Internazionale 775 (Elise Vincent, Le Monde), 23 dicembre 2008
Com’è nata la rivolta di Atene. Gli altoparlanti sono sistemati sui tavoli e gli striscioni usati nelle manifestazioni della mattina vengono piegati e messi via
Com’è nata la rivolta di Atene. Gli altoparlanti sono sistemati sui tavoli e gli striscioni usati nelle manifestazioni della mattina vengono piegati e messi via. Poi, il pomeriggio di mercoledì 10 dicembre, prendono la parola i militanti. Le loro voci roche si susseguono in un’affollata aula all’ultimo piano della facoltà di diritto nell’università di Atene. Dopo cinque giorni di disordini è il momento dell’assemblea generale, organizzata in una delle roccaforti dei militanti di sinistra. Tutte le sigle che fanno capo a questa galassia ribelle – Eek, Ekke, Okde, e così via – vogliono far sentire la loro voce. La discussione dura ore. Qualche studente comincia a sbadigliare. Dopo il successo dei primi giorni, tutti ora temono che la mobilitazione possa improvvisamente inire. Per tenere in vita il movimento gli studenti cercano convergenze politiche: un’operazione molto dificile considerando le diverse posizioni politiche. I primi a mobilitarsi sono stati gli anarchici: appena un’ora e mezzo dopo la morte di Alexis Grigoropoulos (il giovane quindicenne ucciso da un poliziotto nella notte tra il 6 e il 7 dicembre ad Atene) hanno scatenato le prime violenze. L’omicidio era avvenuto nella loro roccaforte, il quartiere di Exarchia. Vestiti di nero e con la testa coperta dai cappucci delle felpe, gli anarchici hanno guidato la guerriglia urbana nelle strade della capitale, partendo dal politecnico, il loro quartier generale. Un’università arcaica In Grecia il movimento anarchico ha una lunga storia: è nato nel 1974, subito dopo la caduta del regime dei colonnelli. Ma la violenza e la capacità di mobilitazione mostrate in questa occasione hanno sorpreso tutti. Difidenti e chiusi, i militanti anarchici, circa duemila in tutto, si riiutano di parlare con la stampa. Alle loro azioni, alcune delle quali sfociate in saccheggi, si sono uniti molto presto i igli degli immigrati, spesso privi di documenti in regola e mal inseriti nella società. I giovani nati in Grecia da genitori stranieri non acquistano automaticamente la cittadinanza. Sulla scia degli anarchici si sono poi mobilitati gli studenti dei licei. Poche ore dopo la morte di Grigoropoulos, sono stati i primi a organizzare una manifestazione, facendo girare la voce attraverso internet, le chat e gli sms. ”Abbiamo usato il sito di social networking Hi5, a cui sono iscritti quasi tutti gli studenti greci”, spiega Jason. Quindici anni, minuto, con i capelli scuri e gli occhi verdi, fa parte di uno dei gruppi di giovani che seguono la mobilitazione in ogni scuola della capitale. Nelle università i professori sono costantemente in contatto con i ragazzi, rappresentati dai sindacati studenteschi, in particolare quelli di estrema sinistra. ’Questa volta non è stata una minoranza a imporre la linea alla maggioranza. Tutti erano d’accordo”, afferma Nikos Dimou, scrittore e attento osservatore della società greca. Gli studenti hanno deciso di scioperare e di occupare due facoltà con una votazione di maggioranza. Agli universitari si è unito un gran numero di giovani tra i 20 e i 35 anni, conosciuti in Grecia come la ”generazione 600 euro”. Una mobilitazione così capillare ed eficace di gruppi tanto diversi è stata possibile grazie ai network organizzati durante le violente proteste del 2006 contro un progetto di privatizzazione del sistema scolastico. In quell’occasione studenti dei licei, universitari, professori e anarchici hanno manifestato insieme, e da allora – spiega Themistoklis Kotsifakis, segretario generale del sindacato degli insegnanti Olme – hanno mantenuto rapporti informali ma regolari. Secondo Nikos Dimou, anche la rivolta studentesca del 1974 ha avuto un peso considerevole negli avvenimenti degli ultimi giorni. Nell’immaginario collettivo quella protesta è considerata la causa principale della caduta del regime dei colonnelli. In realtà la storia è più complessa, ma il mito è ancora in piedi e continua ad affascinare i ragazzi. L’ultimo fattore che ha reso possibile le mobilitazioni è rappresentato dalla rabbia crescente contro un sistema universitario arcaico e troppo slegato dal mondo del lavoro. Per entrare all’uni versità bisogna superare delle prove di ammissione. Dalla graduatoria dipendono il corso di laurea e l’ateneo in cui si studierà. Il risultato è che un ragazzo di Atene che vuole iscriversi a medicina può inire a studiare teologia sull’isola di Rodi. Inoltre la storia e la religione continuano a essere affrontate secondo schemi molto nazionalistici. A causa delle incongruenze del sistema ogni anno decine di migliaia di ragazzi e ragazze greci lasciano il paese per andare a studiare all’estero. La mozione finale Dopo cinque giorni di disordini, le proteste sono arrivate a un punto decisivo. I giovani chiedono le dimissioni del governo ma sanno che la migliore vetrina per la loro mobilitazione è la guerriglia urbana. Molti, però, sono preoccupati per la piega presa dagli eventi. Intanto il governo di Costas Karamanlis, per quanto indebolito, si è detto ”pronto a fare delle concessioni se le violenze dovessero inire”. Ma nella galassia di associazioni, gruppi e sindacati studenteschi non è facile trovare un accordo. C’è chi chiede la ine dell’occupazione delle università e chi invece vorrebbe mantenerla. Inoltre, da un punto di vista formale, mancano dei rappresentanti eletti in modo trasparente. Per molti questo dettaglio non è un problema, ma per altri – per esempio l’organizzazione giovanile comunista – la presenza di delegati eletti è una condizione necessaria per la partecipazione alle assemblee. L’incontro alla facoltà di diritto si svolge in modo caotico. Alla ine la mozione approvata è la seguente: ”Mantenimento della chiusura delle università e delle occupazioni, manuali gratuiti per tutti, insegnamento pubblico garantito, riappropriazione delle nostre vite rubate, disarmo dei poliziotti, soppressione dei Mat (la polizia antisommossa), appello per una manifestazione il 12 dicembre e per l’occupazione di un ediicio pubblico da individuare per 65 ore a partire da quel giorno”. Una studentessa protesta: ”Questa mozione non ha senso. Non c’è nulla di nuovo”. Un’altra chiede: ”E sulle violenze? Nessuno ha niente da dire?”. La risposta è un diffuso brusio di fondo.