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 2016  ottobre 17 Lunedì calendario

GRANDI FAMIGLIE. WALLENBERG E DEL VECCHIO, CAMPIONI IN CASSAFORTE

Hanno un portafoglio che vale oltre 150 miliardi, costituito in larga parte da partecipazioni in aziende quotate. E malgrado la volatilità dei listini, i morsi della crisi del 2008, il calo delle materie prime e l’apprezzamento del dollaro, hanno pressoché raddoppiato il loro valore in dieci anni. In Italia prima sul podio è la Delfin di Leonardo Del Vecchio, i cui asset hanno accresciuto il loro valore al ritmo del 6,6% all’anno, con una rivalutazione complessiva dei suoi investimenti del 96% dal 2005. Poi c’è la Exor della famiglia Agnelli-Elkann (+76%) e la cassaforte Edizione dei Benetton (+55,7%).
Sono performance paragonabili a quelle della Investor degli svedesi Wallenberg e ai risultati messi a segno dai Carvalho-Heineken. Ma c’è anche chi ha risentito di più dei venti contrari sui mercati o dell’eccessiva esposizione a settori maturi o alla concentrazione delle loro attività in singoli Paesi. La caratteristica comune è un’enorme ricchezza nei forzieri. Visto che le grandi dinastie europee sono liquide. La Lundberg dell’omonima famiglia di industriali svedesi dell’Husqvarna e della Sandvik, ma oggi soprattutto grande investitore nell’immobiliare, esibisce un rapporto tra debito e valore degli asset ( Long to value ) dell’1%, al pari dei connazionali della Latour che fa capo alla famiglia Douglas. Un ratio che sale al 23% per i francesi Wendel, 300 anni di storia alle spalle.

Venti del Nord
La fotografia della ricchezza delle holding di partecipazione delle grandi dinastie in Europa l’ha fornita Deutsche Bank che ha tratteggiato i contorni di un settore in profonda trasformazione. Il punto d’arrivo sono le società, nella maggior parte dei casi quotate, del Nord dell’Europa. Qui le holding hanno da tempo abdicato al ruolo di mera cassaforte che custodisce le quote delle attività industriali avviate anche vari secoli fa, per assumere un profilo da investitore istituzionale. Più assimilabile a quello dei sovereign fund , di grandi fondi pensione o dei private equity . Hanno una governance che esprime manager esterni e assegna ai membri della famiglia il ruolo di beneficiari di cedole e che quindi sorvegliano soprattutto i redimenti. La mappa disegnata dagli investment banker dell’istituto esclude invece i cosiddetti family office , strutture più semplici, anche se non meno ricche, visto che il mercato stima in 100 miliardi gli asset investiti solo in Italia (più una liquidità superiore ai 200 miliardi), altrettanti sono nei forzieri spagnoli, 120 sono in Francia e 150 in Germania. Il perimetro non include, insomma, nomi come i Ferrero, la cui filosofia è piuttosto di sottoscrivere quote in fondi.

Concentrazioni
Edizione, Delfin ed Exor hanno attraversato l’ultimo decennio riuscendo a rivalutare i loro asset , in larga parte quotati, tra il 4,4% e il 6,6% all’anno, battendo certamente le performance dell’FtseMib di Piazza Affari (-6,4%) ma addirittura superando l’indice Msci World. Certo, non tutte hanno aggiornato al rialzo i loro valori. La Fininvest della famiglia Berlusconi, come del resto i De Benedetti, hanno sofferto di più l’impatto della crisi finanziaria. Troppo concentrati in Italia e sbilanciati sul settore dei media. L’83% del Nav ( net asset value ) della holding del Biscione è rimasto concentrato nella Penisola, anche se il peso del comparto media si è molto alleggerito (dal 70% al 40%)in dieci anni grazie alla diversificazione nella finanza con Mediolanum che si è molto rivalutata.

Una lettura non dissimile è fornita dai dati della Cir che ha però compensato la stretta dei valori con le attività dei servizi sanitari di Kos. Diverso il quadro della De Agostini. La dinastia Boroli-Drago è stata forse la prima a cambiare pelle davvero con l’innesto di manager professionisti e la diversificazione del business da quello originario dell’editoria. Ha varato la maxi acquisizione della società Usa di giochi Igt che ha proiettato Lottomatica sui mercati globali, tanto che oggi i media rappresentano solo il 17% del Gav ( gross asset value , cioè debito incluso). Ma sui numeri ha pesato soprattutto la quota in Generali che sconta ancora gli andamenti di Borsa. Anche la Delfin di Del Vecchio è molto concentrata: il settore degli occhiali pesa per ben l’84% del Gav. Ma la fortuna della dinastia è che Luxottica presidia il mercato globale (il 54% del valore lordo viene dal Nord America). Insomma, l’imprenditore dell’occhialeria ha molto in comune con Charlene de Carvalho-Heineken, erede del colosso della birra, il cui patrimonio è pressoché in un solo comparto industriale ma che ormai è mondiale. Performance invidiabili sono messe a segno anche dai tedeschi di Bertelsmann, che pur concentrati su giornali e tv offrono ai soci — gli eredi della famiglia Mohn che controllano le attività attraverso la Bvg — un dividend yield dell’1,3%. È un livello elevato rispetto alle holding nazionali i cui rendimenti coprono un range tra lo 0,5% e l’1% che si paragona con quello delle 14 finanziarie prese in considerazione dagli esperti di Deutsche Bank e pari al 2-3%.

Modelli
Ma qual è il modello ideale? Quello che incrocia presenza sui mercati esteri, diversificazione e management esterno, come emerge dalla radiografia. La francese Eurazeo che agglomera, tra le altre, le famiglie di Michel David-Weill e Bernheim, nel passato colonne portanti della Lazard e degli incroci tra dinastie industriali a cavallo tra Francia e Italia, è guidata dal ceo Patrick Sayer e ha interessi diversificati, per settore e geografia. Nel gruppo Bruxelles Lambert, le famiglie esprimono il presidente Gérald Frère e il vice Paul Desmarais, ma la gestione è affidata a manager. Qui il dividend yield è sopra il 3%.

Adesso provano a compiere questo percorso i Benetton. Dopo trent’anni di gestione concentrata nelle mani del tandem Gilberto Benetton-Gianni Mion, da gennaio Fabio Cerchiai sarà presidente e Marco Patuano avrà la guida operativa. Assieme dovranno individuare le opportunità per investire, almeno in parte, i circa 1,6 miliardi di liquidità della holding di famiglia che, forse per prima, aveva avviato la diversificazione del business comprando autostrade e aeroporti. Che il settore sia ricco di prospettive lo hanno capito le grandi banche. In Unicredit, ora sotto la guida del ceo Jean-Pierre Mustier, il senior banker Davide Mereghetti, già advisor delle famiglie Bertelli-Prada, Tronchetti e Garrone, è stato designato alla guida del Global family office che da gennaio fornirà consulenza alle grandi dinastie imprenditoriali con una taglia superiore ai 500 milioni, in Italia e all’estero.