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 2008  marzo 17 Lunedì calendario

Notizie tratte da: Adriano Sofri, Contro Giuliano. Noi uomini, le donne e l’aborto, Sellerio, 2008, 139 pagine, 10 euro

Notizie tratte da: Adriano Sofri, Contro Giuliano. Noi uomini, le donne e l’aborto, Sellerio, 2008, 139 pagine, 10 euro. Premessa. «Questi sono i miei pensieri a proposito della campagna – la ”crociata” – che Giuliano Ferrara ha intrapreso chiamandola ”Moratoria dell’aborto”. Sono pensieri di un maschio che discute con un altro maschio. Sono anche pensieri di uno che se la prende con un amico stretto. Tutto sbagliato, dunque». Dissenso. «La mia amicizia per Giuliano è antica e temprata da vicende di calore bianco, tanto da esonerarmi dal debito di gratitudine, che ho anch’esso ingente. Che cosa facciamo con le nostre amicizie, quando non coincidano con l’accordo delle idee e anzi conoscano un forte dissenso? La mia risposta è che non sacrificherei l’amicizia. Non sacrificherei nemmeno le idee. Non si tratta semplicemente di venirsi reciprocamente incontro. Idee dissenzienti maneggiate con il rispetto e l’affetto e perfino il tifo fatto per l’altro, non possono che guadagnarne anche d’intelligenza e di chiarezza: è quello che spero». Paragoni. «Quando proclami – a voce altissima, perentoria – che l’aborto è lo scandalo supremo del nostro tempo, io non ci credo [...] Una bambina, un bambino che viene al mondo è la cosa più bella, ma un embrione abortito non è la cosa più brutta – se mai si volessero fare paragoni, per sfidarsi a superlativi – la cosa più brutta è un bambino nato che muore di fame o di abbandono o di violenza, che si aggrappa al seno vuoto della madre». Contabilità. «Ma è il disordine del mondo, la sua inseparata preistoria a impedirmi la semplificazione, l’ammucchiata lugubre che ti fa pronunciare la tua classifica e il tuo record: il Miliardo, da Marco Polo dei mattatoi. Il paragone con la Shoah (chiunque lo pronunci, anche il bravo Giovanni Paolo II) è pazzia: e cattiva retorica anche, che non innalza la tragedia dell’aborto a quella della Shoah, ma abbassa questa al rango del pulviscolo di cinismi, leggerezze, disgrazie, abitudini, violenze. Non riesco a estrarre l’aborto dalla congerie di delitti sventure e fallimenti, non riesco nemmeno a estrarre l’aborto dagli aborti. quello che fai tu, o il tuo scrupoloso e ispirato contabile Socci, e intento rimproveri altrui di sbandierare La Donna a scapito delle donne». Torto. «Chissà, forse hai ragione. Tuttavia, anche se avessi ragione, hai torto. Perché hai eccitato e guadagnato applausi di una parte e rabbia dall’altra. Le parti sono rimaste quelle di prima: solo più distanti e più impazienti». Crociata. «Però l’hai chiamata crociata. Ti sei compiaciuto che fosse di parte. Ti avevo avvisato che avrebbe offeso e scandalizzato tante donne e tanti uomini, e li avrebbe drizzati contro di te, dunque contro il tuo proposito dichiarato. Hai voluto rompere, dividere». Slogan. «Del tuo scandalo per l’aborto avevi parlato e scritto da anni. C’era, di nuovo e di diverso, l’appiglio scelto nel voto alle Nazioni Unite che auspicava la moratoria per le esecuzioni capitali. Mentre ti rallegravi di quel voto, lo abbassavi al rango della grande ipocrisia di un rispetto per la vita contraddetto dal suo disprezzo nel caso degli aborti [...] Hai colto, con la prontezza di riflessi che accompagna la tua proverbiale intelligenza come Leporello accompagna Don Giovanni, l’occasione formidabile di quello slogan: moratoria dell’aborto. Che cosa significava? Niente, direi. Era uno slogan, appunto, reso efficace dal calco capovolto di quell’altro, moratoria della pena capitale, al quale rubasti lestamente la scena e guastasti la festa». Pregiudizi. «Forse, com’è avvenuto per altre barbarie, sono accecato dal pregiudizio del mio tempo, o dalla corruzione della consuetudine, e però verrò un giorno in cui noi tutti non ci saremo, e si guarderà al nostro tempo e all’aborto con il raccapriccio che noi tutti riserviamo oggi allo schiavismo o allo sterminio dei popoli indigeni o alla Shoah. Non lo escludo affatto. Mi interrogo, e vacillo. Forse un giorno un monaco dalla testa rasata, suonatore di arpa birmana, si chiederà perché tanta distruzione sia caduta sul mondo, e percorrerà la terra per dare sepoltura ai resti degli umani non nati, compresi quelli che oggi chiamano rifiuti speciali ospedalieri. Ma perché si possa sentire così, l’umanità dovrà avere compiuto passi giganteschi». Dio. «Quando le donne ci dicono che nessun uomo può saperne niente, hanno ragione, e almeno hanno tutte le ragioni. Resta da chiedersi se, così stando la questione, sappiamo almeno che cosa sia la paternità, o anche questo dipenda dalle donne. Per questo chi ha ripensato alla questione di Dio non può che aspettarsi che Dio debba essere padre e madre. Madre prima che padre». Panni. «C’è la questione del mettersi nei panni degli altri. Da molto tempo penso che una differenza essenziale fra la destra e la sinistra (benintese) sia questa: che la destra si tenga ben stretta dentro i suoi panni, e che la sinistra voglia uscirne per mettersi nei panni altrui. una questione complicata, perché, come sa la gente di teatro, essere pronti a cambiare panni può costare una volgarità, e far indossare tante maschere da perdere la faccia propria e la propria anima». Mimesi. «La sinistra della quale vissi aveva l’aspirazione trascinante ad annullare le frontiere geografiche, sociali e culturali e perfino di età [...] In realtà tra tutte le frontiere fra i ruoli e i destini sociali che si vollero superare da subito dentro il crogiuolo delle lotte comuni, senza rinviarle al futuro remoto della rivoluzione compiuta, si era maltrattata soprattutto, nonostante l’apparenza, la più radicale delle differenze, quella fra donne e uomini. Quando la questione esplose – come nelle favole del re nudo, i maschi erano altrettanti reucci privati dichiarati improvvisamente nudi fra l’indignazione e la derisione delle loro donne che facevano il girotondo – ci si accorse subito che il talento e il mestiere mimetico non funzionavano, non si riusciva (qualcuno ci provò…) a uscire dai propri panni e a diventare donne». Meschinità. « un fatto che la meschinità profonda di noi maschi viene raschiata fuori dall’annunciazione di una gravidanza non cercata, come in nessuna altra circostanza. E questa è di quelle meschinità essenziali che non fanno eccezioni per i granduomini, anzi: insegnino Einstein o Chaplin [...] Per rivincita, vogliono deciderne, delle donne: in generale. I dettatori di legge, aborto compreso, anzi!, sono – preti in primo luogo, e casti per regolamento, politici in secondo, e non di rado puttanieri – maschi». Assistenza. «Oggi sono sempre più numerosi i padri che assistono al parto delle loro compagne. Ma quanti sono i mancati padri che assistono all’aborto delle loro compagne, di una sera o di una vita?». Razzismo. «Se la tavolata è di soli uomini, si possono dire cazzate sull’aborto, senza farsi problemi, senza temere sorprese. Come in una cena senza negri, se vi piacciono le barzellette sui negri». Maschio. «Dici: ”L’aborto è maschio. L’indifferenza è maschia. Il cinismo è maschio”. (E tu sei maschio, e io sono maschio). vero, se vuol dire la nostra viltà e la nostra responsabilità [...]. Ma non è vero, ed è una bestemmia, se distoglie dal fatto così esclusivamente e ferocemente femminile dell’aborto. ”Assassini siamo noi, io tu, loro, la società” [...] L’impiego della formula incolpatrice e il rifiuto di tramutarla in un’imputazione diretta alle donne, lungi dall’ottenere l’effetto acrobatico di indulgenza e comprensione cui mira, approda al risultato opposto. Le donne commettono un assassinio senza essere nemmeno assassine. Povere donne». Rovesciamenti. Geppetto, che diventa padre con le sue mani e senza bisogno di donne. «Una specie di rovesciamento, senza intenzione, senza blasfemia, della storia di un altro falegname, Giuseppe, superfluo a una maternità divina. Quello di Pinocchio è un mondo senza madri [...] Antichissima, dunque, e perenne, è questa nostalgia dell’uomo per la procreazione: per risarcirsi ha pensato Dio come creatore, e se stesso come creativo». Diritto. «Tu ti indigni se l’aborto viene chiamato diritto, come per esaltarne un pregio, mentre per lo più si tratta di un modo di avvertire che la donna che abortisce non dev’essere perseguitata. Si può uccidere per legittima difesa, ma non si proclamerà che uccidere qualcuno è un diritto, né se ne caverà gioia». Fissazioni. «Io non negherei mai il diritto alla vita del concepito, ma non saprei avventurarmi nella sua fissazione giuridica. Che non sia ancora nato, che non sia ancora persona, e quando lo diventi, mi pare argomento secondario e sfuggente». Sovranità. «Si direbbe che tu, Giuliano, senza smettere di essere uomo – perché ti preme che durino e vigoreggino le due figure decisive, il padre e la madre – immagini di diventare donna, o di esserlo già abbastanza. Dici: ”C’è un bambino nella mia pancia”, e stai parlando del bambino che la tua compagna dei vent’anni perse nel suo aborto londinese. Dici: ”E io ne ho nostalgia” [...] Mi sembrerebbe una specie di sacrilegio derubare una donna di un’esperienza che solo è sua, e che segna il confine invalicabile fra lei e me. Non è una questione di competenze, è una questione di sovranità territoriale. Il corpo delle donne appartiene alle donne, a ciascuna di loro, e non c’è diritto di ingerenza umanitaria che possa violare questa sovranità personale fino a che la creatura che cresce dentro il corpo materno ne sia staccata». Rivoluzione. «So bene che [...] la campagna sulla quale ti sei avventato non è affatto l’estemporanea invenzione di uno che si annoi. [...] Anzi io [...] l’ho riguardata come la precipitazione di una conversione che si andava preparando da tanto tempo: così succede alle conversioni. [...] La conversione è una specie di rivoluzione: forse la più vera specie di rivoluzione, certo la più desiderabile. Ma può esistere qualcosa che assomigli all’utopia disastrosa della ”rivoluzione permanente” – una ”conversione permanente”, che non finisca nella volubilità e nella superficialità? Si rimane il Davide di qualche Saul, senza mai diventare il Davide di se stesso». Persuasione. «Una campagna che denunciasse la violenza – è infatti una vera violenza carnale, sulla scala di popolazioni di miliardi – delle demografie forzate di Stato e dei loro tremendi effetti, l’abolizione per legge di fratelli e sorelle, uno squilibrio senza precedenti nella storia umana tra maschi e femmine, avrebbe riscosso, potrebbe riscuotere ancora, l’adesione più vasta e sentita, nella società civile come nelle istituzioni. E la mobilitazione contro l’’indifferenza allo scandalo dell’aborto”, nelle nostre società che si vogliono liberali, avrebbe preso, potrebbe prendere ancora, la forma di una discussione e persuasione culturale, che accompagnasse le misure davvero efficaci a prevenire il ricorso all’aborto». Rottura. «Non so – puoi spiegarmelo, se vuoi – che cosa ti faccia preferire una rottura, una ”crociata”, culminata nella unilateralità di una lista elettorale, a un appello aperto e teso a rompere i ranghi. Forse pensi che occorre che gli scandali avvengano. Lo scandalo è avvenuto, ma non da una sola parte. Forse, penso, forzare una rottura ti serviva ad assecondare quell’impulso a cambiare vita». Transfuga. Chi lasciava le file della borghesia per quelle del proletariato (chi faceva il cammino opposto era un rinnegato). «Tu ne fosti un campione [...] Adesso tu sei un transfuga – un rinnegato, insomma – del mondo femminista e libertario, per il mondo familista e cattolico. Era necessario? Questa galvanizzazione della frattura e dell’opposizione fra un mondo cosiddetto cattolico e un mondo cosiddetto laico è buona cosa? Non sono ambedue preziosi, il modo delle lettere famigliari di adesione arrivate al tuo giornale, e il mondo delle donne così arrabbiate?». Perplessi. «Mi fermo su questa storia della conversione non perché voglia frugare nell’anima tua, né parlare con te di una cosa importante ma privata, sicché potremmo caso mai parlarne in privato, bensì perché tu sbandieri la tua conversione – il cambiamento di vita, non fede religiosa – come fa un capo di popolo e una guida di perplessi. [...] Tu dunque ostenti la tua per suscitare l’universale conversione, in un impeto messianico e quasi savonaroliano – salvo il richiamo al buonumore di Ratzinger e tuo, che con Savonarola non andrebbe mai. Sicché discutere della tua personale conversione vuol dire discutere della universale conversione cui chiami tutti più o meno». Superficie. «Tu non fai che ripetere di non volere che mai una donna sia costretta a partorire o sia perseguitata per avere partorito, e ti spingi fino a lodare la prudenza di alte autorità della Chiesa sulla cancellazione della 194 come la più grande novità culturale: ma questa è la superficie della cosa. Il suo fondo è che quel mondo e quelle autorità della Chiesa sopportano la 194 solo perché sentono di non avere la forza di rovesciarla, e ripristinare, non l’’aborto zero”, ma l’aborto braccato infamato e clandestino [...]. Una coerenza non dovrebbe almeno spingerti a chiedere anche ai credenti diventati la tua nuova famiglia di accettare la 194 come tu proclami di accettarla?». Realismo. «Il realismo ”laico” verso l’aborto ne riconosce realisticamente la portata e le cause (non solo nella povertà o nell’abbandono o nell’ignoranza, ma anche in quello che tu chiami indifferentismo morale) e cerca, se è coerente, di limitarne cause portata ed effetti. Il realismo della Chiesa – almeno, della sua parte dominante – è di tutt’altro genere: è l’ammissione di un rapporto di forza provvisoriamente favorevole». Nicaragua. Daniel Ortega, che nel 2007, per sdebitarsi con le gerarchie cattoliche che l’avevano appoggiato in campagna elettorale, punì l’aborto (anche quello terapeutico) con la pena da uno a tre anni di reclusione. Nel febbraio 2003 una bambina di nove anni era stata stuprata: secondo le grida del cardinale Miguel Obando y Bravo, arcivescovo di Managua, il parto doveva essere portato a termine, l’interruzione medica fu eseguita invece in gran segreto, ma il cardinale scomunicò i medici e invocò la loro carcerazione. Colombia. La bambina di undici anni, rimasta incinta dopo che il patrigno l’aveva stuprata (in Colombia, nel 2006). Il cardinale Alfonso Lopez Trujillo, presidente del pontificio Consiglio per la Famiglia, invocò l’articolo 1398 del Codice di diritto canonico, che sanziona con la scomunica chi pratichi l’aborto o vi collabori. Infine la Corte Costituzionale ordinò che la bambina fosse sottoposta all’aborto. Preservativi. «Sei contro il preservativo, contro la contraccezione in genere. Strada facendo, hai estremizzato questa insensata obiezione. Nessuna persona ragionevole (razionale, anche) ignora che la prevenzione decisiva contro le gravidanze non desiderate e dunque contro l’aborto (e contro le malattie gravi a trasmissione sessuale) è la contraccezione. Tu lo neghi. Ti avventuri in resoconti sulla situazione francese, nella quale educazione sessuale e disponibilità di mezzi anticoncezionali non hanno ridotto, dici, il ricorso all’aborto. un dato che fa pensare, ma prima di tutto induce a chiedersi di quanto sarebbero cresciuti gli aborti senza conoscenza e uso di anticoncezionali». Pazzia. «In verità, sei arrivato man mano a sostenere che non si faccia l’amore se non accettando che ne risulti una nuova vita. Pazzia. E citando Pasolini. Pasolini scrisse appassionatamente il suo orrore per l’aborto, ma aveva altrettanto in orrore la nascita. Era persuaso – e arrivò tardi a dirlo, sulla prima del Corriere, come andare a sparare una pistolettata nel foyer della Scala – che si dovesse fare l’amore solo a condizione di non fare figli». Opposto. «Pasolini è contrario all’aborto come è contrario al parto perché è contrario al coito eterosessuale, generativo. Esattamente l’opposto di ciò che ti sta a cuore no?». Uccide. A proposito della pillola Ru486 (una «banalizzazione dell’aborto», secondo Giuliano Ferrara). «Da dove viene questa smania proibizionista, in uno come te, cui perfino il divieto del fumo sembra, oltre che fisicamente insopportabile, civilmente oltraggioso? [...] Potresti dire, tu che ridi perfino della nozione di fumo passivo, che più seriamente e gravemente paventi l’aborto passivo, cioè l’influenza contagiosa che il ricorso ”facile” alla Ru486 eserciterebbe sulle donne e le ragazze. Scrivi allora sulle ricette e le confezioni del farmaco: Uccide!, come sui tuoi pacchetti, e poi lascia che decidano». Ovvietà. A proposito del caso giornalistico dei ginecologi romani (in una relazione avevano spiegato: il feto estratto o partorito molto prima del tempo, quando sia un neonato vivo e vitale, deve ricevere immediatamente le cure che spettano a qualunque essere umano, con la sola e comune limitazione dell’accanimento terapeutico). «Una volta staccato dal corpo della madre, e capace di vita autonoma [...], il neonato ha un diritto indipendente e intangibile, e nessun parere contrario della madre – o dei genitori – può privarnelo [...] Umberto Veronesi lo ha detto assai semplicemente: ”quando un bambino è nato, non è più tuo”. (Dunque, quando non è nato, è tuo)». Alessandra Kustermann, medico della Mangiagalli, quando le chiesero se il fare di un’ovvietà un caso, nascondesse l’intenzione di cambiare la 194: «Non credo. Mi sembra che si voglia far passare l’idea che i laici sono contro la vita e che gli unici che la tutelano sono i cattolici». Arzano. La signora Silvana di Arzano, 39 anni, non sposata, che dopo l’amniocentesi ha deciso di abortire (diagnosi, Sindrome di Klinefelter: anomalia cromosomica maschile che può comportare «ritardo mentale, problemi cardiaci, diabete e sterilità»). Segue procedura secondo la 194, ma finisce che la signora espelle il feto al gabinetto in ospedale, e il portantino di turno chiama Striscia la notizia (nasce subito il caso, con tanto di interrogatorio degli inquirenti al capezzale, nel sospetto, risultato infondato, di infanticidio). Malattia. «Anche tu, Giuliano, hai sostenuto che la notizia napoletana si era montata arbitrariamente [...] Però, hai detto, quella madre è stata messa di fronte a una descrizione clinica faziosa della vita che avrebbe atteso il suo bambino e lei, ed è stata lasciata sola. Ti è sembrato che la sindrome in questione offrisse la prova esemplare e pressoché provvidenziale del feticcio della ”sanità” e della versione moderna di una smania eugenetica che rifiuta la semplice malattia, la semplice naturale evenienza di una persona ammalata». Klinefelter. «Hai anche desiderato – con tutto il cuore, fino a far accendere una candela che te ne impetrasse la grazia – di essere tu stesso affetto dalla sindrome di Klinefelter. Forse ti capisco: era il tuo modo di metterti piuttosto nei panni del bambino abortito. Sarebbe stato un colpaccio. La tua proverbiale intelligenza contro il luogo comune sul ritardo mentale minacciato dalla sindrome di K. Ho il diabete, hai detto. Ho i testicoli piccoli: volete vedere? Ho le mammelle grandi: volete ve le mostri? Saresti stato però glabro, ti hanno obiettato, non così villoso. E niente aborti di tue compagne: saresti stato sterile. Probabilmente, neanche così pronto di riflessi. Non hai la sindrome di K. Hai solo le palle piccole e le tette grandi. Capaci tutti». Cambio. «Protesti che non si accetti più la malattia. Non credo. Magnifici sono i successi, ma la malattia imperversa, e le disabilità, e il rimbambimento e la morte. Piuttosto è vero che non si voglia più accettare, da noi, l’imperfezione, la difettosità: come nella merce futilmente in garanzia, che si dà indietro col cambio. Si può davvero abortire figli col labbro leporino [...] con quello che si combina con le proprie labbra. Poi arriva la sciagura, e tutto cambia, in un solo minuto». Sublimazione. «Se vi chiedessero: vorresti che sulla terra non ci fosse nessuna persona con la sindrome di down?, inorridireste, e vi affrettereste e rispondere: Mai!, per nessuna cosa al mondo. Ma se vi chiedessero: vorresti che fosse debellata la sindrome di Down?, rispondereste di sì, con tutto il cuore. Ma la terra senza la malattia di Down non sarebbe impoverita? No. Sarebbe impoverita senza le persone che hanno quella malattia, e che sono preziose, care e insostituibili. E sarebbe impoverita senza coloro che le amano e se ne prendono cura e se ne fanno scandire il tempo e se ne lasciano cambiare e arricchire. Ma si amano le persone, non la malattia: salvo che si sia così feticisti da amare la malattia e piegare a essa le persone, come mezzi a un fine di sublimazione». Significato. «La moratoria dell’aborto può essere una formula sensata se si rivolga agli aborti imposti per legge o dalla prepotenza di autorità politiche, che allora sì assomigliano a pene capitali, per il nascituro e per madre e genitori che lo vorrebbero. La moratoria dell’aborto riferita a paesi in cui l’aborto è la triste scelta personale di una donna non significa niente, meno di niente. Salvo che significhi la sospensione sine die della legge che garantisce la non punibilità della donna che abbia abortito, che è però quello che tu ripeti di non volere. E comunque, per non farsi imbambolare dalle parole, non si tratterebbe di una moratoria dell’aborto, ma di una moratoria della sua legalizzazione nelle condizioni previste, cioè il ripristino del solo aborto clandestino e della persecuzione delle donne. E dunque in questo caso il paragone con la pena di morte è del tutto assurdo, e si capisce che suoni cattivo». Sensibilità. «Non ci servirà né il feticismo sull’embrione e la sua consacrazione – la dissipazione a mezzo inservienti degli embrioni in soprannumero pur di non adibirli alla ricerca medica – né l’ostentazione del cinismo. L’uno e l’altra non faranno che male. Varrà piuttosto l’espansione della nostra sensibilità affettuosa verso la vita e la debolezza». Cuccioli. «Invece bisogna sapere, e vedere. Anche vedere. L’esibizione di immagini cruente o di feti è da sempre punto forte dei militanti antiabortisti, e una ragione di scandalo di altri [...] Non pretenderei da nessuno la visione di tutto ciò che avviene durante l’aborto: se qualcuna o qualcuno dichiarasse di non volere vedere, non avrei nessun argomento da opporre, anzi. Quanto a me, guardo quelle immagini, e ne sono turbato e commosso. Rifiutarmi di guardarle mi impedirebbe, credo, di guardare le immagini del concepimento, della gravidanza e della nascita. Sono cuccioli. Siamo noi come eravamo, abbiamo tenerezza per noi come eravamo, perfino quando siamo esausti o delusi da noi come siamo». Embrioni. A proposito dello scienziato giapponese Shinya Yamanaka che ha riprogrammato le cellule staminali adulte, smentendo che le cellule embrionali siano più potenti delle adulte (osservando un embrione al microscopio lo scienziato avrebbe detto che era troppo simile a sua figlia per distruggerlo e farne cellule staminali). Paradosso: proprio le ricerche sulle cellule embrionali in futuro forse renderanno superfluo il ricorso alle cellule embrionali. Precauzione. «Che senso ha allora a posteriori la moratoria delle ricerche con le staminali embrionali? Dunque all’assolutismo morale non opporrei il relativismo morale [...], bensì un ragionevole Principio di precauzione morale. Dove non so, mi astengo dall’intervenire, salva l’accettazione del male minore. L’aborto è, o deve ridursi sempre di più ad essere, il male minore». Moratoria. Moratoria, diciamocelo, è una nozione utile, ma una parola mediocre. Anche ”Moratoria della pena di morte” non era granché. Invece ”nessuno tocchi Caino” è un titolo molto bello. Oltretutto, dice da subito che non siamo contro la pena di morte a scanso degli errori giudiziari, ma per tutti. Non so se fosse stata Mariateresa Di Lascia a trovarlo: mi piacerebbe. Adesso, se Mariateresa ci fosse, potrebbe forse fondare insieme a tanti altri un’associazione che si chiamasse ”Il mondo salvato da una bambina”, e muovere da lì alla conquista delle nazioni unite, e delle Nazioni Unite". Cultura. «Occorre una rivoluzione culturale, ma non è detto che le rivoluzioni culturali debbano essere autoritarie (o peggio, tiranniche) e prendano tempi immemorabili. Noi siamo un esempio. Abbiamo abbastanza smesso di augurarci figli maschi. Ci diciamo spesso: Speriamo che sia femmina». Politica. «Dal punto di vista politico e giuridico, il mondo dovrebbe votare una moratoria delle leggi e delle campagne tese a non far nascere le bambine. Dal punto di vista delle sue speranze, il mondo dovrebbe mettersi ad aspettare la salvezza dalla nascita di una bambina. Una qualunque». Testo elaborato da Paola Bellone