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 2016  novembre 09 Mercoledì calendario

IL MIO COLPO D’ALA– [Denis Verdini] Senatore Verdini, per quale squadra di calcio tifa? «Rispondo Fiorentina, se no in casa mi ammazzano

IL MIO COLPO D’ALA– [Denis Verdini] Senatore Verdini, per quale squadra di calcio tifa? «Rispondo Fiorentina, se no in casa mi ammazzano. Ma la verità è che a me piacciono solo Messi, Totti, un tempo Maradona, Pelé, Platini, i grandi fuoriclasse». L’essenza umana e politica di Denis Verdini è tutta in questa risposta: un amore per il leader che sconfina nell’adorazione. E poi per il bello e gli aspetti goderecci della vita. «Meglio viverla appieno, sdrammatizzare, prenderla con ironia», dice. Spende quindi per le belle auto («solo berline, quelle sportive mia moglie me le vieta»), per i bei ristoranti, soprattutto per i bei vestiti. Quando lo incontro è elegantissimo: completo di sartoria bluette, cravatta e bretelle in tinta, scarpe scamosciate blu. La moglie Simonetta Fossombroni, sposata in seconde nozze, mi dice che possiede oltre tremila cravatte e che, nella loro casa sulle colline di Firenze, a Pian dei Giullari, lui ha come guardaroba tre grandi stanze, lei solo un armadio; lui è quello che parte con i bauli, lei con il trolley. «Un gran vanitoso», chiosa la signora. «Una passione», spiega lui, «che nasce da un’esigenza: iniziai giovanissimo a fare lavori anche molto importanti, dovevo darmi un contegno. Oltre all’abito formale mi feci crescere i baffi». Oggi che ha 65 anni, i baffi hanno lasciato il posto a una vistosa abbronzatura («naturale, sto sempre in giardino») e la chioma nera a una criniera argentata che cura molto («i capelli mi crescono velocemente»). In mezzo, tante vite professionali diverse: importatore di carni, commercialista, immobiliarista, banchiere (con il Credito Cooperativo Fiorentino di Campi Bisenzio), editore (è stato azionista anche del Foglio fino al 2015) e, dopo i 40 anni, politico a tempo pieno. Ex allievo di Spadolini a Scienze politiche, liberale di formazione, per vent’anni è stato al fianco di Berlusconi, dal 2008 come coordinatore nazionale di Forza Italia. Da quell’esperienza è uscito con un bagaglio pesante: preparatore di liste elettorali e tessitore di mediazioni che spesso coinvolgevano parlamentari di schieramenti diversi, è considerato un politico spregiudicato, un mercante di senatori. Tanti i procedimenti giudiziari a suo carico, alcuni ancora in corso: è accusato di corruzione nella gestione di appalti pubblici e, come membro della P3, di truffa e bancarotta fraudolenta in quella del Credito Cooperativo Fiorentino. Pragmatico e ottimista, Verdini ha continuato imperturbabile a fare politica e nel 2014 è l’artefice del Patto del Nazareno tra Berlusconi e il premier Renzi per collaborare sulle riforme costituzionali e la legge elettorale Italicum. L’accordo si è rotto il 31 gennaio 2015 sull’elezione di Sergio Mattarella a presidente della Repubblica. Sette mesi dopo. Verdini è uscito da Forza Italia e ha fondato Ala (Alleanza Liberalpopolare-Autonomie), dichiarando di voler sostenere il disegno di riforma costituzionale promosso dal governo Renzi. Oggi è in prima linea per il Sì al referendum. Lo incontriamo con la moglie a Roma. I coniugi fanno avanti e indietro da Firenze, come i loro due figli: Francesca, 24 anni, che studia alla Luiss per diventare produttrice cinematografica: Tommaso, 26, laureato in Economia, che ha aperto con quattro amici un ristorante di sola pasta (Pastation) a Firenze e adesso sta preparando il secondo a Roma. Denis ha anche una terza figlia da un matrimonio giovanile, Diletta, 37 anni: vive a Firenze e l’ha reso già nonno. Che padre è Verdini? Simonetta: «Poco presente per via della politica. Poi li vizia, gli compra tutto quello che vogliono». Denis: «Le racconto una storia. C’era un uomo che aveva scelto un lavoro tranquillo per stare molto a casa, e i suoi figli lo detestavano. C’era un padre che faceva l’imprenditore ed era sempre in giro, e i figli lo detestavano». Come ha gestito la famiglia allargata avendo già una figlia dal primo matrimonio? D.: «Io e la mia prima moglie ci siamo separati quando aveva un anno. La bambina è cresciuta con sua madre ma adesso è una donna. E io il padre non l’ho fatto a nessuno dei miei figli, la mia assenza toccava a tutti». Come vi siete conosciuti con Simonetta? S.: «A 29 anni, da amici comuni. Io ero scappata da un matrimonio già due volte. Denis mi ha colpito per l’intelligenza: aveva studiato e lavorato durante l’università, era un uomo. Però era già stato sposato, con una figlia, e per un po’ sono stata sulle mie. Ma lui mandava fiori, era sempre disponibile...». D.: «Ho fatto tutto quello che andava fatto, è stata dura, ma l’ho convinta». Vi univa la passione per la politica? S.: «Vengo da una famiglia di tradizione socialista e liberale, da noi c’erano spesso Pertini e Spadolini, di cui divenni poi l’assistente. Smisi quando nacquero i bambini». D.: «Mio padre era un liberale ma anche un reduce di guerra: si fece sei anni da prigioniero in Russia. Si immagini gli scontri quando io diventai sessantottino. Mi passò presto, però: nel frattempo avevo iniziato a lavorare, come importatore di carni, per rendermi indipendente. E poi feci il commercialista senza esserlo davvero, anche se in seguito l’esame l’ho dato». Perché tutti scrivono che era un macellaio? «Forse perché è un’espressione che in politica mi si attaglia: nelle liste, qualcuno entra e a qualcuno devi tagliare la testa. In politica arrivai perché Spadolini mi chiese di candidarmi, e lì mi appassionai». Con il benestare della signora? S.: «Forza Italia sembrava un bel progetto: un partito liberale di massa. Ma mi sono disamorata di Berlusconi ben prima di lui, la politica non era più la stessa». D.: «Berlusconi ha portato una grande modernizzazione: si rompe il sistema dei partiti e si introduce il concetto di leadership, la personalizzazione della politica. Nelle grandi democrazie estere funziona così da tempo, permette ai cittadini di scegliere chi li governa e impone al capo le sue responsabilità. Questo dovrebbe portare all’alternanza in democrazia, ma in Italia le responsabilità non se le prende mai nessuno». Per questo oggi sostiene Renzi? «Sì. I leader superano gli steccati delle ideologie e ricompattano. Altrimenti, come si spiega che in America una volta vincono i Repubblicani e una volta i Democratici? La gente che vota è sempre la stessa». Renzi è fiorentino come lei. La vostra è una conoscenza di vecchia data? «No, è molto più giovane di me, aveva rapporti più con i miei figli. Lo apprezzavo perché non ha mai attaccato Berlusconi e ha modernizzato la sinistra. Suo padre Tiziano, con cui dicono che avrei fatto affari, l’ho visto al massimo due volte e nemmeno me le ricordo». Simonetta, a lei Renzi piace? S.: «Sì, il suo mi sembra un bel progetto. Mi ero distaccata dalla politica anche perché la vicinanza con Berlusconi ci ha rovinato la vita: processi e attacchi dalla stampa». D.: «Io non sono d’accordo. Ho una serie di procedimenti giudiziari pesanti, ma sarebbe scorretto attribuirli alla politica. Piuttosto, è vero che se fai politica sei più “attenzionato”. Certo è pesante ignorare le cose orribili che scrivono su di me ma vivo sapendo di avere un rapporto con la mia coscienza molto serio e che una persona è innocente, fino a prova contraria». Si è mai pentito di qualcosa che ha fatto negli anni in Forza Italia? «No. Ho lavorato vent’anni con Berlusconi, un genio e un grande innovatore della politica. Certo, dispiace che sia finita così. Ma quando mi danno del voltagabbana è un giudizio assai superficiale: proprio per tutelare la democrazia, la Costituzione prevede che i deputati non abbiano vincolo di mandato. Se a me, senatore di Forza Italia, il partito ordina di votare no ai provvedimenti di Renzi che riducono le tasse, aboliscono la tassa sulla prima casa, le more del fisco, rendono più mobile il mercato del lavoro, riducono il ruolo dei sindacati – ovvero tutte le cose per cui noi del centrodestra ci battiamo da vent’anni – devo sentirmi libero di esprimermi secondo la mia coscienza e coerenza». Non tutti i senatori che cambiano casacca o spostano i voti lo fanno però per motivi ideali. «C’è una ragione ideale e c’è una ragion pratica, che non va demonizzata: se un senatore mi viene a dire che non si trova più bene nel suo partito e vuole cambiare, non ci vedo nulla di male. La politica è complicata. Sono andato di recente a vedere un film su Lincoln e il suo braccio destro, al quale mi avevano paragonato: compravano i senatori per far passare la legge che rendeva uguali i bianchi ai neri, una delle conquiste civili più importanti del Paese». È vero che è un massone? «Se fossi cresciuto durante il Risorgimento sarei stato carbonaro e massone, ma nel mondo di oggi la massoneria non ha senso. Infatti i massoni mi odiano. E poi campanelle, riti, riunioni nei giorni prestabiliti: non è roba che fa per me». Come ha vissuto la rottura con Berlusconi? «Male. Ho lavorato tantissimo per il patto del Nazareno nel quale confidavo per porre fine alla contrapposizione che ha impedito sia al centrodestra che al centrosinistra di governare questo Paese. Berlusconi, per l’età che ha e per i problemi – era stato espulso dal Senato – avrebbe dovuto accettare di fare il padre della patria ma non è andata così, e sull’elezione del presidente della Repubblica il patto si è rotto. Io stesso ho votato Mattarella». Colpa di Berlusconi, quindi, se si è rotto il patto? «Il più grande errore di Berlusconi è aver rotto il patto, il più grande errore di Renzi è averlo permesso». È vero che il cerchio magico intorno a Berlusconi a un certo punto l’ha allontanata? «Chi conosce Berlusconi sa che non si fa condizionare da nessuno. Dopo la rottura politica non ci si vede più come una volta, ma io gli devo molto e lo considero un amico. E anche lui penso che mi consideri tale». Non è uno che porta rancore? «In questo siamo uguali: dopo 48 ore potrei andare a cena con uno che mi ha pugnalato alla schiena. Questo fa impazzire mia moglie. dice che sono troppo buono». Avete mai avuto crisi di coppia? S.: «Ogni tanto vola qualche piatto, anche perché vuole sempre aver ragione. Ma niente di serio». Gelosa, quando suo marito è a Roma? S.: «Era più geloso lui. Io poco, perché lui è galante con le donne e con gli uomini indistintamente, gli piace piacere. Le tentazioni poi ci sono ovunque». D.: «Ma in politica ce ne sono di più: dà importanza, potere. Però oggi sugli scandali sessuali c’è troppa attenzione. Anche Berlusconi, che avrà fatto i suoi errori, è stato eccessivamente demonizzato». Non pensa che un politico dovrebbe avere una vita specchiata? «Io penso piuttosto che la politica e i politici siano lo specchio della società. Nessuno è avulso dal contesto in cui vive». Fate molta vita mondana? D.: «Vedo già fin troppa gente per lavoro. Nel tempo libero mi chiudo nella nostra casa in campagna con i miei animali; abbiamo cani, gatti, fagiani, tartarughe e due pappagalli: Clara – abbiamo scoperto dopo che era un maschio – ha 30 anni, e potrebbe vivere fino a 80, mentre Arturo mi chiama “Babbo” ed è l’unico che mi vuole bene in famiglia». È cattolico praticante? «Lo sono stato ma poi ho smesso. Ho molta invidia per quelli che hanno fede. Come dice il mio avvocato: se avessi fede, con tutte le disgrazie che ho starei sempre a pregare». Ha votato a favore della legge sulle unioni civili. «Le leggi vanno fatte guardando la realtà in cui viviamo. Credo che le coppie omosessuali debbano avere gli stessi diritti di quelle etero, tanto che quando hanno stralciato dalla legge la stepchild adoption mi sono sgolato per dire che era assurdo escluderla perché i giudici già la concedono. Non sono però favorevole al matrimonio: è un istituto che la nostra cultura prevede solo tra un uomo e una donna, chiederlo in un Paese cattolico significa andare a cercare la rissa». È anche favorevole all’utero in affitto? «Non mi piace, ma non puoi prevederlo come reato in Italia: che cosa fai quando una coppia torna con un figlio fatto all’estero, li arresti? Piuttosto, sono per semplificare l’adozione che oggi è assurdamente complessa: qualche anno fa Simonetta voleva prendere in affido due o tre bambini orfani della guerra nei Balcani; siamo andati a fare dei colloqui cinque volte, alla sesta mi sono rifiutato». Al referendum vincerà il Sì? «Sulla materia le ragioni del No non esistono: si passa da un sistema bicamerale a uno sostanzialmente monocamerale, come in tutto il mondo; si riduce il numero dei senatori; si riportano materie di interesse generale come ambiente, sanità e infrastrutture allo Stato. La campagna per il No è una campagna contro il governo Renzi, quindi penso abbia già esaurito la sua spinta, il Sì può solo crescere e, visto che è un referendum senza quorum, chi si astiene incide relativamente». Se vince il No, Renzi si dimetterà? «Può accadere di tutto, e questo è un rischio che l’Italia non può correre. Quel che è certo è che il fronte del No non esprime una proposta di governo alternativa». In caso di dimissioni di Renzi, al governo chi potrebbe andare? «Tecnicamente, il presidente della Repubblica potrebbe riaffidare l’incarico allo stesso Renzi, in quanto segretario del maggior partito in parlamento. Rimarrebbe quindi questo premier, ma ammaccato: una sciagura». E lei che cosa farà se vince il No? «Vado avanti. L’obiettivo di questa legislatura è fare le riforme, non solo quella costituzionale». Verdini ha degli amici? «Ne ho diversi a Firenze, amici d’infanzia, di famiglia. E Giuliano Ferrara, persona di rara intelligenza e apertura mentale». Il suo migliore amico chi è? «Sono io. Mi voglio un bene dell’anima».