
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
I morti in Tibet sarebbero una trentina, almeno stando alle fonti dei ribelli. I cinesi dicono che sono solo dieci. Internet mostra la foto dei due monaci ventenni forse all’origine della rivolta: si sono tagliati le vene, secondo una prima versione, oppure si sono dati fuoco per protestare contro il regime cinese che opprime i tibetani e perseguita in particolare l’autorità religiosa. Sono moribondi. Pechino ha dato un ultimatum ai rivoltosi: por fine ai disordini e consegnarsi entro domani. In caso contrario, partirà la vera repressione.
• Non li frena il fatto che il mondo li guarda?
Li frena, e infatti sono intervenuti – dal loro punto di vista – prudentemente. La televisione di stato manda in continuazione i video dei disordini provocati dai tibetani, cioè gli assalti ai negozi, i colpi di pistola sparati dalle auto in corsa, le macchine incendiate, le bancarelle del mercato al centro di Lhasa rovesciate e date alle fiamme. Filmati autentici con i quali le autorità di Pechino contano di tener desto nel Paese un sentimento antitibetano e di giustificare di fronte al mondo il prossimo intervento.
• Intervento inevitabile?
Qualche commentatore ha scritto che la miccia dell’incendio è stata la decisione americana di togliere la Cina dalla lista dei dieci paesi peggiori del mondo in termini di diritti umani. stata in effetti una decisione insensata, se si considera la realtà dei laogao (i loro campi di concentramento) o i 20 mila condannati a morte dei cui organi poi fanno commercio in tutto il continente. Tuttavia gli Stati Uniti hanno dovuto fare questo favore a Pechino, e Bush sarà presente all’inaugurazione dei Giochi, così come saranno presenti Sarkozy e Solana, il segretario generale dell’Unione europea. Proprio ieri – a rivolta in corso – Solana ha tassativamente escluso ogni forma di boicottaggio e ribadito che il prossimo 8 agosto sarà all’inaugurazione dei Giochi. I cinesi, amico mio, sono potenti: sono il primo partner commerciale di Stati Uniti ed Europa, hanno nelle loro casse dollari per 1300 o forse addirittura 1500 miliardi di dollari. Valuta accumulata negli ultimi vent’anni per permettere agli americani di far la bella vita che hanno fatto, e noi con loro. Significa che i padroni della moneta statunitense stanno a Pechino. E questo mentre le banche americane cominciano a saltare per aria. Vuole che abbiano paura di reprimere i buddisti di Lhasa?
• Quindi i tibetani non hanno speranza?
Si direbbe di no, anche se la storia ci ha mostrato tante cose impossibili. Teniamo conto di quanto segue: il Tibet è grande tre milioni e 800 mila chilometri quadrati, cioè come mezza Europa. Lo abitano però appena sei milioni di persone. I cinesi hanno adottato il facile metodo di trasferire sul territorio, grazie anche alla ferrovia di Lhasa che hanno costruito apposta, centinaia di migliaia di han, cioè gente della loro razza (i cinesi sono han al 95% e non si sono mai mescolati con nessuno). Oggi per ogni tibetano ci sono quattro han. Non sol le condizioni economiche del Tibet sono nettamente migliorate, anche se al prezzo di una modernizzazione che ha distrutto l’antico fascino del Paese.
• In che cosa, allora, i tibetani possono spaventare i cinesi?
Ci sono 150 milioni di buddisti in Cina. E l’esempio del Tibet è pericoloso. La popolazione cinese, man mano che conquista il benessere, vede crescere al suo interno quell’inquietudine, quel malessere che noi conosciamo assai bene e che sembra un portato inevitabile dei soldi che circolano. Spesso il cinese reagisce innamorandosi di Confucio o di Budda. Il Tibet, culturalmente parlando, va molto di moda. Cosa che Hu Jintao e gli altri padroni del Paese considerano pericolosa. Ci metta l’autorità e l’indipendenza del Dalai Lama, capace di mobilitare coscienze e di diffondere idee che non tengono conto del pensiero di Pechino. Intollerabile.
• Quindi?
L’Olimpiade, che deve svolgersi perfettamente, rende la partita ancora più infuocata. Per i tibetani è una sorta di “ora o mai più”, per i cinesi invece è un “adesso proprio no”. Ci sono altre etnie che i cinesi e il mondo considerano pericolose e che potrebbero accendersi se i tibetani realizzassero qualche punto. Per esempio, nello Xinjiang, che poi sarebbe il Turkestan orientale, gli uiguri sono musulmani, e a questo punto musulmani tendenzialmente estremisti. I cinesi hanno tentato di cancellarli con la politica della sterilizzazione, degli aborti forzati, premiando le uiguri che sposavano cinesi, chiudendo le scuole coraniche, ecc. Nonostante questo, metà della popolazione è ancora uiguri. Che abbiano in testa di far qualcosa l’8 agosto è plausibile. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 16/3/2008]
(leggi)