Guido Santevecchi, CorrierEconomia 17/10/2016, 17 ottobre 2016
IL GOL DEL DRAGONE
Il calcio? Lo hanno inventato loro duemila anni fa ed era molto popolare durante la dinastia Song, tra il 960 e il 1299 dopo Cristo, quando si chiamava zuqiu , che significa football in mandarino. Poi vennero gli inglesi, diedero regole allo sport e se ne appropriarono. Era nato in Cina anche il golf, ritratto già in un rotolo imperiale del 1368 quando si chiamava qiuwan . Poi come al solito i perfidi albionici se ne impadronirono. Leggende cinesi, forse.
Ma un fatto è certo, il governo di Pechino oggi ha un «golden goal» (non inteso come la rete nei supplementari che ha fatto piangere gli Azzurri agli Europei 2000) ma come l’obiettivo aureo di sviluppare un’industria sportiva che ora vale lo 0,6 per cento del pil, 68 miliardi di dollari circa all’anno, e moltiplicarla fino a 850 miliardi di dollari nel 2025.
È questo piano industriale che spiega l’avvento di investitori cinesi nel calcio, nel tennis, nel golf, nell’automobilismo, addirittura nel triathlon. Si tratta di spingere i cinesi della classe media ad appassionarsi di sport ricchi e a consumare di conseguenza in attrezzature, biglietti di eventi, merchandising.
Linee guida
C’è un dividendo economico alla base di quella che in Europa abbiamo considerato in modo riduttivo come la passione di Xi Jinping per il pallone. Dietro c’è un documento di 14 pagine in 50 punti pubblicato dalla Commissione nazionale per la riforma e lo sviluppo, l’organo ministeriale che decide le linee guida per le politiche economiche del Paese: prevede la costituzione entro il 2020 di 20 mila accademie di football con 70 mila campi da gioco per addestrare 30 milioni di ragazzini nei prossimi quattro anni e avere un bacino di 50 milioni di praticanti. In fondo al documento c’è l’obiettivo di ospitare la Coppa del Mondo al più tardi nel 2030 (che significherebbe costruire nuovi grandi stadi e infrastrutture) e il sogno di vincere. Nel 2050.
La gloria sportiva sembra ancora molto lontana per la nazionale rossa, appena umiliata in casa dalla Siria e travolta in Uzbekistan. Ma i disegni di impianti e accademie si stanno già concretizzando e fanno girare molto denaro. Ogni nuova zona residenziale in Cina deve avere almeno un campo da calcio a sette attrezzato e per la WorldSoccer di Fan Reeze gli affari stanno andando benissimo. Ha cominciato con due impianti a Shanghai e ora ne ha già consegnato 25 in 20 città.
Prospettive
«I politici locali mi chiamano e mi dicono di riconvertire i loro vecchi spazi non edificati in terreni di gioco con erba sintetica e spogliatoi in muratura», ha spiegato all’agenzia Bloomberg . Fan dice che a fine 2017 gestirà 60 centri e entro il 2022 arriverà a 150. Quello della WorldSoccer è comunque un piccolo caso per le potenzialità della Cina. CorriereEconomia ha visitato la Evergrande Football School di Qingyuan, un centinaio di chilometri da Canton. Questa accademia ospita 2.600 ragazzi tra i 10 e i 17 anni che studiano e giocano al pallone seguiti da una ventina di allenatori inviati dal Real Madrid. Le palazzine hanno lo stile dei college di Oxford, sormontate da torrioni con i tetti a punta e sono circondate da 50 campi, metà in erba perfetta e gli altri in sintetico. Poi ci sono la piscina olimpionica, campi da basket e da tennis, palestre, laboratori, dormitori, mense. È la scuola di calcio più grande del mondo, tirata su dal gruppo immobiliare Evergrande in un paio d’anni.
Per costituire un’industria serve il know-how : per questo il governo ha mandato in campagna acquisti molte imprese private come Suning che ha acquistato l’Inter, l’immancabile Wanda che è entrata con il 20% nell’Atletico Madrid, China Media Capital che ha messo 400 milioni di dollari per il 13% del Manchester City e il consorzio un po’ misterioso che si appresta a rilevare il Milan. In tutto, poco meno di due miliardi dal 2015 per fare shopping di club europei. E quest’anno altri 300 e rotti milioni per portare giocatori nella Super League cinese, più di quanto ha speso la Premier inglese.
Divisioni
Non solo football. Alibaba ha lanciato Alisports, una divisione dedicata a fondere tecnologia, e-commerce e sport e punta tra l’altro a boxe e gioco online. Tencent la insegue.
Nel 2016 le città cinesi hanno ospitato 11 tornei internazionali di tennis Atp e Wta con 30 milioni di premi per i giocatori. La poco nota Wuhan per avere un open ha speso 200 milioni di euro in una cittadella del tennis: il campo centrale ha 15 mila posti con tetto scorrevole come Wimbledon per coprire il terreno in caso di pioggia.
Il golf è un altro ramo florido dell’economia sportiva in Cina: l’anno scorso il mercato di attrezzature per giocatori valeva 469 milioni di dollari; Frost Sullivan stima che nel 2019 salirà a 646 milioni. Il rapporto con il green è una storia di amore e odio a Pechino: Mao aveva scomunicato il golf come «quella cosa da milionari». Ma con l’apertura di Deng, i club si sono moltiplicati. Dieci anni fa c’erano 170 campi, poi è intervenuto un nuovo divieto perché i percorsi a 18 buche consumano terra e risorse idriche, ma nessuno ci ha fatto caso e oggi si contano 600 campi da golf. Ultima scomunica l’anno scorso: il partito comunista ha vietato agli iscritti e ai funzionari di giocare, sospettando che tra una buca e l’altra germogliasse la corruzione. Quest’anno ripensamento: sacca e mazze da golf non sono un peccato, basta giocare fuori dalle ore di ufficio e pagare di tasca propria la tessera dei club. Ad agosto un cinese ha vinto il bronzo olimpico sul green di Rio.
Lo sport, il calcio soprattutto, è anche politica oltre che economia e tifo. I tre fattori si fondono. Dopo la sconfitta in casa con la Siria migliaia di tifosi sono andati in corteo a reclamare le dimissioni del presidente della federazione di football, che ha il rango di viceministro. Con la passione pallonare non si scherza, neanche a Pechino.