
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il Dalai Lama vive in India, nel villaggio McLeod Ganji di una città chiamata Dharamsala, divenuta in questi 49 anni di esilio un centro tibetano, dato che i tibetani che vi hanno preso dimora per star vicini al loro pontefice sono quasi centomila. Ieri, in questa città, il Dalai Lama ha convocato i giornalisti di tutto il mondo. Ha detto: «Non ho il potere di fermare le violenze, come quasi tutti mi chiedete. Sono un servo del popolo tibetano, non posso dire alla mia gente “Fate questo o quello”. Ciò che essi fanno adesso rappresenta la libera volontà del popolo, su cui non ho alcuna influenza». Ha nuovamente parlato di “genocidio culturale”: «I tibetani, nella loro terra, molto spesso sono cittadini di seconda classe. Tra i tibetani che vengono qui a Dharamsala dal Tibet è cresciuto il risentimento. Inclusi alcuni tibetani comunisti, che lavorano in diversi dipartimenti e uffici cinesi. Sebbene siano ideologicamente comunisti, siccome sono tibetani hanno a cuore la causa del loro popolo». Il Dalai Lama ha ribadito di volere l’armonia tra tibetani e cinesi, esattamente come il presidente Hu Jintao, e proprio per questo chiede che al Tibet venga concessa l’autonomia. «I cinesi hanno trovato una scappatoia per accusare noi di quello che sta succedendo. Allora, per favore, qualche organizzazione rispettata a livello internazionale indaghi su che cosa è successo, su qual è la situazione e qual è la causa. Verifichi che il mio principio resta quello della completa non violenza, mentre Pechino usa la forza per simulare la pace, una pace creata con l’uso del terrore. La comunità internazionale ha la responsabilità morale di ricordare alla Cina il suo dovere di essere un buon ospitante dei Giochi Olimpici. Ho già detto la Cina ha il diritto di tenere i Giochi e che il popolo cinese deve esserne orgoglioso».
• Ci sono speranze? Che a questa “organizzazione internazionale rispettata” indaghi ed emetta un verdetto?
Nessuna speranza. I governanti cinesi hanno al primo posto delle loro priorità la sovranità nazionale, che non può essere messa in discussione da nessuno. Questa sovranità si mantiene, secondo il loro punto di vista, solo non concedendo mai nulla. In Cina, nonostante il 95% della popolazione sia di etnia han, ci sono 58 minoranze. Qualunque concessione a qualunque minoranza darebbe la stura a non si sa quale cascata di richieste. Deng Xiao Ping, nel 1979, fece venire a Lhasa il fratello del Dalai Lama. Una concessione che scatenò manifestazioni di entusiasmo incontenibili e presto tramutate in cortei nazionalisti dove si inneggiava all’indipendenza del Tibet e si invitavano i cinesi a tornarsene a casa. Un’esperienza che l’attuale gruppo dirigente – che a quell’epoca cominciava a far carriera – non ha mai dimenticato.
• Ma questo cosiddetto “genocidio culturale” non sarà un’esagerazione? Non si saranno mescolati un minino cinesi e tibetani in questo mezzo secolo?
No, tibetani e cinesi non si sono affatto mischiati, pochi tibetani parlano cinese e le due comunità vivono in zone separate. Il genocidio culturale è in corso da 50 anni e consiste in quest trasformare la maggioranza tibetana in una minoranza. Come le ho detto ieri, i tibetani sono sei milioni, sparsi su un territorio di 3 milioni e mezzo di chilometri quadrati. I cinesi han mandati a fare i coloni sul territorio sono più di otto milioni. Si persegue con tenacia la cancellazione dell’identità tibetana. L’autonomia che chiede il Lama prevede l’arresto dell’immigrazione cinese. Ma sono illusioni.
• Ci sarà il massacro?
L’ultimatum scade oggi pomeriggio alle cinque, la loro mezzanotte. Ieri Lhasa era deserta, percorsa solo dai soldati. Turisti tappati negli alberghi, han chiusi in casa per paura dell’odio tibetano, tibetani spariti per timore dei soldati. Il governo cinese promette soldi a chi denuncerà gli agitatori e clemenza ai ribelli che si consegneranno spontaneamente. Non si consegnerà nessuno per non esser bollato come criminale.
• La comunità internazionale?
Frigge, e non vede l’ora che questa storia finisca. Nessuno vuole andare contro i cinesi. Gli indiani hanno arrestato qualche decina di tibetani che s’erano messi in marcia da Dharamsala. Neanche gli indiani vogliono grane con i vicini.
• Ma neanche un po’ di boicottaggio?
Ci stanno facendo una testa così per spiegarci che non serve a niente. E il terribile è che probabilmente hanno ragione. Non c’è disponibilità neanche a quel mini-boicottaggio che sarebbe la non-presenza dei capi di Stato. Tutti i presidenti e i capi di governo hanno confermato che l’8 agosto saranno a Pechino ad applaudire. Amico mio, aveva ragione Brenn guai ai vinti. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 17/3/2008]
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