
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il bollettino del Medio Oriente ci fa sapere che Dabiq è caduta grazie all’azione dei ribelli siriani appoggiati dai turchi: le ultime milizie dell’Isis non hanno praticamente opposto resistenza, nonostante la città abbia un alto valore simbolico. Poi ci sono scontri - di entità imprecisata - anche a Tripoli, in Libia, dove un golpe tentato venerdì dall’ex primo ministro Khalifa al-Gewill è andato a vuoto e Gewill, forse, è stato arrestato. C’è poi la notizia che americani e inglesi starebbero pensando a nuove sanzioni economiche contro la Russia di Vladimir Putin, colpevole di aver bombardato Aleppo durante la tregua. A Losanna, dove si discute intorno alla possibilità di un nuovo cessate il fuoco (senza che per ora si sia ottenuto qualcosa), il ministro degli Esteri americano, John Kerry, ha detto che in Siria accadono ogni giorno «orrori contro l’umanità» e la responsabilità di questi orrori sarebbe solo russa. A Losanna sono seduti intorno al tavolo Russia e Stati Uniti, cioè John Kerry e Sergej Lavrov, e fanno compagnia ai due i rappresentanti di Iran, Turchia, Arabia Saudita, Qatar, Iraq, Giordania, Egitto. Putin ha saputo delle prossime sanzioni in India, dove si trova in visita. «Eventuali sanzioni contro la Russia — ha detto — sarebbero controproducenti. Le sanzioni degli Stati Uniti non risolvono nulla, sono soltanto mirate a contenere la forza della Russia. E non raggiungono mai lo scopo».
• È suo compito dirci quale di queste notizie è veramente importante.
Le voci sulle sanzioni confermano lo stato di tensione tra americani e russi, e si aggiungono alle notizie relative a un possente attacco informatico di hacker americani, o alleati degli americani, contro i sistemi russi. Il mancato golpe di Tripoli conferma però la fragilità del regime di Fayez al-Serraj, riconosciuto dall’Occidente, ma non dal Parlamento di Tobruk, dove domina la figura del generale Haftar, pedina del presidente egiziano al Sisi che vuole il controllo della Cirenaica. Gli islamisti ieri hanno attaccato la base navale di Busitta, dove c’è una delle residenze del premier. Altri scontri sono avvenuti nell’area di Zawia al Dahamani, ad opera della Sesta brigata che risponde agli ordini di Abdelhakim Belhaj, ex comandante di Al-Qaeda in Afghanistan. Al Serraj per ora resiste, ma l’Occidente, che ha puntato le sue carte su di lui, non è troppo tranquillo. C’è infine questa caduta di Dabiq, che ha un valore strategico, in vista della conquista di Mosul, e mediatico, dato che la città di Dabiq ha una forte valenza simbolica.
• Perché?
Secondo le profezie, nel giorno dell’Apocalisse le forze dell’Islam si scontreranno con quelle bizantine, cioè cristiane, e le annienteranno. Il luogo di questa battaglia definitiva è appunto Dabiq, un villaggio di tremila abitanti che sta nel nord del Paese, a una quarantina di chilometri da Aleppo e a una decina dal confine turco. Quelli dell’Isis avevano chiamato Dabiq il loro magazine patinato, attraverso il quale diffondevano i messaggi del Califfato. Ma al Baghdadi sapeva che la città era in procinto di cadere, e un paio di mesi fa ha cambiato nome alla rivista. Il 6 settembre è uscito Rumiya, che sostituisce il vecchio Dabiq e suona pericolosamente simile a «Roma».
• Si può fare un punto generale della situazione? L’Isis dovrebbe aver perso terreno rispetto a un anno fa.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Ihs Conflict Monitor, nei primi 9 mesi del 2016 il territorio controllato dal gruppo terroristico in Siria-Iraq si è ridotto del 16 per cento. Il Califfato, che nel 2014 controllava 90.800 chilometri quadrati, nel 2015 s’era già ridotto a 78 mila chilometri, e dopo le ultime sconfitte è sceso a 65 mila.
• Adesso manca solo la caduta di Mosul.
Sì, Mosul è la capitale dell’Isis, è da Mosul che al Baghdadi, il 29 giugno 2014, annunciò la nascita del Califfato. Settecentomila abitanti, si trova nella parte settentrionale dell’Iraq, è mezza sunnita e mezza curda. La assediano le milizie irachene (sunnite) della coalizione guidata dagli Stati Uniti, alle quali si aggregano anche i soldati iraniani (sciiti) di Qasem Soleimani. Gli americani temono assai un successo iraniano, e hanno raccomandato ai comandanti iracheni di impiegare gli iraniani solo «nelle aree rurali». Chi potrà vantarsi di aver conquistato Mosul, avrà un grosso atout al momento della spartizione di quei territori. E infatti sono impegnatissimi nell’assedio anche i peshmerga curdi, che fanno riferimento al Governatorato del Kurdistan iracheno e vogliono non solo sconfiggere al Baghdadi ma allargare il territorio del Kurdistan iracheno e avere il gioco per una spartizione tripla di quell’area: uno stato curdo, uno sunnita e uno sciita. Prospettiva a cui Erdogan, il presidente turco, si oppone con tutte le sue forze.
• In questo caos gli italiani come sono schierati?
Stanno dentro la coalizione guidata dagli Stati Uniti. I soldati italiani lavorano alla messa in sicurezza della strategica diga di Mosul.
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