
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Grasso lascia il Pd, Visco riconfermato, Draghi taglia il Qe

Renzi ha vinto la battaglia del Rosatellum, ma forse sta sul serio perdendo la guerra delle elezioni e del ritorno a Palazzo Chigi. Il presidente del Senato, Pietro Grasso, dopo i cinque voti di fiducia di mercoledì, ha deciso di lasciare il gruppo del Partito democratico, il partito cioè che lo aveva portato in Parlamento, e di iscriversi al gruppo Misto. Il gesto clamoroso non è stato accompagnato da nessuna dichiarazione, però tutti ricordiamo la sofferenza con cui Grasso ha condotto il dibattito sul Rosatellum e la risposta, quasi drammatica, con cui ha respinto la richiesta di dimissioni avanzata dal grillino Vito Crimi. A questo brutto colpo per il segretario del Pd, si deve aggiungere l’annuncio che il premier Paolo Gentiloni ha proposto al Consiglio superiore della Banca d’Italia la conferma di Ignazio Visco alla guida dell’istituto. Un altro smacco per il segretario, che segna probabilmente una frattura pressoché definitiva con Gentiloni e Padoan. Diciamo che il Rosatellum gli è costato assai caro.
• Il gesto del presidente del Senato non è eccessivo? Non dovrebbero, i presidenti delle due assemblee, sentirsi al di sopra delle parti anche quando sono costretti a far passare provvedimenti che non condividono?
Giusto, in astratto. Però cinque fiducie sulla legge elettorale forse feriscono troppo il Parlamento. Lo ha notato, con meno severità del previsto, ma comunque lo ha notato, il presidente emerito Napolitano. E il presidente Grasso aveva tentato in ogni modo, muovendosi dietro le quinte, di impedire questo obbrobrio istituzionale. Quando Vito Crimi gli ha chiesto di dimettersi, Grasso gli ha risposto: «Quali che siano le mie decisioni personali e le mie intime motivazioni posso dire che può essere più duro resistere che abbandonare con una fuga vigliacca. Tutti sanno che il motivo per cui non ho accettato la candidatura alla presidenza della Sicilia è stato per potere continuare, con senso delle istituzioni, a espletare la mia funzione in quest’assemblea. Ritengo che questo sia il mio compito in questo momento. Le mie decisioni personali sono altra cosa. In questo momento io faccio il presidente del Senato e vado avanti con il mio compito. Si può esprimere il malessere, ma non è detto che, quando si ha il senso delle istituzioni, si debba obbedire ai propri sentimenti». I grillini hanno poi giudicato la scelta di lasciare il Pd «tardiva». Grandi lodi a sinistra, naturalmente.
• Veniamo a Visco.
Ricorderà che Renzi, con una mozione del Pd quasi imposta al governo, aveva indotto la Camera a sfiduciare il governatore della Banca d’Italia, contro la volontà di Mattarella, di Gentiloni, di Padoan e di Mario Draghi (a nome dell’Europa) che s’erano già decisi per la riconferma. Passata una settimana, Renzi risulta battuto, e direi malamente battuto. Il suo commento: «Se il presidente del Consiglio decide di confermare Visco io non lo condivido, ma andiamo avanti lo stesso».
• Metto il sale su queste ferite e chiedo: il Rosatellum approvato ieri garantirà almeno, dopo le prossime elezioni, la rapida formazione di un governo e un periodo di stabilità e pace politica?
Penso di no. Nessun partito dopo il voto avrà la maggioranza e neanche la somma di Forza Italia e Partito democratico riuscirà probabilmente a superare il 50%. Nel Pd, forse relegato in terza posizione dopo centro-destra e cinquestelle (non è detto in quest’ordine), s’aprirà una grossa crisi, aggravata dal fatto che al Nord, con la Lega rampante dopo i referendum del Lombardo-Veneto, Renzi rischia di prendere pochissimi voti. Il segretario tenta di recuperare battendosi adesso perché non si dia seguito all’automatisto previsto dalla legge sull’adeguamento a 67 anni dell’età pensionabile. Ma è una richiesta folle e che non solo non porta da nessuna parte, ma rischia di condurci al disastro.
• Perché?
Renzi è attratto dai sei milioni di italiani che beneficerebbero della deroga. Ma i rischi di bancarotta a questo punto sarebbero consistenti. L’affare pensioni e gli annunci di Mario Draghi ieri a Francoforte non promettono niente di buono.
• Che cosa ha annunciato Mario Draghi?
Lei sa che la Banca Centrale Europea era impegnata fino alla fine del 2017 a comprare ogni mese 60 miliardi di titoli pubblici. Un’operazione che si chiama «quantitative easing» (QE). In pratica: noi emettevamo senza patemi titoli del debito pubblico sicuri che oltre che dalle nostre banche - anche troppo esposte su questo fronte - sarebbero stati acquistati anche dalla Bce, e senza che la Banca centrale battesse ciglio. Ma è accaduto che la Bce abbia ormai attivi per quattro miliardi di euro, come la Fed, che la crescita dell’area euro sia ormai uguale a quella degli Stati Uniti e che in un anno, in Europa, gli occupati siano aumentati di sette milioni di unità. Anche se l’inflazione resta ancora troppo bassa, non c’è più ragione di adottare misure eccezionali come il Qe. Draghi ha quindi fatto sapere ieri che dal 1° gennaio e fino a tutto settembre la Bce acquisterà debito pubblico non più per 60, ma per 30 miliardi al mese. Le Borse hanno festeggiato, perché non s’aspettavano che la pacchia, ancorché dimezzata, durasse altri nove mesi (e anche perché il Visco riconfermato ha fatto uscire i mercati dall’incertezza). Il governatore ha promesso che i tassi resteranno fermi fino al 2019, ma di fronte a una minor tutela di Francoforte, a incertezze politiche generali e a pensate come quella di ritardare l’aumento dell’età pensionabile, il mondo potrebbe essere indotto e vendere titoli italiani e comprare debito tedesco, spingendo in su lo spread e tagliando fino a un punto e mezzo il nostro avanzo primario e deprimendo la crescita di uno 0,1 nel 2017, di uno 0,8 nel 2018 e di un punto nel 2020. Fa 25 miliardi di euro volati via. Sono calcoli del Tesoro. Sarebbe bene ogni tanto avere uno sguardo capace di andare un po’ più in là del turno elettorale.
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