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 2016  novembre 09 Mercoledì calendario

PIOLI NERAZZURRO DENTRO

Interisti dentro. Papà, mamma e figli. La famiglia Pioli ha i colori nerazzurri appiccicati alla pelle, e adesso che Stefano è diventato l’allenatore dell’Inter la felicità è doppia, tripla, multipla, il classico sogno che si realizza, la chiusura del cerchio, la fine perfetta di una storia che ancora non si conosceva. Non si stappano bottiglie di champagne, perché i Pioli non sono gente da champagne: le emozioni le vivono dentro, senza alzare la voce e senza gonfiare il petto. Però in momenti come questo è inevitabile che tornino ad affacciarsi i ricordi.

PRANZO AL SACCO Domenica 1° ottobre 1978, prima giornata di campionato di Serie A. Stefano non ha ancora compiuto tredici anni, e come i fratelli Leonardo e Danilo non parla d’altro che di calcio. Ha un desiderio: andare a vedere una partita dell’Inter dal vivo. Papà Pasquino e mamma Maria Luisa lo sanno, ma in casa non si naviga nell’oro e i biglietti costano parecchio. L’insistenza dei ragazzi, tuttavia, viene premiata. «Domani andiamo tutti allo stadio. C’è Bologna-Inter» annuncia Pasquino il sabato sera. Partono in treno la domenica mattina dalla stazione di Parma: cinque tagliandi di seconda classe. La signora Maria Luisa tiene in mano due sporte della spesa: dentro ci sono i panini al prosciutto e al salame, le bibite, qualche frutto, e qualche fetta di torta. Pranzo al sacco. Alle due in punto la famiglia Pioli è già sui gradini dello stadio Dall’Ara. Per Stefano, che il giorno prima ha giocato con la maglia della Coop Nord Emilia la solita partitella di campionato giovanile, è la prima volta da tifoso dell’Inter. Niente bandiera e niente sciarpa. Gli occhi incollati al campo a guardare i suoi idoli. Ci sono i giovani Beccalossi e Altobelli, c’è Pasinato che va avanti e indietro sulla fascia, in porta Ivano Bordon, a centrocampo Marini e Oriali. E in panchina lo sguardo severo del sergente di ferro: Eugenio Bersellini da Borgotaro.

PRODEZZA La più agitata della famiglia è la signora Maria Luisa, che non riesce proprio a stare ferma, incita i giocatori, scuote la testa quando sbagliano qualcosa, li applaude quando costruiscono una bella azione. La partita, però, non si sblocca. Ci pensa Carletto Muraro a far saltare il tappo: è il 33’ della ripresa. Gol decisivo. Stefano si alza ed esulta, e anche il papà, la mamma e i fratelli. Tutti nerazzurri. Tutti felici. La partita finisce 1-0 per l’Inter, anche se poi quel campionato lo vincerà il Milan dell’ultimo Rivera che conquisterà lo scudetto della stella. E a Stefano toccherà mandare giù il boccone senza digerirlo, come gli capiterà altre volte perché, da tifoso adolescente, non è che abbia gioito spesso. Ma la fede non l’ha mai rinnegata, e anzi gli è dispiaciuto parecchio quando, per i soliti strani equivoci del mondo del calcio, lo hanno fatto passare per sfegatato juventino soltanto perché ha esordito in Serie A con la maglia bianconera. Al massimo, e questo Stefano lo ha sempre sostenuto, ha un altro amore: il Parma. Ma il motivo è semplice: lì è nato, lì ha giocato, da lì è partita la sua carriera.

gol crociato Con la maglia crociata segna il gol della promozione dalla C alla B, primavera del 1984. Ha poco più di 18 anni, e qualche mese più tardi comincerà la grande scalata. Il d.s. del Parma Riccardo Sogliano decide di venderlo e lo propone all’Inter. L’affare pare concluso, ma all’improvviso tutto cambia, complice una telefonata da un autogrill sull’Autostrada del Sole. Sogliano si accorda con Boniperti, che gli offre un miliardo di lire, torna in macchina dove lo aspettano papà Pasquino e Stefano e dice semplicemente: «Vai alla Juve, pagano di più». Non sa che prima di abbracciare l’Inter, cioè la sua passione, dovrà aspettare trentadue anni.