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 2017  ottobre 27 Venerdì calendario

Ora il debito italiano tornerà a frenare una gracile ripresa

L’immenso debito pubblico italiano al momento ci sta costando poco. L’espansione monetaria da cui ieri Mario Draghi ha annunciato la graduale uscita ha ridotto a un minimo da 35 anni il carico degli interessi pagati dal Tesoro (chi ha un mutuo casa a tasso variabile può farsene un’idea).
I tassi non erano mai scesi così in basso. Nel 2016 pagare cedole sul debito pubblico è costato il 4% del prodotto lordo italiano, ovvero l’8% delle spese complessive dello Stato, o ancora il 13% delle tasse e imposte che paghiamo. Poco, appunto, nel paragone storico. Il guaio è che ci stiamo abituando male. O meglio, i politici si stanno abituando male.
Negli anni prossimi questo peso aumenterà, così come per le famiglie si appesantiranno le rate di mutuo a tasso variabile. Non in fretta, per fortuna. Ci troviamo in un’epoca di costo del denaro storicamente basso; la Bce non toccherà i suoi tassi ufficiali ancora per molto (tra gli analisti di mercato si discute se all’incirca tra un anno o ancora dopo). Tuttavia, il Tesoro dovrà pagare di più. Quanto al bilancio 2018 lo ha già messo in conto, adeguandosi alle previsioni correnti sui mercati finanziari.
Il pericolo vero è un altro: gli imprevisti. Con la Bce che ridurrà i suoi acquisti, il prezzo d’asta dei titoli di Stato italiani diverrà via via più sensibile alle variazioni di umore degli investitori. I governi che verranno pagheranno più cari i loro errori. Mosse sbagliate potranno più facilmente far salire lo «spread» rispetto ai titoli tedeschi. E poi si tratta di oneri che durano nel tempo; secondo l’Upb, l’organo di controllo sui conti pubblici, sul bilancio di quest’anno grava ancora per 7,6 miliardi (125 euro a testa ogni italiano) il crack sfiorato nel 2011.


Di precauzioni ne sono state prese. Il Tesoro negli ultimi tempi ha emesso di preferenza titoli a tasso fisso e a più lunga durata, in modo da garantire il più possibile pagamenti invariati. Oggi circa il 60% del debito pubblico è formato da BTp a tasso fisso con scadenza superiore a 5 anni. Ma con un debito così grande la quota esposta alle variazioni dei tassi resta sufficientemente minacciosa.
Un paradossale vantaggio lo si potrebbe trovare. Dal 2015 ad oggi, con gli interessi quasi a zero, anzi addirittura sotto zero per i BoT a più breve scadenza, e poco sensibili alle vicende nazionali, sembrava che il solo ostacolo per lo Stato italiano a indebitarsi fossero le regole di bilancio europee. Questa illusione dovrà a poco a poco scomparire.
Chi compra titoli di Stato italiani guarda alla sostenibilità del debito negli anni. Per questo motivo sono cruciali le scelte in materia di previdenza, che di solito impongono oneri crescenti. Rinviare a dopo le elezioni la decisione sullo scatto dell’età di pensione dal 2019 «non costa nulla», come è stato detto ieri, solo se è un raggiro; ossia se chiuse le urne si procederà ad adottarla.
I tempi lunghi annunciati ieri da Draghi forse eviteranno che le promesse più sgangherate della campagna elettorale – se per esempio si riparlasse di un referendum sull’euro o di una impraticabile doppia moneta – abbiano effetti devastanti. Ma dopo? Non dipende solo dall’Italia, dipende anche da come andranno i negoziati per dare un migliore assetto all’area euro. Non bisogna dimenticare che i mercati finanziari sono gregari e spesso irrazionali; abbastanza potenti da accelerare con la propria azione i fenomeni che temono. Si sente dire che una Italia instabile dopo il voto l’hanno già messa in conto; ma se all’improvviso gregariamente si convincessero di aver sottovalutato il rischio, la gara a puntare al ribasso si farebbe rovinosa.