che è per vecchia abitudine di tutti e per
tutti (alcuni un po’ meno), ogni discriminazione è da combattere. Perché la tivù non è mai contenta, le cedi un dito e punta alla mano, le dai le mano e ipoteca il braccio. In nome del ritmo. Si dà il caso che ritmo abbia un anagramma gentile, che fa pensare alle corone d’alloro (mirto) e uno più fosco (morti). Ma questo è un gioco.
Tanto vale farne un altro. Murdoch e i padroni delle tivù che sganciano fiori di milioni, si disamorano del pallone e trasmettono solo partite di poker. Calcio in crisi. Oppure: Murdoch e soci vendono tutto a uno sceicco straricco, il quale decide che non andranno più in onda calciatori tatuati. Calciatori in crisi. Non tutti. Intervistato sulla Stampa di ieri, Cerci dice di Ventura: «Ora sa che mi devo allenare in un certo modo per far rendere al meglio il mio fisico devastante». Cerci non ha detto «fisico importante», dunque 6, ma ha detto «fisico devastante», dunque 4. Spiegazione: siamo devastati dall’aggettivo devastante. Poco più in là, sempre su Ventura, dice: «Nell’anno di Pisa ogni sera passata in ritiro mi parlava per un’ora e mezza». Questo dettaglio vale un 7 a Ventura. Non so se Mourinho l’avrebbe fatto. Va be’ che Ventura non è Mourinho. Infatti, stando a una tabella pubblicata sul Giornale, guadagna 500mila euro a stagione, come in B. In A è all’undicesimo posto di una lista guidata da Allegri e Mazzarri (2,5 milioni) e chiusa da Stroppa (250mila). Gli allenatori italiani più costosi (Mancini, Capello, Ancelotti, Spalletti) si sono sistemati all’estero, ma la classifica del Giornale consente di dire che è tramontato il primo comandamento di Helenio Herrera. Lo disse appena arrivato all’Inter e recitava più o meno così: il più pagato della rosa dev’essere
l’allenatore.
In tutte le squadre di A, il più pagato della rosa non è l’allenatore, oggi. E’ un viale del tramonto per le panchine, in chiave pallonara. Delle altre panchine, quelle sparse nelle città e nei paesi, che mi stanno molto più a cuore, si tratterà un’altra volta. Chiede la precedenza Flavio Briatore, che ai giovani italiani consiglia: «Andate all’estero, tanto qui non succede nulla». Ma no, qualcosa succede. Da martedì sera, su Cielo, andrà in onda “The Apprentice”, ovvero, come “trasformarsi in una macchina da soldi” (trascrivo dal Giornale). In gara sedici giovani selezionati tra oltre cinquemila aspiranti. Sarà Briatore a valutare i loro comportamenti, a bocciare e a promuovere, e alla fine sarà lui ad assumere il numero uno, il vincitore. Sinceri auguri, più al vincitore che agli altri quindici.