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 2016  novembre 09 Mercoledì calendario

La mia tv a misura di cellulare. Intervista a Roberto D’Agostino

ROMA «Internet è come l’invenzione della stampa a caratteri mobili. Gutenberg aveva dato a tutti la possibilità di leggere un libro. Privilegio che prima apparteneva solo ad amanuensi e potenti». Come nel 1400, dice Roberto D’Agostino, «oggi stiamo vivendo un nuovo Rinascimento. Una rivoluzione digitale che ha cambiato la storia del mondo». Di questo parlerà la seconda stagione di “Dago in the Sky”, in onda su Sky Arte da venerdì 11 novembre. «È un tentativo di vedere effetti e difetti, errori e orrori di questa nuova era». 
E cosa è venuto fuori? 
«Dico una cosa retorica. Internet ha dato potere al popolo. Con il telefonino, la gente ha sempre un computer in tasca connesso col mondo. E questo le permette di avere un peso che prima non aveva. Ci volle un secolo per passare dal Medioevo al Rinascimento. Oggi abbiamo la caduta del muro e davanti ai nostri occhi c’è tanta polvere che ci impedisce di capire qual è l’orizzonte. “Dago in the Sky” è il tentativo di vedere come sta avvenendo la mutazione in una serie di ambiti». Fondatore di Dagospia, D’Agostino torna in tv con un format a misura di web: «Ho rovesciato sullo schermo il display del telefonino». 
Che significa? 
«Quando ho pensato questo programma mi sono detto: ok, faccio delle interviste. Ma poi...». 
Cosa? 
«Mi sono domandato cosa cazzo gliene frega alla gente di due che parlano tra di loro in tv? Quelli sono programmi novecenteschi, oggi il pubblico vuole essere coinvolto. Gli intervistati guardano direttamente lo spettatore. Non me. Il ragionamento è questo: se tu mi escludi, io sto davanti alla televisione con il telefonino. Le persone camminano, guardano la tv, scopano con il cellulare in mano». 
Come fare per non perdere l’attenzione? 
«Avevo materiale per fare puntate da due ore e mezza. Ma teniamo tutto in mezz’ora. Perché, dopo poco, la gente ne ha già le palle piene. Tutto deve essere concentrato. È il principio con cui do le notizie su Dagospia». 
Solo titolo e sommario. 
«Perché la gente legge solo quelli. Ha altro da fare. E anche io: voglio scopare, voglio fare una passeggiata col cane, voglio andare al cinema. 
Qual è il tema della prima puntata? 
«Partiamo con l’omosessualità. Oggi non è più quella di ieri. E per capire come si è sviluppata dobbiamo partire dal passato, dal suo rapporto con l’arte. Ne parlano Vittorio Sgarbi e la grecista Eva Cantarella». 
A seguire? 
«Ci occuperemo della politica ai tempi della rivoluzione digitale. Titolo della puntata: il “relitto perfetto”». 
Ecco. 
«Dal 1989 in poi, Internet, blog, app, social network hanno svuotato la democrazia liberale. Non serve più. Oggi gli unici regimi che hanno forza sono quelli oligarchici e autocratici: la Russia, la Cina, la Turchia». 
La politica l’annoia? 
«È che non interessa più al lettore. Perché sa che non cambierà la sua condizione sociale ed economica. Lo scrittore Guy Telese ha detto che “le elezioni in America non contano niente: ormai il presidente Usa non ha più potere”. Sottoscrivo». 
Gli Stati Uniti hanno perso l’egemonia? 
«Erano gli sceriffi del mondo. Ma dal 2001 non è più così. Per cui Trump o Clinton... nun ce ne po frega’ de meno!». 
E l’Italia? 
«Stesso discorso. La disoccupazione e la crisi economica non dipendono dalle scelte di Renzi. È un vento che spira in ogni angolo del mondo. L’Oxford University dice che tra vent’anni perderemo il 47% dei mestieri, ci saranno 140 milioni di disoccupati». 
Quali altri sconvolgimenti ha portato l’era digitale? 
«Il cibo. Una volta era la fame atavica. Ora è una nuova religione. I cuochi sono chef. Ne parlo con Cracco. Gli chiedo cosa resterà di lui». 
E lui? 
«Un uovo. “Io so cucinare l’uovo”, mi ha risposto. Allora l’ho portato nella mia cucina e l’ho messo alla prova. La puntata si chiama il “Palato immaginario”». 
Altro tema? 
«Il corpo è un’altra storia. Dal tatuaggio alla scarificazione, dal body building al botox». 
L’invasione degli ultracorpi. 
«Una volta c’era il precetto cristiano: “Dio ti crea a sua immagine e somiglianza”. E non potevi toccare niente. Oggi la farmacia ha battuto la Chiesa, la scienza ha messo nel sacco la fede. Il corpo è una macchina. Un pezzo si rompe? Lo si sostituisce. Vuoi avere il culo di Kim Kardashian? Ti metti una protesi et voilà. Il corpo fa share, fa ascolto». 
È il trionfo del kitsch. 
«Analizzeremo anche questo fenomeno. Prima era visto come il cassonetto delle vergogne, il cattivo gusto». 
E ora? 
«Ai tempi di Instagram ha messo le ali. Oggi il kitsch pensa, concede interviste. È diventato “l’arte della felicità”. E parlo del cattivo gusto nella sua forma ruspante, nella sua forma intellettuale, il Camp, e nella sua forma becera, il trash. Il kitsch è simpatico, popolare, dà una possibilità di comunicazione con gli altri. Il bon ton e lo chic no, sono divisivi». 
Con Cafonal, Dagospia ha inventato un genere. 
«Negli anni Ottanta c’era Capital. E spiegava ai nuovi ricchi qual era lo stile dei veri ricchi: l’Aga Khan, Gianni Agnelli, Marco Tronchetti Provera. Così gli imprenditori della Brianza, di Latina, di Battipaglia, hanno iniziato a portare l’orologio sul polsino». 
Dove nasce Cafonal? 
«Davanti ai buffet. La gente va alle feste, bussa alla porta di un’alta società che non gli appartiene. Ma davanti al cibo si tradisce. Quando arrivano le pennette diventano tutti fedayn all’attacco. Al grido di: “Nel dubbio, magnamose tutto!”. E allora vedi quei piatti che diventavano cofane». 
Manca il cibo dell’anima. 
«Parleremo pure di spiritualità, del passaggio da “Dio a d’Io”. La religione, intesa come islam e cattolicesimo, è ideologica e bellicosa. La spiritualità ha preso il sopravvento. In una società dura e impietosa, Dio è ciò che manca quando non manca nulla».