
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Invece la frase di Berlusconi sulla settimana corta ha avuto successo e ieri l’hanno approvata persino il segretario di Rifondazione Paolo Ferrero e soprattutto il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani.
• Lavorare meno per lavorare tutti?
Bravo, qualcosa del genere. In conferenza stampa Berlusconi ha detto che l’idea gli piace e che il governo ci sta pensando. In Germania la Merkel ha puntato anche sulla settimana corta per convincere le aziende a non licenziare. I tedeschi votano il prossimo 27 settembre e la cancelliera non vuole arrivare alle elezioni con le file di disoccupati fuori dalle fabbriche. Gli economisti prevedono che le imprese taglieranno nel 2009 600 mila posti di lavoro, ma la Merkel terrà in gennaio una riunione con le trenta aziende del Dax – l’indice che alla Borsa di Francoforte raggruppa i titoli più capitalizzati – e chiederà loro semplicemente di non mandar via nessuno. In cambio, ammortizzatori sociali, e cioè settimane corte con stipendi più bassi reintegrati da contributi statali, e corsi di formazione retribuiti. La Daimler ha già fatto sapere che dall’inizio dell’anno nuovo applicherà la settimana corta in almeno quattro stabilimenti e fino a che non sarà pronta la nuova E-Class. Lei sa che la Germania ha problemi molto gravi, si prevede un calo del Pil del 2% e il governo dovrà chiedere un prestito di almeno 30 miliardi.
• In Italia si seguirebbe lo stesso sistema?
Sì, e per realizzare la cosa abbiamo in pratica già tutto: cassa integrazione e contratti di solidarietà. I contratti di solidarietà non sono molto amati dalle aziende perché devono riguardare tutti e non tutti i reparti invece possono essere tagliati allo stesso modo, un’idea che il sindacato accetta con difficoltà. In ogni caso, col contratto di solidarietà ognuno rinuncia a un pezzo di retribuzione e sta al lavoro, in proporzione, meno tempo. Lo Stato integra quasi completamente il mancato guadagno dei lavoratori. La cassa integrazione a rotazione applica un principio non troppo diverso. Oggi vado in cassa io, domani tu, l’azienda non paga le giornate di lavoro non lavorate e io e te prendiamo – anche se non prima di sei mesi – una buona parte della differenza dallo Stato. Ci possono essere liste di lavoratori che ruotano e liste di lavoratori che non ruotano, a seconda delle specificità produttive. In questo modo si potrebbe ruotare il sabato o, per le ditte che normalmente non lavorano il sabato, il venerdì o il giovedì. Poi ci sono i corsi di formazione.
• Andare a scuola?
I corsi di formazione esistono da decenni e formalmente servono a riqualificare i lavoratori, istruendoli in qualcosa che serve e che loro non sanno ancora fare. I soldi li amministrano le Regioni e, mi dispiace dirlo, molte volte sono solo delle perdite di tempo, meccanismi di sottogoverno per distribuire soldi a questi o a quelli, quelli che insegnano, quelli che imparano, le strutture che li organizzano (spesso fondazioni). Sia Berlusconi, di sfuggita nella conferenza stampa, che Sacconi ieri a Repubblica hanno detto che ci vorrebbe un’Autorità di vigilanza che sorvegli su come vengono distribuiti i soldi degli ammortizzatori sociali.
• Ci sono trucchi?
Nessuno dei due lo ha detto. Epifani, che vuole un tavolo di confronto tra le parti subito, sul punto non si è pronunciato, mentre Ferrero s’è espresso contro: «Serve solo a creare altri superburocrati, con stipendi da 3-400 mila euro». Questa Autohority sembra in effetti inutile: per proclamare lo stato di crisi e concedere la cassa integrazione il ministero del Lavoro chiede una controfirma del sindacato, senza la quale è difficile godere degli ammortizzatori sociali. Il tavolo è perciò già abbastanza affollato: ministero, impresa, rappresentanti dei lavoratori sia nazionali che locali. Più i consulenti. Come mai il governo pensa che ci voglia anche un’Authority?
• Come mai?
I soldi per gli ammortizzatori sociali sono già stati portati a un miliardo (erano 600 milioni) e Sacconi ha detto che la dote sarà aumentata ancora. Evidentemente, esaminando i casi del passato – sia relativamente alla cassa che ai corsi di formazione – il governo deve aver constatato o subodorato una manica troppo larga. Questi dubbi, per ora inespressi, fanno il paio con l’altra preoccupazione di segno opposto: che gli industriali, profittando della crisi e manovrando sui bilanci, facciano apparire difficoltà che non ci sono o procedano a ristrutturazioni selvagge, superiori alle necessità reali. Ricordiamo che la cassa integrazione e i contratti di solidarietà sono ben applicati quando, usciti dalla crisi, i lavoratori ritrovano tutti il loro posto e l’impresa riprende serenamente il cammino. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 23/12/2008]
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