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 2017  ottobre 27 Venerdì calendario

Al centro dei conflitti finiscono le renne. Con aringhe e balene

C’è una guerra, testarda e silenziosa, che si combatte tra terra e fango, boschi e ghiacci, nelle acque gelide alla fine del mondo, dove i confini sono labili ed è facile sbagliarsi. Ma dove l’errore non viene perdonato. Perché guai ad alterare i delicati ordini creati dopo anni di dolorosissimi accordi. Patti che regolano e mantengono equilibri di economia geopolitica. Che spesso sostengono economie di popoli interi e hanno a che fare con gli animali. Renne, balene, aringhe, diventano così oggetto di contenziosi tra Stati.
Per frenare la caccia delle balene dei norvegesi ad esempio, il Parlamento europeo è entrato a gamba tesa. Cacciarle e venderne le carni al Giappone sarà sempre più difficile, e per renderlo impossibile si gioca sulla territorialità. Il Parlamento ha chiesto infatti di evitare il transito del mercato unico europeo. Insomma, vengono tagliate così le strade a chi commercia la carne di balena. Vietato il transito nei porti degli Stati membri. Ispezioni, confische, multe. E la battaglia non sarà a costo zero.
C’è un altro fronte caldo, quello delle aringhe e degli sgombri, la guerra dell’Unione europea contro le Isole Far Oer, per contrastare lo sfruttamento indiscriminato degli stock ittici. Tutta colpa della voglia di indipendenza del piccolo arcipelago legato alla Danimarca, che nel 2013, in modo unilaterale, ha deciso di uscire dal piano di gestione e di quote prestabilite di catture concordato tra Norvegia, Russia, Islanda, Isole Far Oer e Ue. Un accordo che ha funzionato fino a quattro anni fa quando l’arcipelago ha fatto marcia indietro dalle quote prestabilite stabilendo una quota oltre tre volte superiore a quella precedentemente concordata. Dopo mesi di avvertimenti e lettere rimaste senza risposta, Bruxelles ha deciso di intervenire. E per un anno ha imposto il divieto di importare aringhe e sgombri prelevati dagli stock atlantici scandinavi e catturati sotto il controllo delle Isole Far Oer. Una guerra su tutta la linea. Le navi battente bandiera del piccolo arcipelago non hanno potuto entrare nei porti Ue salvo emergenze. «Pesche insostenibili – accusano da Bruxelles -, abbiamo dovuto porre un freno. La sostenibilità va difesa». Un anno dopo la tensione è rientrata. Ma l’Ue ha avvertito che le quote rimarranno rigide e non verranno accettati altri sgarri da parte delle isolette.
Sono anni che il popolo lappone lotta per far pascolare liberamente le proprie renne. Questione solo apparentemente secondaria. È che loro, una delle popolazioni indigene più antiche, abitano tra Norvegia, Svezia e Russia. E vivono di pastorizia, le renne appunto, che pascolano libere e che non sempre riescono a rispettare i labili confini tra ghiacci e boschi. Una popolazione indigena di circa settantacinquemila persone stanziata nella parte settentrionale della Fennoscandia, in un’area da loro chiamata Sápmi. Ed è qui che sorgono i problemi con i confini perché il loro territorio di origine è diviso dalle frontiere di quattro Stati, la Norvegia dove vive la comunità più ampia con 40mila sami, la Svezia (20mila), la Finlandia (7mila) e Russia (2mila). I lapponi, o sarebbe meglio dire sami, come preferiscono chiamarsi loro, hanno la loro storia, la loro lingua, insomma un’identità ben definita e che nei secoli si è ben poco amalgamata. Eppure, nei secoli, per sopravvivere in un ambiente così impietoso i sami hanno sviluppato un forte senso di adattabilità. Il problema però sono gli animali. Le renne che rappresentano la principale fonte di reddito per la popolazione a cui piace spesso e volentieri oltrepassare le barriere che distinguono gli Stati confinanti.
E così, dopo troppe invasioni di campo, innumerevoli insofferenze e richiami caduti nel vuoto, è scattato il rimprovero ufficiale del ministro dell’Agricoltura norvegese che ha scritto al suo collega svedese minacciando di imporre unilateralmente un tetto al numero di renne che giungono sulle coste della Norvegia, distruggendo i propri pascoli. E non solo. Una vera e propria invasione a cui Oslo non intende più sottostare. «Sono troppe sul nostro territorio», sono pericolose, gli animali ostacolano la circolazione sulle strade, creano gravi incidenti, ostacolano i lavori pubblici, i lavori nelle miniere.
Un fastidio che negli anni è diventato qualcosa di più, un problema politico vero e proprio. Eppure i due Paesi sono in amicizia e hanno un accordo siglato dal 1751 che prevede la libertà controllata di pascolo, transumanza ed esodo delle greggi di renne. Attorno ruota un’intera economia che si sviluppa e sopravvive grazie alla pastorizia. Questione entrata nell’agenda politica, intrisa di rivendicazioni indigene. I sami hanno accettato il tetto al numero di renne, mentre quelli svedesi affermano che la Norvegia «non capisce le nostre ragioni». La trattativa resta impantanata per ora. Ma quando gli animali sconfinano tra Stati non proprio amichevoli, qui allora la cosa si complica ancora di più.