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 2017  ottobre 27 Venerdì calendario

Zonin, banchiere fallito e perdonato dai giudici

Ancora uno sfregio al risparmio. Il banchiere che la fa franca. I soci e gli altri creditori destinati a restare a bocca asciutta. È questo il verdetto emesso ieri mattina dal Procuratore della Repubblica di Vicenza Antonio Cappelleri. Nel corso dell’audizione alla commissione bicamerale d’inchiesta sulle banche il magistrato è stato molto netto: «La Banca Popolare di Vicenza è stata svuotata di qualunque sostanza effettiva e dunque ogni richiesta di sequestro sarebbe inutile. Oramai temo che uno strumento concreto ed efficace non lo abbiamo più in mano». Lo stesso insuccesso cui andranno incontro le eventuali richieste di rimborso fatte direttamente a Gianni Zonin e agli altri dirigenti che hanno contribuito a distruggere la ex popolare. Primo fra tutti l’ex direttore generale Samuele Sorato uscito nell’estate del 2015 con una liquidazione di poco inferiore a cinque milioni. «Chiedemmo il sequestro del loro patrimonio ricorda Cappelleri ma il gip lo negò». Un cavillo giuridico che permise a Zonin, Sorato e a tutti gli altri di evitare di mettere in gioco il loro patrimonio personale. 
La pausa ha permesso ai protagonisti di mettere al sicuro i loro beni. Zonin, che era andato via con una buonuscita di un milione di euro risulta oggi nullatenente. Ha girato ai figli la proprietà della casa vinicola di famiglia. Il passaggio è stato giustificato come un normale passaggio delle consegne vista l’età di papà (80 anni a gennaio). Il sospetto che non sia esattamente così è molto forte. Tuttavia ormai è fatta e non sembra possibile tornare indietro. Oggi il patrimonio dell’ex banchiere è composto da una cappelletta di 75 mq a Radda in Chianti, un bosco a Gambellara e un vigneto. Mettendo tutto insieme non si arriva, probabilmente, nemmeno a cinquantamila euro. Una goccia nell’oceano di perdite provocate da vent’anni di gestione sciagurata della banca vicentina. 
A Pierferdinando Casini e agli altri membri della commissione che l’ascoltavano Antonio Cappelleri ha fornito un’analisi con molti sospetti sul comportamento degli altri magistrati che in passato hanno occupato la sua poltrona: «Questa vicenda è una riedizione di comportamenti già verificati indietro nel tempo. Ci sono stati altri due procedimenti di indagine, uno intorno al 2001 uno al 2007-2008, entrambi orientati all’accertamento di irregolarità e quello del 2008 è per molti aspetti speculare all’indagine effettuata. Quelle indagini ha concluso si sono chiuse con archiviazioni». Certo i comportamenti sospetti non erano mancati. Dall’acquisto effettuato da Silvano Zonin fratello di Gianni di un palazzo a Venezia subito affittato a caro prezzo proprio a BpVi. Ad altre anomalie «che rappresentavano come Zonin usasse la banca come una delle sue tante aziende: un viaggio a Parigi a spese della banca, l’uso della carta di credito dell’Istituto per una vacanza personale, la elargizione di denaro della banca a sindacalisti e parrocchie del Veronese, l’uso personale di un aereo della banca...».

La Procura di Vicenza, però, non si era mai mossa. Quando scoppia lo scandalo è il tribunale a dare una mano a Zonin e agli altri i responsabili della banca. Il gip dopo avere studiato per quattro mesi il fascicolo, si dichiarò incompetente per territorio. Trasmise gli atti a Milano, ritenendo che lì si fosse consumato il reato di ostacolo alla vigilanza nei confronti di Consob. Un passaggio apparentemente senza senso, visto che la Consob ha sede a Roma. Risultato: provvedimento bloccato. I pm di Milano rinviarono le carte all’ufficio gip, dichiarandosi a loro volta incompetenti. A decidere doveva essere la Cassazione. 
Un comportamento che Cappelleri aveva pubblicamente condannato prendendosi anche un’ammonizione da parte del Csm. 
Tanto girare di carte tra i diversi tribunali italiani è stato fondamentale per Zonin e compagnia. Hanno potuto occultare il loro patrimonio personale lasciando i creditori a bocca asciutta. Gli azionisti dovranno accontentarsi del 28% di rimborso messo a disposizione dalla banca prima di essere assorbita da Banca Intesa insieme a Veneto Banca. 
Per il resto non vedranno un soldo. Anche su questo Cappelleri ha strappato ogni illusione. Ha spiegato che i creditori possono aggredire solo la bad bank: vale a dire la carcassa della Popolare che Intesa non ha voluto. La polpa, invece, è finita all’istituto guidato da Carlo Messina. A proteggere il passaggio c’è il decreto approvato a tutta velocità dal governo all’indomani della transazione. Risultato? I risparmiatori non vedranno un centesimo. Peggio ancora di come era andata trent’anni fa ai soci del Banco Ambrosiano (sulle cui ceneri è nata Intesa). A loro era stato dato un premio di consolazione. Per Popolare Vicenza solo una mancia.