
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Obama non cessa oggi di essere il presidente degli Stati Uniti, anzi formalmente il presidente degli Stati Uniti non è stato ancora eletto: sono stati invece eletti i delegati che il 19 dicembre (il lunedì successivo al secondo mercoledì del mese) eleggeranno il capo dello Stato. Neanche quel giorno, però, la responsabilità di Barack verrà a cessare. Egli resterà in carica fino a mezzogiorno del 20 gennaio 2017. In teoria, se la mattina del 20 gennaio 2017 bisognerà decidere se entrare in guerra o no, sarà Obama a doversi pronunciare.
• Accidenti.
In realtà il vecchio presidente, nel periodo di interregno, non fa nulla senza consultarsi col nuovo. Bush junior, per esempio, a cui la crisi dei subprime scoppiò in mano proprio in questo periodo incerto, concordò col suo successore il da farsi. In ogni caso, anche se formalmente ancora in sella, Barack ha già lasciato la Casa Bianca, e s’è trasferito con la famiglia nel più prestigioso quartiere di Washington, che si chiama Kalorama. Ha preso in affitto, per 22 mila dollari al mese, una villa di 9 camere e 8 bagni. Lì resterà, con Michelle e le due figlie Malia e Sasha, finché Sasha non si sarà diplomata all’istituto Sidwell Friends, evento che dovrebbe verificarsi nel 2018. L’archivio personale del presidente è stato invece spedito a Chicago, dove la famiglia ha preso in affitto un ex deposito di mobili che si chiama Hoffman Estates. Per trasferire tutte le carte ci sono voluti 53 autotreni e 24 viaggi. Hanno sorvegliato l’impresa 24 militari, mentre a Chicago le operazioni di scarico sono state affidate a 40 marinai della Naval Station Great Lakes. Ha coordinato le operazioni il colonnello Vianesa Vargas, una nera che ha combattutto in Iraq ed è stata distaccata alla Casa Bianca nel 2009. Curiosità: Obama non le ha mai rivolto la parola.
• Che cosa fa uno quando è uscito dalla Casa Bianca?
Come tutti gli ex-presidenti, Barack si prepara a vivere (e bene) tenendo conferenze e scrivendo libri. Le case editrici avrebbero già pronti per lui contratti per un valore compreso tra i 25 e i 40 milioni di dollari.
• E se dovesse tornare precipitosamente in ufficio per qualche faccenda?
No, lo Studio Ovale sarà l’ultimo a essere sgombrato, la stessa mattina del 20 gennaio.
• Che giudizio diamo di Obama alla fine di otto anni di presidenza?
È stato un mediatore forse persino esagerato: cercando per ogni conflitto una soluzione negoziata alla fine s’è trovato di fronte l’Isis. Con qualche caduta forte in politica estera: promise che gli Stati Uniti sarebbero intervenuti con tutta la loro forza in Siria se Assad avesse superato la linea rossa delle armi chimiche, e quando poi arrivò il momento restò fermo. Gli si imputa l’uso dei droni in Pakistan e nello Yemen, spediti in missione senza badare troppo al danno collaterale dei molti civili inceneriti. Però Obama è anche stato un presidente molto restio all’uso della forza. Il calendario relativo al ritiro americano dall’Afghanistan è stato sostanzialmente rispettato, a parte un iniziale incremento di truppe voluto dai generali (il cosiddetto surge). Dall’Iraq se n’è andato nel 2011, in Siria ha mandato gli aerei, ma detto e ripetuto che non avrebbe mai sbarcato truppe di terra. Certo, c’è il problema dei rapporti con Putin: è solo colpa del cinismo russo se siamo di nuovo in una specie di guerra fredda? Putin ha giocato il suo grande avversario, che attraverso l’allargamento della Nato a Est ha cercato di stargli a ridosso, sia in Georgia che in Ucraina. Però, accanto a queste mosse che hanno favorito l’aumento della tensione internazionale, c’è il ritrovato rapporto con Cuba e con l’Iran, due risultati importantissimi. In Liba la Casa Bianca ha seguito la strada maestra di dar retta all’opinione italiana, dato che, nella visione del Pentagono, noi conosciamo quel paese meglio di loro. E può darsi che su questo gli americani, che hanno da noi un centinaio di basi, abbiano persino ragione.
• E in politica interna?
Il sistema sanitario, naturalmente, parecchio depotenziato dal congresso, ma comunque entrato in vigore: assicurazione sanitaria obbligatoria per tutti, con un contributo dello Stato per i meno abbienti. I repubblicani lo chiamano “Obamacare” e gli imputano di essere il cavallo di Troia del socialismo in America (è comunque sgradito a un 56% di americani, secondo l’Economist). In ogni caso Barack ha messo sotto tutela 13 milioni di americani che non avevano la garanzia dell’assistenza sanitaria. Il problema è che negli Stati Uniti la metà circa dei lavoratori ha la copertura sanitaria compresa nel contratto di lavoro e il Medicare di Obama li ha costretti qualche volta a lasciare la vecchia assicurazione per una protezione pubblica di qualità peggiore o troppo costosa. Non dimenticherei infine i dati formidabili della disoccupazione, che oscilla adesso tra il 4 e il 5% (una quota da sogno), e il salvataggio, tra il 2007 e il 2008, di General Motors e Chrysler, cioè il sistema automobilistico Usa, anche attraverso il contributo della Fiat di Marchionne. L’altra faccia della medaglia è il debito pubblico americano, ormai sopra i 20 mila miliardi di dollari, cioè prossimo al 110% del Pil.
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