Il Sole 24 Ore, 27 ottobre 2017
Il «non-tapering» della Bce sostiene i Btp
Come l’annuncio del tapering della Federal Reserve fece esplodere nel 2013 il panico dei mercati con il “taper tantrum”, il crollo dei prezzi e l’impennata dei rendimenti dei Treasuries, così il “non-tapering” della Bce – che è comunque l’annuncio di acquisti mensili dimezzati del QE da 60 a 30 miliardi dal gennaio 2018- ieri è stato accolto dal mercato dei BTp con una sorta di “taper happiness”, di sollievo. Eppure nei primi nove mesi dell’anno prossimo di sicuro Bce-Banca d’Italia acquisteranno 4 miliardi al mese circa di titoli di Stato italiani (valore facciale), rispetto agli 8-8,5 miliardi di media risultata dallo scorso aprile a fine settembre.
Ieri il rendimento dei Bund e dei BTp (questi ultimi calati sotto la soglia del 2%) è sceso rispettivamente di 7 e 9 centesimi dai picchi infragiornalieri, invece di salire vista la mini-stretta in arrivo. Lo spread che misura il rischio-Italia si è ridotto, sebbene la Bce acquisterà meno titoli italiani tra poco meno di tre mesi. E chi ha scommesso sul presunto free lunch, andando short Bund sul tapering di Draghi, ha perso e non poco.
Questa reazione a caldo è spiegabile per una serie di fattori che hanno pesato in maniera positiva sui BTp: i dettagli dell’annuncio erano stati anticipati (si veda il Sole24Ore del 24 ottobre) e dunque scontati nei prezzi. Tuttavia nel complesso la Bce è risultata più accomodante delle attese, e questo si è trasformato in una buona notizia per i BTp: nove mesi sono meglio dei sei temuti, 30 miliardi sono meglio dei 20 miliardi dei falchi, e l’open-ended è meglio di un programma chiuso perchè fa sperare che gli acquisti potranno continuare dopo il settembre 2018, tenuto conto che l’inflazione core l’anno prossimo è data in calo al’1,2%. La forward guidance infatti è stata più accomodante di quanto il mercato si aspettasse: il fatto che i tassi resteranno bassi “ben dopo” la fine del QE, con il tono rafforzato di Mario Draghi su quel “ben”, è stato un messaggio rassicurante per un Paese ultraindebitato come l’Italia che ogni anno deve rifinanziare attorno ai 200 miliardi di titoli di Stato a medio-lungo in scadenza. Proprio ieri l’asta dei CTz è stata assegnata per 3 miliardi al rendimento lordo negativo -0,167%.
L’enfasi che la Bce ha dato ieri al reinvestimento dei titoli scaduti (prendendo così nettamente le distanze dalla Federal Reserve che invece inizia a reinvestire una quantità inferiore a quella che scade, grazie a crescita e occupazione) è risultato un altro elemento di sostegno per i BTp. Finora il Public Sector Purchase Programme iniziato nel marzo 2015 ha portato nel bilancio della Bce/Eurosistema/Banca d’Italia 300 miliardi di titoli di Stato italiani (a valore di libro) che corrispondono a circa 260/270 miliardi a valore nominale: coprendo abbondantemente i 135 miliardi di emissioni nette positive. L’anno prossimo il Pspp comprerà 34 miliardi di BTp contro i 50 miliardi di emissioni nette, e questo resta un buon sostegno.
In prospettiva, dopo la fine del QE nel 2018, la Bce deterrà 300 miliardi di debito pubblico italiano e lo farà per parecchi anni a venire: la Federal Reserve ha atteso oltre tre anni dalla fine del QE per annunciare e implementare una graduale riduzione del bilancio, il calo dello stock dei titoli acquistati.
Esiste poi un’altra differenza tra le due banche centrali: la Fed reinveste capitale e cedole mentre per la Bce l’incasso dei coupon è un profitto che viene restituito agli Stati emittenti dalle banche centrali nazionali (che detengono oltre l’80% dei titoli del proprio Paese acquistati nel Qe). Non da ultimo, Draghi ha sottolineato i margini di flessibilità che la Bce ha all’interno del Pspp per gestire il problema della scarsità di alcuni titoli, concedendo una deviazione dalla chiave capitale (ripartizione degli acquisti in base a Pil e popolazione del Paese emittente). Unicredit ha calcolato che lo scostamento dalla chiave capitale dallo scorso aprile è evidente per Francia e Italia, in positivo, per la Germania in negativo. Non esiste però un cuscinetto di intervento temporaneo legato a eventi specifici: «Nei dati sugli acquisti mensili della Bce non c’è evidenza che questi siano stati più o meno intensi per periodi brevi, magari in modo mirato a ridurre la volatilità – ha detto Luca Cazzulani, deputy head of FI Strategy a Unicredit -. Quel che risulta dall’analisi dei dati, per contro, è come la flessibilità implicita nel programma sia stata usata. Negli ultimi mesi Francia e Italia sono state acquistate in misura superiore alla capital key mentre la Germania è stata acquistata con minor intensità».
Che il tapering sia sinonimo di baldoria per i titoli di Stato italiani è però tutto da dimostrarsi, oltremisura ottimistico guardando al medio termine e con le nuvole nere della turbolenza politica che si addenseranno all’orizzonte per le elezioni 2018. Nessun trader va contro una banca centrale e il fatto che la Bce continuerà ad acquistare BTp l’anno prossimo alzerà uno scudo per contrastare la tendenza short. Ma quando i mercati si sveglieranno dal loro torpore indotto dal QE, e inizieranno a fare i conti con l’Italia che deve collocare 400/450 miliardi di aste lorde l’anno, allora peseranno Pil, debito/Pil, cammino delle riforme strutturali, credibilità del governo.
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