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 2017  ottobre 27 Venerdì calendario

Io e Bruce che ancora non era il Boss. Intervista a Frank Stefanko

Il giorno in cui Frank Stefanko scattò la copertina di uno dei dischi più famosi di Bruce Springsteen, si fece prestare la macchina fotografica e chiese a un ragazzino che abitava vicino a casa sua di reggere l’unica luce che aveva. Era il 1978 e tre anni prima Springsteen aveva pubblicato il suo primo album di successo, Borri to Run. All’epoca Stefanko lavorava in un mattatoio e nei fine settimana si divertiva ad andare a New York per fotografare qualche artista emergente. Amava la musica e la fotografia ed era già un fan sfegatato di Springsteen. La prima volta che aveva ascoltato le sue canzoni aveva poco più di vent’anni: era nel salotto di casa e alla radio trasmettevano un concerto live del primo album del Boss, Greetings from Asbury Park. L’album non aveva avuto molto successo ma per Stefanko, invece, fu una sorta di folgorazione. Da quel momento il suo gusto musicale cambiò per sempre: «I was Brucified» dice con un gioco di parole al Venerdì dalla sua casa del New Jersey.
Subito dopo aver ottenuto la copertina di Darkness on the Edge of Town, l’album in cui Springsteen aveva trovato la sua voce adulta interrogandosi sui problemi che tenevano in scacco la working class americana, Stefanko ottenne anche la copertina di The River, l’album in cui entrarono in scena l’amore, la famiglia e il matrimonio, consacrando così quella che sarebbe diventata un’amicizia di quarant’anni. «Le fotografie di Frank erano nude e crude» ha scritto Springsteen nella sua autobiografia. «Quelle immagini possedevano una purezza francescana: erano incantevoli e sincere, non costruite».
Le immagini di cui parla Springsteen sono solo alcune delle fotografie che Stefanko ha deciso di pubblicare in Further Up thè Road: il libro della casa editrice Wall of Sound che, con più di 400 immagini, ripercorre i momenti più importanti che hanno unito per decenni i due artisti. Una selezione di scatti, dal 18 novembre, sarà esposta ad Alba (Cuneo).
Stefanko, come riuscì a entrare in contatto con Springsteen?
«Fu solo grazie al destino. Quando ero ragazzino andavo scuola con Patti Smith, eravamo amici. Qualche anno dopo le dissi che quel Bruce Springsteen sarebbe diventato famoso. La prima volta che l’avevo sentito ne ero rimasto folgorato. Un giorno lui andò a vedere un concerto di Patti a New York, e nel backstage lei gli disse: “Diventerai famoso, sai? Lo dice il mio amico Frank del New Jersey”. Qualche anno dopo ancora, mentre Bruce stava lavorando a Darkness on thè Edge of Town, vide alcune delle foto che avevo fatto a Patti, quindi alzò il telefono e mi chiamò: “Hey Frankie, incontriamoci e facciamo qualche scatto“».
Dopo qualche giorno avete fatto il servizio a Haddonfleld, New Jersey, tra casa Springsteen e le vie del suo quartiere.
«Sì, esatto. E con quel servizio, che sarà durato circa quattro giorni, ho ottenuto di fare la copertina di due degli album più famosi di Springsteen: Darkness on thè Edge ofTown e The River. Sempre in quei giorni scattai anche Corvette Winter, la fotografia in bianco e nero, quella famosa in cui lui sta appoggiato alla macchina. L’hanno utilizzata anche per la cover della sua autobiografia,Bom toRun.E pensare che con quella posa avevo fatto solo uno scatto...».
Nonostante il successo, però, lei non è mai diventato un fotografo di professione e ha continuato a lavorare in un mattatoio. All’epoca aveva poco più di vent’anni, amava la musica e la fotografia e aveva fatto una cover di Springsteen. Possibile che non abbia mai avuto la tentazione di mollare tutto e diventare il fotografo delle rockstar?
«A dire la verità quando ho iniziato a lavorare con Bruce la tentazione di andare a New York, prendere uno studio e lavorare con i migliori artisti ce l’ho avuta. Ma non potevo permettermelo: avevo una famiglia e avevo bisogno di uno stipendio a fine mese. Così, il solo salto che ho fatto da allora è che oggi invece di fare l’impiegato sono il proprietario della società. Nulla a che fare con l’arte: distribuiamo cibo a casinò, alberghi, cantine, scuole». Springsteen ha anche detto che le sue foto fanno intuire i conflitti con i quali lui era alle prese. Come ci è riuscito? È vero che scattava senza neanche aver letto i testi delle canzoni?
«Molto semplicemente mentre scattavo guardavo quel ragazzo che stava di fronte a me ed era come se avessi davanti mio fratello: venivamo tutti e due dal New Jersey, da una famiglia operaia con madri italiane e ci piaceva la stessa musica. Avevamo molto in comune, e mi sembrava di avere davanti un amico».
In Further Up the Road ci sono le foto inedite che lei aveva scattato nel ’92 per l’album Nebraska, che poi però non furono utilizzate. Eppure è stata l’unica volta che aveva letto i testi prima...
«Quando ho ascoltato Nebraska ho pensato che Bruce fosse passato dal rock and roll alla folk music e al rockabilly. Così quando ho iniziato a scattare mi sono concentrato sul rockabilly, pensando a gente tipo Elvis. Ma in realtà i personaggi di Nebraska erano molto più duri e tenaci, e Bruce cercava qualcosa di più ruvido, grezzo. Credo che sia per questo che alla fine ha scelto la foto di David Michael Kennedy dove è ritratta una landa desolata vista dal cruscotto di una macchina». Poi per quasi vent’anni non ha scattato più nulla. Nel 2004, invece...
«Bruce cercava qualcuno per Devils & Dust. Ancora una volta il telefono ha squillato e io ovviamente sono corso da lui. Ma all’epoca non ero soddisfatto dello shooting mentre oggi, riguardando quelle fotografie, direi che sono una testimonianza importante: in quel momento Bruce era molto provato dalla sconfitta di Kerry alle presidenziali contro Bush... Quella è stata l’unica volta che l’ho visto veramente giù, nonostanteda anni soffra di depressione». Leggendo il libro si ha la sensazione che lei abbia sempre aspettato che fosse Springsteen a chiamarla, senza mai forzare le cose.
«Le uniche volte che l’ho chiamato è stato per fargli gli auguri. È uno che ha un sacco di cose da fare, non ha tempo da perdere in chiacchiere. Abbiamo lavorato insieme quando era il tempo di farlo.
Quando non lo era, ho continuato a fare il mio mestiere e ho lasciato che lui facesse il suo. C’è sempre una sorta di dovere quando lavori con una persona di un certo tipo: è una sorta di protocollo al quale devi attenerti. E poi il fotografo non conta niente: la persona che stai fotografando è importante, tu devi solo metterla sotto la giusta luce».
Perché Springsteen si è fidato di lei?
«Bella domanda... Forse perché ci siamo riconosciuti sin dall’inizio: io l’ho visto come un ragazzo normale e lui mi ha visto come un ragazzo normale. Anche se adesso lo considero un ragazzo normale incredibilmente famoso».
L’ultima volta che l’ha incontrato è stato ad aprile. Com’è cambiato il Bruce del 2017 rispetto a quello del 1978? Non risponda da gentiluomo però.
«Non è cambiato per niente! Giuro!». Ma poi scoppia a ridere.