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 2008  marzo 16 Domenica calendario

La prigione senza prigionieri. La Stampa 16 marzo 2008. Come il tenente Drogo nel «Deserto dei tartari»

La prigione senza prigionieri. La Stampa 16 marzo 2008. Come il tenente Drogo nel «Deserto dei tartari». Mentre svanisce l’effetto indulto e le carceri italiane tornano a scoppiare di detenuti c’è una prigione, una piccola prigione, completamente vuota. Dove le guardie fanno la guardia a se stesse. E dietro le sbarre ci sono solo brande, tavolini, lavabi. Solo fantasmi, ed echi di silenzio. Succede a Pontremoli, cittadina della Lunigiana ai piedi del Passo della Cisa. In bizzarra, assurda controtendenza rispetto alla situazione penitenziario nel resto del Paese. Una dopo l’altra La struttura, un tempo era il «mandamentale» del Comune, cioè la galera gestita dal sindaco. E’ stata riaperta quattro anni fa come carcere femminile di piccola dimensione. In teoria non potrebbe ospitare più di venti persone, e dai tetti massimi è sempre stata lontana: il massimo affollamento è stato raggiunto, nell’estate 2006, quando dietro le sbarre erano in quindici. Ora, invece, non c’è più nessuno. Perché l’assegnazione delle detenute è stata sospesa. A fare la guardia al nulla sono rimaste in cinque. Nel 2004 le agenti penitenziarie, tutte donne e molto giovani, diverse alla prima esperienza, erano in ventisette, ufficiali comprese. Troppe per una casa circondariale piccola, con continui problemi all’impianto elettrico, alle tubature e alla rete fognaria. Tanto che diverse di loro erano costrette a trovar ospitalità nella vicina stazione della polizia stradale. Neppure un anno dopo le guardie sono rimaste in dodici. Ma intanto diminuivano anche le detenute. Dopo l’indulto, nell’agosto 2006, ne erano rimaste appena cinque. La scorsa estate è stata trasferita l’ultima prigioniera. E le guardie, sia pur poche, non hanno più nulla da fare quando a poche decine di chilometri ci sono carceri stracolme come quelle di Sollicciano, Prato, Livorno o Pisa. L’assurdità è stata denunciata da Franco Corleone, il garante per i diritti dei detenuti di Firenze, sottosegretario alla giustizia dal ”96 al 2001: «E’ una situazione insostenibile, perché a fronte di un nuovo sovraffollamento delle carceri non si possono tenere istituti vuoti. Proposi di destinarvi donne seminferme di mente, dal momento che là vicino c’è la clinica psichiatrica pubblica di Aulla». L’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) ha chiesto la chiusura della struttura di Pontremoli, per evitare di continuare a spendere a vuoto soldi pubblici che potrebbero esser impiegati in miglior modo. Oltre che per togliere da un imbarazzante limbo gli agenti rimasti ai piedi delle Apuane. Prova a gettare acqua sul fuoco il provveditore Maria Pia Giuffrida: «A Pontremoli la situazione è molto semplice: le donne detenute in regione sono poche. Le polemiche sono ingiustificate. Stiamo riconvertendo quel carcere per farne una sezione maschile di semilibertà, avverrà molto presto». Erano state prese in considerazione dall’amministrazione penitenziaria altre ipotesi, come quella di mandarci detenuti transessuali, «ma Pontremoli - ha chiarito Giuffrida - ci ha fatto capire di non essere d’accordo». Restano le guardie, che non saranno sommerse di lavoro ma neanche contente Per Amanda, 27 anni, laureanda in ingegneria, Pontremoli è stata la prima esperienza da agente penitenziaria. Si è fatta trasferire al Sud: «Era un vero incubo, con quelle celle vuote. Spero che non mi rimandino mai più lassù. Io credo nella mia professione, ma voglio lavorare in un vero carcere, non in una fortezza come quella di Buzzati in attesa dei tartari». GIAMPIERO CALAPÁ Le carceri in Italia Gli istituti di pena si distinguono in Case «di reclusione» e «circondariali». Le prime sono carceri per i detenuti «definitivi» cioè condannati da tre gradi di giudizio, i circondariali per gli imputati in attesa di giudizio. In alcuni istituti circondariali ci possono essere sezioni per i definitivi e viceversa. Dove vanno i detenuti Il carcere dove viene inviato un detenuto dipende dal tipo di reato e dalla Procura che indaga sul reato commesso. Vicini a casa Il detenuto ha diritto ad essere rinchiuso in un carcere vicino a casa per garantire i colloqui familiari che rientrano nel percorso di reinserimento del detenuto nella società a fine pena. Diritto al quale spesso non possono accedere, per motivi di sicurezza, i detenuti per mafia, condannati al Sud ma detenuti nelle prigioni del Nord Italia.