9 novembre 2016
APPUNTI PER GAZZETTA - LA VITTORIA DI TRUMP
REPUBBLICA.IT
"Guardiamo avanti, non smettiamo di lottare". Accolta dall’ovazione dei suoi sostenitori, visibilmente emozionata, Hillary Clinton parla per la prima volta dopo la sconfitta dal New Yorker Hotel di Manhattan. "Questo non è l’esito che volevamo" ammette, rivolgendosi al pubblico e allo staff. "È stata una campagna creativa, caotica, energica. Voi rappresentate il meglio dell’America ed essere stato il vostro candidato è stato un onore. Mi sento delusa come voi, è doloroso e lo sarà per molto tempo. La nostra campagna ha riguardato la costruzione di un Paese migliore, dobbiamo accettare questo risultato e dobbiamo dare la possibilità a Trump di governare. Guardiamo al futuro. La democrazia prevede un passaggio di potere pacifico, il rispetto dell’uguaglianza di tutti e richiede il nostro coinvolgimento, non solo una volta ogni quattro anni".
Ringrazia poi Barack Obama e la First Lady per il lavoro fatto negli ultimi otto anni e soprattutto lo staff della campagna, i volontari e i giovani. E lancia un appello: "Non fermatevi mai, non scoraggiatevi, abbiamo bisogno che continuiate a lottare". Un pensiero particolare alle donne: "Non possiamo rompere quel tetto di cristallo ma un giorno succederà". E si rivolge anche alle bambine: "Realizzate il vostro potenziale e i vostri sogni". Invita all’unità, per essere più forti, "senza rimorsi per aver lottato per i propri ideali, guardando avanti perché arriveranno altre stagioni, stagioni migliori, c’è ancora molto da fare".
Intanto continuano ad arrivare congratulazioni al nuovo, inaspettato presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, il 45esimo inquilino della Casa Bianca. Dopo la telefonata della rivale democratica Hillary Clinton, il cui intervento è previsto per le 16,30 italiane (10,30 ora locale), il magnate ha ricevuto un’altra telefonata, da Barack Obama, che lo ha invitato ufficialmente alla Casa Bianca domani, giovedì, "per aggiornarlo sui piani per la transizione", che auspica "tranquilla". Alle 18,15, ora italiana, il presidente uscente interverrà per un commento sulla vittoria del neoeletto.
IL FOTORACCONTO. La lunga notte degli Usa: le foto simbolo delle presidenziali
I giornali di tutto il mondo, sotto shock per il risultato, fanno mea culpa e riconoscono questa vittoria come qualcosa di assolutamente imprevedibile. C’è chi, come il britannico Guardian, parla di "tempi bui per il mondo. Per il quotidiano liberal, che si era pronunciato apertamente a favore della candidata democratica Hillary Clinton, l’elezione del tycoon ha risvolti dirompenti non solo per l’America ma sulla stabilità mondiale. "Le politiche militari, diplomatiche, sulla sicurezza, ambientali e commerciali di Trump hanno tutte la capacità di cambiare la situazione attuale in peggio". E ancora si legge: "Gli americani hanno fatto una cosa proprio pericolosa questa settimana". Il giornale sottolinea anche che "l’impensabile è tale fino a quando non si realizza".
Il Nyt e il Whashington Post hanno titolato in modo identico "Trump Triumphs". Il primo aggiunge: "Scioccante risultato a sorpresa a favore di un outsider che è riuscito ad imbrigliare i voti di un elettorato scontento". Mentre il Wp sintetizza: "Il businessman repubblicano vince la presidenza con uno stupefacente ribaltamento su Clinton". Anche il Wall Street Journal sottolinea lo "stupore" per la vittoria del candidato anti-establishment, "un apprendista della politica" che ha condotto una "campagna nazionalista" e sottolinea che l’esito del voto americano ha causato "un netto crollo" nelle borse asiatiche ed europee. Tra i primi effetti del risultato elettorale il crollo del peso messicano. In Europa il Financial times parla di una "vittoria storica" e ricorda che i repubblicani "sfidando le previsioni", hanno preso il controllo del Congresso.
Si allarga, ma senza scossoni drammatici, lo spread BTp/Bund dopo la vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane. Il differenziale di rendimento tra il decennale benchmark decennale italiano (Isin IT0005170839) e il pari scadenza tedesco ha infatti aperto a 162 punti tornando ai massimi post-Brexit, ma in rialzo di meno di dieci punti base dalla chiusura di ieri (153 punti) con il rendimento all’1,76% (1,72% ieri). Gli acquisti sul mercato secondario puntano soprattutto sui Bund tedeschi il cui rendimento scende allo 0,15% dallo 0,18% di ieri.
Clinton: "Congratulazioni a Trump, lavoriamo insieme"
"Ieri ho chiamato Donald Trump, gli ho fatto le congratulazioni e mi sono offerta di lavorare con lui, spero che sarà un presidente di successo per tutti gli americani". Così Hillary Clinton si è rivolta ai suoi sostenitori nella prima uscita dopo la sconfitta elettorale. "Non è il risultato che volevamo, ma mi sento orgogliosa di questa campagna, essere la candidata dei Democratici è stato il più grande onore della mia vita", ha aggiunto Clinton visibilmente emozionata e interrotta continuamente dagli applausi dei suoi sostenitori.
rampini
DES MOINES - “Lock her up”, “Arrestatela”. Il canto della folla che aspetta Donald Trump a New York riassume la rabbia che ha travolto i sogni di una vita di Hillary Clinton, bloccando sulla soglia della poltrona più prestigiosa una carriera lineare di impegno, competenza, e tanto potere. Da attivista per i diritti dei giovani detenuti, delle madri single, dei bambini disabili, a spalla incrollabile del marito presidente in 8 anni da first lady alla Casa Bianca, a senatore dello Stato di New York dal 2001 al 2009, e poi segretario di Stato con Barack Obama dal 2009 al 2013, quando ha cominciato a lavorare alla candidatura di quest’anno. Una catena di incarichi di potere praticamente ininterrotta, con lo sfondo della Fondazione Clinton che nel nome suo e di Bill ha svolto importanti attività benefiche ma anche macinato donazioni, consulenze, relazioni.
E’ questo, il potere e la forte “connessione” con gli ambienti forti di Washington, il vero “peccato originale” che l’America non ha perdonato a Hillary Clinton. La sorprendente conclusione della campagna elettorale più astiosa, mendace, deviata di tutta la storia americana ha tante radici, ma di certo l’impopolarità della candidata democratica è stato l’elemento più eclatante fin dall’inizio, la traccia che era visibile - seppur non nelle sue dimensioni - mentre scavava il solco tra Hillary Clinton, il partito democratico, e persino il suo predecessore Barack Obama e la grande maggioranza del Paese, o almeno di coloro che hanno deciso di andare a votare ieri.
L’America non avrà dunque la sua prima presidente donna, quel “soffitto di cristallo” che Hillary era già pronta a indicare nella sala che stanotte avrebbe dovuto celebrare la sua vittoria, è rimasto intatto. “Con lei tante bambine in questo Paese potranno sognare di potere essere qualsiasi cosa nella vita”, mi ha detto poche ore prima del voto una studentessa e attivista democratica dell’Università di Indianapolis.
Ma il “fattore donna” alla fine non ha giocato il ruolo centrale che avrebbe potuto. Se ne è parlato poco durante la campagna elettorale, la stessa Hillary non l’ha quasi mai sfruttato e Barack Obama ha più volte sottolineato come lei fosse “la persona più qualificata per il posto di presidente, che è casualmente una donna”. Che sia stata o meno una strategia di recupero sui quei “maschi bianchi spaventati” che sono stati individuati come la forza trainante del successo di Trump, la decisione di puntare sulla competenza di Hillary contro l’instabilità e inconsistenza del tycoon non si è dimostrata vincente. Neanche le volgarità sessiste di Trump, rivelate in piena campagna, sono riuscite a spostare il voto delle donne, che evidentemente hanno contribuito in modo massiccio a portare Trump alla Casa Bianca. “Vogliono una donna presidente, ma non questa donna”, osservava prima del voto la sondaggista Ann Selzer.
Su tutto ha vinto la diffidenza verso “crooked” Hillary, Hillary la corrotta - che ora Trump nel discorso del trionfo omaggia in modo bizzarro: “Ha lavorato tanto per il Paese, abbiamo tutti un dovere di gratitudine, e dico sul serio” - dopo averla insultata fino alla volgarità. Lei, la “nasty woman” - donna cattiva - come l’ha apostrofata Trump durante uno dei dibattiti che lei invariabilmente vinceva, secondo gli osservatori, ma evidentemente già non contavano niente. Non avrebbero potuto spostare la rabbia profonda di una buona fetta di America che si è sentita tradita dall’establishment. Hillary è il volto della politica lontana dai cittadini, anche se lei l’ha praticata fin da giovanissima in mezzo ai più diseredati. La sua storia non è diventata parte della narrazione della campagna, finita presto ostaggio degli scandali più o meno comprovati delle email scambiate su server non sicuri, delle teorie cospirazioniste più strampalate, dal satanismo all’alleanza con i cinesi. Clinton si è lasciata trascinare nel vortice degli attacchi reciproci, degli spot velenosi e negativi, non è riuscita a contrapporre la ragione dei programmi all’esaltazione per la promessa di una terra ricca e prospera. Per Hillary dalle tante vite questa notte è stata di certo la più lunga, forse l’epilogo di una vita vissuta in pubblico, al servizio dell’America.
Contro le previsioni della vigilia, Donald Trump ha trionfato alle elezioni presidenziali americane e da gennaio sarà il 45esimo presidente degli Stati Uniti. Il risultato del voto non lascia molti margini di dubbio: il tycoon ha conservato le roccaforti repubblicane, ha vinto il confronto negli swing state - in particolare in Ohio e Florida - ed è persino riuscito a fare propri alcuni Stati che sulla carta erano già conteggiati in quota ai democratici. Il quadro è impietoso per Hillary Clinton e il fronte liberal: dopo otto anni di presidenza Obama, il nuovo inquilino di 1600 Pennsylvania Avenue tornerà ad essere un membro del Great Old Party, per quanto fuori dagli schemi e arrivato al successo malgrado l’ostracismo di una parte del suo stesso partito.
«È giunto il momento di cicatrizzare le ferite, il popolo americano è uno solo e dobbiamo essere uniti - ha detto Trump nel discorso subito dopo la vittoria - A tutti i repubblicani e democratici e indipendenti nel Paese, io dico è arrivato il momento di essere un popolo unito. Lo prometto a tutti i cittadini del Paese. Sarò il presidente di tutti gli americani e questo è estremamente importante per me». E in un tweet rilancia il messaggio di pacatezza e unità espresso sul palco di New York: «Quelli che sono uomini e donne dimenticati, non lo saranno mai più. Torneremo uniti come mai prima d’ora».
Il silenzio di Hillary
Clinton ha scelto di non commentare a caldo la sconfitta. Ha lasciato il compito al capo della sua campagna elettorale, John Podesta, che ha provato a rassicurare i supporter spiegando che «il voto è ancora aperto», che i risultati sono ancora «too close to call», troppo incerti per poter attribuire loro un valore. Ma un quarto d’ora più tardi l’ex segretaria di Stato ha telefonato a Trump e gli ha riconosciuto la vittoria, ricevendone in cambio una citazione all’inizio del discorso del trionfo: «Ringrazio Clinton per quello che ha fatto per il Paese, e lo dico veramente. Ora superiamo le divisioni». Del resto non sarebbe stato realistico pensare di ribaltare, magari con un riconteggio dei voti evocato dal suo staff, un risultato pesante come un macigno che travolge tutto l’establishment democratico: i repubblicani non solo hanno vinto la corsa alla presidenza, hanno anche conservato la maggioranza sia al Senato sia alla Camera dei rappresentanti e si ritrovano dunque di fronte alla prospettiva di almeno un paio d’anni di potere istituzionale assoluto. A questo punto è pure da escludere che la Corte Suprema possa avere una maggioranza progressista, come avrebbe voluto Obama se i senatori non si fossero messi di traverso: il giudice vacante sarà nominato da Trump e sarà di certo un conservatore.
Grandi elettori e voto popolare
Trump ha conquistato 290 grandi elettori, venti in più rispetto a quelli necessari per garantirsi la maggioranza e di conseguenza l’elezione formale a presidente degli Stati Uniti nella riunione del collegio elettorale del prossimo dicembre. La sua avversaria si è fermata a 218. Trump ha chiuso in volata, incamerando i seggi elettorali di Stati come l’Alaska e l’Arizona, in cui i repubblicani sono da sempre prevalenti; e di altri, come il Wisconsin, il Michigan e la Pennsylvania, che sulla carta erano dei democratici ma che stavolta sono passati con «The Donald». Piccola soddisfazione per Clinton invece nel voto popolare, vale a dire il consenso complessivo raccolto su scala nazionale al di là del meccanismo di assegnazione dei grandi elettori su base maggioritaria e territoriale, la candidata democratica ottiene oltre 59,18 milioni contro i 59,04 di Trump. Una differenza a ben vedere minima, appena 176.000 voti.
(GUARDA la mappa interattiva aggiornata in tempo reale).
Le battaglie per Florida e Ohio
Per respingere l’assalto di Trump e avere una garanzia di vittoria, Clinton avrebbe dovuto vincere almeno in Florida o in Ohio, mantenendo tutte le posizioni che sulla carta erano già sue. Invece in entrambi gli Stati sono stati i repubblicani a sfondare. E dire che nella prima parte dello spoglio ci avevano anche creduto, i democratici, alla possibilità di chiudere in fretta la partita: Hillary è stata per qualche tempo in testa nel conteggio dei voti. E si erano invece scoraggiati i sostenitori dell’imprenditore: «Ci serve un miracolo per vincere», si è lasciato scappare un consigliere di Trump citato dalla Cnn dopo la diffusione dei primi numeri parziali. Ma più tardi è stata la stessa Hillary a dare il segno del vento - e dell’umore - che stava cambiando, con un tweet postato dopo aver visto le proiezioni sugli Stati del Midwest, conquistati in blocco dal suo avversario: «Questa squadra ha molto di cui essere fiera. Qualunque cosa accada stanotte, grazie di tutto». Le certezze di vittoria della vigilia, insomma, erano svanite.
Il messaggio di Obama e l’invito alla Casa Bianca
Anche il New York Times a quattro ore dalla chiusura dei primi seggi ha riconosciuto le possibilità di vittoria di Trump: le ha date inizialmente al 58% per poi portarle via via fino al 95%. Nelle settimane scorse il borsino del quotidiano dava invece Clinton vincente al 90%. Il presidente uscente, Barack Obama, con un videomessaggio ha esortato gli americani a rimanere uniti, a prescindere dal risultato delle elezioni: «Non importa cosa accadrà - ha detto -. Il sole sorgerà al mattino e l’America rimarrà ancora la più grande nazione al mondo». Poi la chiamata al vincitore: a confermarlo è stata la responsabile della campagna elettorale di Trump, Kellyanne Conway. Obama ha quindi invitato Donald Trump alla Casa Bianca giovedì 10 novembre per discutere della transizione di potere.
Le ripercussioni sui mercati
I dati elettorali hanno avuto immediate ripercussioni, decisamente negative, sui mercati finanziari e valutari. Il peso, la valuta messicana termometro delle elezioni americane, è crollato arrivando a perdere il 5% rispetto al dollaro: già nelle settimane scorse era diventato il termometro del voto, con ascese nei momenti favorevoli a Clinton e deprezzamenti quando i sondaggi riportavano in auge Trump, che sul Messico aveva giocato almeno un paio delle sue carte elettorali più pesanti: l’annuncio di un muro al confine con il Messico e l’intenzione di abolire il Nafta, l’accordo di libero scambio firmato da Bill Clinton. Le Borse asiatiche sono state le prime a registrare il segno meno nei listini: Tokyo, dopo l’avvio positivo, ha avuto una brusca inversione di rotta con un tonfo del 5,45%; Hong Kong è arrivato al -3,59%. Segnali negativi sono già arrivati anche da Wall Street, con il calo dei future a Borsa chiusa. Non meglio i mercati in Europa, a partire da Piazza Affari che ha aperto a -2,4%. Poi però, passato l’effetto emotivo dell’elezione, nel complesso «l’effeto Trump» è rientrato e i mercati recuperano (tranne Milano).
Such a beautiful and important evening! The forgotten man and woman will never be forgotten again. We will all come together as never before
GAGGI
NEW YORK - Cosa spaventava i democratici più della possibilità di una presidenza Trump? Il tycoon conservatore alla Casa Bianca che controlla anche la maggioranza del Congresso. Quello che fino a due settimane fa sembrava uno scenario da fantascienza, con Hillary Clinton lanciata verso una vittoria squillante e i democratici che speravano di recuperare il controllo del Senato e, forse, anche della Camera, si è improvvisamente materializzato in una notte da incubo per la sinistra americana e per quella metà (abbondante) del mondo che considera l’elezione di «The Donald» un serio pericolo per l’America e per la stabilità del quadro internazionale.
L’altra battaglia
In effetti nelle settimane scorse, oltre a quella per la Casa Bianca, è stata combattuta un’altra battaglia meno visibile, ma che era considerata da tutti e due i partiti maggiori altrettanto importante per la governabilità degli Stati Uniti: quella per il controllo del Congresso. I repubblicani hanno investito più risorse in questa disputa che a sostegno dell’immobiliarista candidato alla presidenza: molti non credevano nel suo successo, molti altri non lo auspicavano. Quanto ai democratici, pressoché certi del successo della Clinton, avevano lavorato molto nei collegi elettorali-chiave per consentire al nuovo presidente progressista di trovare appoggi parlamentari in almeno un ramo del Congresso.
In questa gara è stato bruciato più di un miliardo di dollari. Farcela alla Camera appariva comunque molto difficile, visto che i repubblicani avevano un margine di vantaggio di oltre 30 parlamentari, ma al Senato erano stati individuati vari percorsi per arrivare a conquistare i cinque seggi necessari per riconquistare la maggioranza persa dai progressisti nelle elezioni di «mid-term» del 2014. In un solo collegio, la battaglia di Katie McGinty per sottrarre il seggio della Pennsylvania a Pat Toomey, uno dei senatori repubblicani più vulnerabili, sono stati bruciati ben 160 milioni di dollari: una cifra record nella storia delle elezioni Usa.
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Impresa fallita
Alla fine il controllo della Camera resta ai repubblicani. Questo era abbastanza scontato, ma non si è materializzato nemmeno l’atteso dimezzamento del vantaggio di 30 deputati vantato dai repubblicani. Quanto al Senato, l’impresa democratica non pareva impossibile perché dei 34 seggi senatoriali, ben 24 dovevano essere difesi dai repubblicani, mentre ai democratici toccava proteggerne solo 10. Ma le speranze riposte dalla sinistra dell’Indiana in Evan Bayh, ultimo discendente di una dinastia politica che ha dominato per decenni la vita di questo Stato del Mid West, sono andate deluse: ha vinto con ampio margine il repubblicano Todd Young. Fallito anche il tentativo di sottrarre il seggio del North Carolina al conservatore Richard Burr. Con altri seggi senatoriali ancora in bilico, a notte fonda i democratici avevano riconquistato solo un seggio: quello dell’Illinois andato a Tammy Duckworth, una donna che ha combattuto in Iraq dove è stata ferita e doppiamente amputata, che ha prevalso su Mark Kirk.
«Filibustering»
A questo punto ai democratici rimane solo la possibilità di fare quello che hanno fatto i repubblicani contro Obama: bloccare i provvedimenti di Trump facendo ricorso al «filibustering» che può essere superato solo con 60 voti su 100, al Senato. Sempre che Trump non riesca a convincere i suoi senatori a votare a maggioranza assoluta una revisione dei regolamenti di questa aula. Cosa che sarebbe tecnicamente possibile. Ma che politicamente non è mai successa, perché i senatori di ambedue gli schieramenti sono piuttosto gelosi del loro potere di veto. Inoltre, almeno in teoria i rapporti della Casa Bianca di Trump col Parlamento non dovrebbero essere facili, vista la frattura delle settimane scorse tra il tycoon e il suo partito. Ma le vittorie, si sa, sono un balsamo capace di curare molte ferite.
Dopo un’apertura in forte calo in seguito all’esito delle elezioni Usa, i mercati europei recuperano e chiudono tutti positivi tranne Milano. Piazza Affari ha chiuso in calo dello 0,1% dopo essere arrivata a lasciare sul terreno quasi il 3 per cento. A pesare su Milano sono state le stime della Commissione europea sull’andamento del Pil italiano nel 2017, rivisto al ribasso rispetto alle previsioni del governo (da +1% a +0,9%). Dopo la fiammata a 167 punti dei primi scambi, lo spread tra Btp decennali e omologhi tedeschi si è ristretto a 155 punti a fine seduta. Nel resto d’Europa, Londra è salita dell’1%, Francoforte dell’1,56% e Parigi dell’1,49%, mentre Madrid ha chiuso in calo dello 0,4%. Mosca, con i presupposti di distensione dei rapporti come detto da Trump più volte, ha guadagnato il 2,22%.
Non c’è stato il temuto contraccolpo per effetto della vittoria inaspettata alle presidenziali Usa di Donald Trump. L’appello all’unità sembra aver rassicurato i mercati.
Il cambio
È stato effimero il rally che in mattinata aveva portato l’euro a toccare gli 1,13 dollari. I toni concilianti utilizzati dal miliardario nel suo primo discorso hanno allentato le tensioni e riportato in netto rialzo il biglietto verde. L’euro chiude in deciso calo a 1,0943 dollari, ben al di sotto della chiusura di ieri sopra quota 1,1.
I tassi negli Usa
Ora la domanda dei mercato finanziari è: che cosa succederà con i tassi di interesse negli Stati Uniti? Secondo alcuni analisti, la politica monetaria sarà più accomodante» anche perché l’elezione di Trump potrebbe avere ripercussioni sulla possibilità di una riconferma alla Federal Reserve di Janet Yellen, la quale era pronta a un rialzo dei tassi a dicembre.
CORRIERE.IT
Sconcerto (tra chi scommetteva su Hillary), euforia (tra i supporter di Trump) e sorpresa, tanta sorpresa, in entrambi i fronti. Anche all’estero. «Alla vigilia delle elezioni Usa l’Eliseo aveva preparato una unica lettera di congratulazioni a Hillary Clinton» ha rivelato la radio francese Rtl: l’ipotesi che il candidato repubblicano potesse spuntarla non era evidentemente stata contemplata. Più tardi è lo stesso François Hollande a prendere la parola: la vittoria di Donald Trump «apre un periodo di incertezza», ha detto il presidente francese che ha invitato la Francia a mostrarsi «più forte che mai» e ad affrontare questa nuova tappa «con lucidità». È evidente il timore che l’esito del voto americano rafforzi l’ondata anti sistema, isolazionista e populista che già incombe sulle presidenziali francesi di aprile.
In Europa, le prime reazioni dai leader anti sistema e anti Ue
Non a caso la prima ad esultare — quando ancora non c’erano i risultati ufficiali — è stata Marine Le Pen: «Congratulazioni al nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump e al popolo americano, libero!» si è affrettata a twittare la leader dell’estrema destra francese che punta a vincere le presidenziali di primavera cavalcando lo scontento della gente per le élite politiche e i timori legati all’«invasione» degli immigrati.
Sentimenti analoghi a quelli che hanno decretato il successo degli anti europeisti nel referendum britannico. «Sembra che il 2016 stia per essere l’anno di due grandi rivoluzioni politiche», ma quello di Trump è un successo «più grande di quello della Brexit», si è affrettato a twittare il leader del partito populista e indipendentista britannico Ukip, a conteggi non ancora ultimati.
Lega il risultato del voto Usa a quello delle prossime elezioni in Olanda Geert Wilders. «Una vittoria storica! Una rivoluzione» ha definito il trionfo di Trump il fondatore e leader del Partito per la Libertà, anti islamico e anti europeo, favorito nei sondaggi per le politiche di marzo. «Anche noi restituiremo il nostro Paese alla gente, faremo dell’Olanda di nuovo un grande Paese», ha scritto parafrasando il motto di Trump.
Esulta un altro leader populista anti immigrati, l’ungherese Viktor Orbán: «Che magnifica notizia. La democrazia è ancora viva» ha scritto in un messaggio su Facebook il presidente di Praga all’indomani del stop inflitto dal Parlamento al suo emendamento costituzionale anti quote Ue sugli immigrati.
Putin: «Ora disgelo»
Anche ai margini e fuori dell’Europa le reazioni più tempestive all’incoronazione di Trump sono state quelle di leader nazionalisti che si muovono al limite (se non fuori) del solco democratico. A iniziare da Vladimir Putin che si è congratulato con un telegramma al neoeletto, con l’augurio che i «rapporti russo-americani possano uscire dalla crisi». Dal Cremlino si apprende che Putin si dice «sicuro che un dialogo costruttivo fra Mosca e Washington risponda agli interessi dei due Paesi».
Erdogan, al Sisi, Xi, Duterte: «Con lui nuova stagione»
Anche le congratulazione di un altro «uomo forte», Recep Tayyip Erdogan, non si sono fatte attendere: «Con questa scelta negli Stati Uniti inizia una nuova stagione. Auguro un futuro felice agli Stati Uniti, interpretando favorevolmente la scelta del popolo americano» ha reagito il presidente turco.
Una nuova era delle relazioni bilaterali e un rafforzamento della collaborazione è stato anche l’auspicio espresso dal presidente-generale egiziano al Sisi che è stato il primo a chiamare al telefono Trump.
Dalla Cina, il leader Xi Jinping, responsabile di una deriva autoritaria, ha inviato un messaggio di congratulazioni dicendo di voler lavorare con Trump «per ampliare la cooperazione bilaterale in ogni settore», nel rispetto del «win-win principle», vale a dire di una collaborazione vantaggiosa per entrambe le parti e «in modo da spingere le relazioni Cina-Usa ancora più avanti da un nuovo punto di partenza, a miglior beneficio delle genti dei nostri due Paesi e di altri».
Anche il presidente filippino Rodrigo Duterte, ai ferri corti con l’amministrazione Obama per le critiche espresse verso la sua sanguinosa politica anti droga, si è felicitato con Trump dicendo di «non vedere l’ora di lavorare con il nuovo leader»: lo considera un interlocutore pronto a collaborare senza esercitare pressioni sui diritti umani.
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Modi: «Verso un nuovo picco dei rapporti con l’India»
Il premier indiano si è felicitato con un tweet per il traguardo raggiunto da Trump , ricordando la «sua amicizia per l’India da lui manifestata in campagna elettorale. Possiamo portare i rapporti bilaterali a un nuovo picco». In campagna elettorale il miliardario americano ha corteggiato la comunità indiana negli Usa fino a esprimersi in hindi in uno spot tv per la festa delle luci di Diwali.
Merkel: «il presidente Usa responsabilità globale
Da Berlino parla di «forte choc» la ministra della Difesa tedesca Ursula von der Leyen e la Angela Merkel mette in chiaro che «chi governa questo grande Paese, con la sua potente forza economica», il suo «potenziale militare» e «la sua forza trainante culturale, ha una responsabilità avvertita in tutto il mondo».
Preoccupazione a Bruxelles
Le posizioni isolazioniste di Trump preoccupano anche i vertici della Ue. Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e quello della Commissione Jean Claude Juncker in una lettera congiunta si sono congratulati con Donald Trump scongiurando un allentamento dei rapporti. «Oggi - scrivono - è più importante che mai rafforzare le relazioni transatlantiche. Non dovremmo risparmiare alcuno sforzo per assicurare che i legami tra noi restino forti e duraturi».
Per l’Unione europea «sarà difficile lavorare con Donald Trump». «Sarà più duro che con altre amministrazioni statunitensi» ha ammesso il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz in un’intervista a Europe 1.
L’Alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri , Federica Mogherini, in un tweet ha chiarito che «i legami tra Ue e Usa sono più profondi di ogni cambiamento politico. Continueremo a lavorare insieme riscoprendo la forza dell’Europa».
A rischio il disgelo con Cuba
A poche ore dalla vittoria di Trump, Cuba ha annunciato cinque giorni di esercitazioni militari per prepararsi a potenziali «azioni nemiche». Esercitazioni già previste, precisa il quotidiano «Granma», ma i timori che il disgelo con gli Usa avviato da Obama dopo 50 anni di guerra fredda sia a rischio sono fondati. Trump ha minacciato di ribaltare la politica di apertura delle relazioni con l’isola se Raul Castro non concede più libertà politiche.
Le rivelazioni sul sessismo e le molestie di Donald Trump non hanno impedito a molte donne bianche di eleggerlo presidente. Ai comizi del candidato apparivano spesso in prima fila: signore di periferia repubblicane doc, cristiane evangeliche o con familiari nelle forze armate, che si portavano dietro i figli adolescenti; oppure ragazze ben vestite e di poche parole al fianco dei fidanzati. Ma ci sono anche donne che non andavano ai comizi, non indossavano il cappellino «Make America Great Again», che non lo ammettevano pubblicamente (o dicevano di vergognarsene) ma che comunque hanno votato per lui.
Il gender gap
Secondo i primi exit poll, il gender gap registrato in queste elezioni è il più ampio dal 1976: Hillary Clinton ha 12 punti di vantaggio nel voto delle donne, mentre Trump ha il 12% in più tra gli uomini. Ma la cosa più interessante è che c’è una differenza tra le donne bianche laureate e quelle non laureate. Le laureate hanno preferito Clinton (con il 51% dei consensi, contro il 45% per Trump), mentre la maggioranza delle non-laureate ha scelto il candidato repubblicano: ben il 62% contro il 34%. Il sito web Buzzfeed aveva profetizzato questo «voto silenzioso», paragonandolo a quello non dichiarato ma espresso nel segreto dell’urna per Silvio Berlusconi: le aveva chiamate «Ivanka Voters», perché — pur essendo turbate dalle frasi sessiste e le accuse di molestie contro il loro candidato — pensano che, se la figlia del miliardario, Ivanka, madre e imprenditrice, lo ha «perdonato», possono farlo anche loro. È una scelta anche loro se l’America dovrà aspettare prima di eleggere la prima donna presidente.
YELLEN
Dopo Hillary Clinton, Donald Trump si prepara ad affrontare la più potente delle donne americane, la prima alla guida dell’Autorità monetaria degli Stati Uniti in cento anni di storia, Janet Yellen. E anche l’economista di Brooklyn, 70 anni, esperta di lavoro, si prepara ad affrontare ore impegnative.«Ore contate», secondo la titolazione di parte della stampa americana che ha già pronosticato la cacciata della banchiera che aveva posto come primo duplice obiettivo la lotta alla disoccupazione e il contenimento dell’inflazione, la «colomba» alla quale oggi viene imputata una politica «troppo accomodante» sui tassi d’interesse, il costo del denaro.
In campagna elettorale Trump non ha nascosto il probabile intervento: «Yellen? Dovrebbe vergognarsi» per aver rallentato così tanto il rialzo dei tassi d’interesse americani. Il tifo di Wall Street e delle grandi banche d’affari per la stessa presidente della Federal Reserve rende più agevole la posizione di quest’ultima . Bisognerà vedere se sarà davvero questo uno dei primi atti di Trump, forzare le dimissioni di Yellen, una mossa anti-mercato difficile da sostenere anche per lui.
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Già alla presidenza del consiglio dei consulenti di Bill Clinton e poi chiamata nel febbraio del 2014 alla guida della Fed, Jellen è anche la prima esponente di area democratica ad aver assunto l’incarico approvato dunque quasi tre anni fa dal senato con 56 voti favorevoli e 26 contrari. Barack Obama che per la successione a Ben Bernanke aveva inizialmente indicato Larry Summers ha avuto poi modo di testare spessore, determinazione, riservatezza di questa signora newyorkese di famiglia ebraica sposata al collega economista premio Nobel dell’Economia, George Akerlof.
DAGOSPIA
BORSA: EFFETTO TRUMP, EUROPA PROSEGUE IN FORTE CALO
Da Ansa
Le Borse europee proseguono in forte calo nel giorno dell’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. L’indice Euro Stoxx cede il 2,6% a 2.947 punti. Piazza Affari maglia nera tra i mercati del Vecchio Continente con un calo del 2,5% a 16.400 punti. Male anche Parigi e Francoforte che cedono il 2,4%. Londra lascia sul terreno lo 0,8%.
MPS: PRIMO STOP IN BORSA, TITOLO CEDE IL 9,6%
Primo stop sul Ftse Mib. A finire in asta è Mps bloccata quando cedeva il 9,6%. Intanto la Borsa milanese cede il 2,6% a 16.371 punti.
PESO MESSICANO PERDE 12%, CALO MAGGIORE DAL
Da Ansa
Il peso messicano, termometro delle elezioni americane, affonda del 12%, il calo maggiore dal 2008. Il crollo accompagna l’avanzata di Donald Trump secondo le proiezioni dei media americani.