Viviana Mazza, Corriere della Sera 16/3/2008, 16 marzo 2008
Il Tibet ha un esercito. Un esercito pacifico, ma rumoroso. Un esercito globalizzato, con basi in 50 Paesi del mondo, formato da persone di nazionalità diverse, unite dal desiderio di «salvare» il Tibet
Il Tibet ha un esercito. Un esercito pacifico, ma rumoroso. Un esercito globalizzato, con basi in 50 Paesi del mondo, formato da persone di nazionalità diverse, unite dal desiderio di «salvare» il Tibet. Esistono gruppi pro Tibet in Usa, Canada, Sudamerica, Europa, Asia, persino in Kenya e Israele. Nel 2000, 153 di questi gruppi si sono riuniti in una sorta di federazione, l’International Tibet Support Network. Da Katmandu a Sydney, da New York a Roma, stanno lanciando proteste di solidarietà, sit-in davanti alle ambasciate cinesi. Stanno inviando lettere ai politici e all’Onu e diffondendo informazioni sulle proteste a Lhasa attraverso comunicati o strumenti come World Tibet News, un’agenzia di stampa (gestita dal gruppo di supporto canadese) che ogni giorno traduce in inglese notizie sul Tibet. «Coordiniamo insieme tutte le attività», spiega al telefono da Londra Matt Whitticase, il portavoce di Free Tibet Campaign, uno dei gruppi principali del network, che ha convinto il principe Carlo a boicottare le Olimpiadi. «Non c’è rapporto tra noi e il governo tibetano in esilio, abbiamo solo contatti informali. Le nostre posizioni possono essere più radicali», spiega. Non sempre i gruppi della «federazione» sono d’accordo tra loro: alcuni vogliono che i propri politici non vadano alle Olimpiadi di Pechino, altri come il Dalai Lama non credono nel boicottaggio. «C’è chi chiede l’indipendenza e chi vuole una maggiore autonomia all’interno della Cina. Ma l’importante è che la questione del Tibet sia nota», spiega Whitticase. Molti gruppi sono composti per la maggior parte da non tibetani. Da cosa nasce questo interesse globale per il Tibet? Da diverse motivazioni. «Io sono cresciuto a Hong Kong. Non sono anticinese ma non voglio che questa cultura così preziosa scompaia», dice Whitticase. Razvan Diaconescu, 44 anni, ricercatore di Informatica e fondatore del più piccolo gruppo di supporto (4 membri, in Romania) invece è buddhista: «E apprezzo i valori tibetani di non violenza e onestà». C’è una tradizione di occidentali che combattono al fianco dei tibetani: da Richard Gere ai Beastie Boys già dagli anni ’90. In questi giorni, sono tutti in piazza, insieme alle organizzazioni tibetane, anch’esse impegnate a protestare in tutto il mondo. Viviana Mazza Per il Tibet Richard Gere, Yauch (Beastie Boys), Bjork, Smashing Pumpkins, Red Hot Chili Peppers