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 2008  marzo 16 Domenica calendario

Sesso, hashish e aborto. La Stampa 16 marzo 2008. Addio alla «meglio gioventù» tutta casa e chiesa

Sesso, hashish e aborto. La Stampa 16 marzo 2008. Addio alla «meglio gioventù» tutta casa e chiesa. Otto scout su dieci dicono sì all’alcol, uno su due sì alle canne, il 90% ammette i rapporti prematrimoniali, il 42% farebbe sesso con una persona sposata e il 39% approva l’aborto e dice di non credere in Dio. L’identikit-choc dello scout del terzo millennio emerge dalla ricerca commissionata dalla Federazione italiana scoutismo all’Istituto degli Innocenti, una ricerca che riguarda ragazzi di tutta Europa, per l’81% cattolici. Il nucleo fondante dei «Papa boys» che affollano le Giornate mondiali della gioventù e i raduni ecclesiali approvano alcol, fumo, sesso e hanno le idee chiare su aborto e omosessualità. Sono delusi dalla politica (uno su tre è contrario ai partiti), considerano la famiglia il loro unico punto di riferimento, stanno al passo con i tempi (quasi tutti hanno cellulare e computer, il 70% possiede dvd e videoregistratori). L’esito più sorprendente dell’indagine riguarda una morale molto più libertina dell’immagine tradizionale dello scoutismo che in Italia su 200mila aderenti ne annovera ben 180mila cattolici. Nove scout su dieci accettano il sesso prima del matrimonio, un terzo dei 2500 intervistati considera una scelta eticamente tollerabile tradire il proprio partner, mentre quattro su dieci ammettono il ricorso all’aborto. Più aperte verso esperienze omosessuali appaiono le ragazze (23%) rispetto ai ragazzi (12%). Nel mondo ci sono 520 associazioni con 38 milioni di giovani. Nei cento anni di vita della scoutismo, mezzo miliardo di persone hanno indossato l’uniforme scout. In Italia su 200 mila scout, 180 mila fanno parte dell’associazione cattolica Agesci (tra i promotori del «Family Day») che ha un’organizzazione di tipo verticale, suddivisa in quattro livelli (nazionale, regionale, di zona, di gruppo) ciascuno dei quali è finalizzato all’educazione dei bambini e ragazzi. Il movimento scout, fondato da Robert Baden-Powell, ha le stesse regole ovunque. Fazzolettone, divisa, promessa: «Con l’aiuto di Dio prometto sul mio onore di fare del mio meglio per compiere il mio dovere verso Dio e verso il mio Paese; per aiutare gli altri in ogni circostanza; per osservare la Legge scout». Di cambiato nello scoutismo c’è appunto una crescente distanza tra «teoria e «pratica». Il tramonto della purezza Come dimostra l’indagine, infatti, la fede, l’impegno e la responsabilità sono valori non sempre realizzati nella vita quotidiana degli scout. La purezza non sembra più molto in voga, anche se il loro simbolo resta il giglio scolpito nell’arco della Cappella dei Lanaioli, nella chiesa di Sant’Agostino a Genova. Eppure nello statuto l’Agesci si definisce «occasione per i ragazzi di ricevere un annuncio di fede» e si impegna a proporre «in modo esplicito ai ragazzi, con il metodo e la spiritualità che caratterizzano lo scoutismo, l’annuncio di Cristo affinché si sentano personalmente interpellati da Dio e gli rispondano secondo coscienza». Il percorso scout, che parte dagli 8 anni con i gruppi dei lupetti e delle coccinelle, prosegue con gli esploratori e le guide, dai 12 ai 15 anni, e poi con i rover e le scolte fino ai 19 anni. Dal gioco, all’avventura, all’approfondimento si sviluppa un percorso che porta alla scelta di «servizio agli altri». Gli scout sono presenti nei Consigli e nelle Commissioni pastorali. Nelle parrocchie hanno soprattutto il compito di avvicinare i ragazzi che, senza lo scoutismo, non frequenterebbero la chiesa. Una missione esplicitata da Giovanni Paolo II in vari messaggi di incoraggiamento a essere di frontiera, «a portare un annuncio del Vangelo anche a ragazzi che magari non avrebbero frequentato autonomamente altre situazioni vicine alla parrocchia». Nel vademecum per i capireparto dei campi nazionali Agesci è sintetizzato il fine dello scoutismo e, dunque, anche la possibilità di un fallimento educativo: «A noi capi non è richiesto di essere psicologi o sociologi, quanto piuttosto di vivere una relazione vera, profonda ma non assoluta con i nostri esploratori e guide». Una relazione che «non si sostituisca a quelle istituzionali, ma che sia chiara, capace di dare senso, di orientare il sentiero di ciascun ragazzo senza scegliere al loro posto». Incluso, perciò, il rischio di sbagliare. Giacomo Galeazzi