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 2016  ottobre 17 Lunedì calendario

QUEI VESTITI D’ORO MODA A POMPEI

Pompei, capitale della moda aurea. C’è anche questo capitolo inedito da haute couture nella grandiosa e tragica storia della città vesuviana. Perché tra i tesori più preziosi sopravvissuti alla furia del Vesuvio nel 79 d.C. riaffiorano ora sedici speciali reperti tessili. Un patrimonio di fascette lunghe tutte tra i venti e i venticinque centimetri, leggere come piume ma sofisticate come un virtuosismo sartoriale da maison del terzo millennio.
A sorprendere gli archeologi è infatti l’ordito, tutt’altro che comune, realizzato completamente con fili d’oro, lamine purissime lavorate con una perizia tecnica irripetibile. Un unicum, dicono gli studiosi. Il tesoretto proviene da una domus pompeiana della cosiddetta Regio I, nel corso delle campagne di scavo e indagini degli ultimi anni, ma solo dal 2014 è stato al centro di un progetto di studio innovativo che ne ha svelato segreti e suggestioni. «Si tratta di fili realizzati attorcigliando attorno ad un filo in fibra organica, forse seta, una lamina d’oro puro sottilissima. E l’eccezionalità dei manufatti risiede proprio nella tecnica di realizzazione di questa lamina aurea che raggiunge lo spessore di un micron pari a 0,001 millimetri, come le lamine d’oro prodotte oggi che però sono lavorate con macchinari appositi».
Ne è convinto Marco Galli, docente di archeologia classica della Sapienza, ideatore del progetto Cultura tessile a Pompei, portato avanti con un’équipe di studiosi del laboratorio di archeologia sperimentale di Cristina Lemorini, ma soprattutto con in piena sinergia con la Soprintendenza speciale di Pompei guidata da Massimo Osanna. Cuore di tutta l’operazione è il Laboratorio di Scienze Applicate di Pompei, che Osanna sta potenziando e aprendo a ricerche internazionali sempre più innovative.
ANALISI HI-TECH
È qui, infatti, che negli ultimi due anni l’archeologa Francesca Coletti ha condotto per la prima volta una serie di analisi altamente tecnologiche su una collezione di tessuti unica al mondo. Indagini fisiche, chimiche, biologiche, che hanno identificato una gamma straordinaria di tipi diversi di manufatti, resi unici per l’alto livello qualitativo, per la molteplicità di variazioni e combinazioni tecniche. Insomma, a Pompei i tessuti in voga sembrano frutto di una maestria sartoriale altamente sofisticata e diversificata.
Tra le scoperte fatte dalla Coletti, che ha condotto ricerche minuziose anche negli archivi, spicca proprio la straordinaria serie di sedici piccole fasce intessute con fili d’oro lunghe 20-25 centimetri, e alte 5-15, alcune complete conservano alla loro estremità dei piccoli anellini anch’essi d’oro. Una curiosità è che nel tesoretto di manufatti conservati nel Laboratorio di Pompei, spiccano anche tessuti provenienti dalla Villa B di Oplontis, rinvenute in un ambiente dove avevano cercato rifugio molti fuggitivi di cui si sono ritrovati gli scheletri accanto ad oggetti che stavano cercando di salvare.
«Molto probabilmente erano decorazione di vesti femminili o probabilmente utilizzate per le acconciature, come mostra non a caso un affresco pompeiano che ritrae una figura femminile», dice Marco Galli che con la sua équipe presenterà i risultati dello studio in occasione del congresso internazionale sui Tessuti e i coloranti nel mondo antico del Mediterraneo che si apre oggi a Padova. «Gli amanti dell’archeologia e di Pompei - avverte Galli - si stupiranno nel sapere che nella città vesuviana, che fu seppellita dall’eruzione del 79 d.C. gli scavi hanno restituito numerosi frammenti di tessuti antichi, che nella maggior parte appaiono carbonizzati dalle ceneri e dalla tremenda escursione termica verificatasi durante l’eruzione del vulcano, ma in parte esistono anche rari resti di tessuto che fortunatamente hanno preservato le loro caratteristiche originarie».
I CALCHI
Lana, seta, cotone, lino, e soprattutto oro. Ma a rendere ancora più innovativa l’impresa di riscoperta della moda pompeiana sono state le analisi sui famosi calchi ricavati dai corpi degli abitanti seppelliti dalla lava: «Infatti l’idea che questi conservassero ancora le tracce ben visibili degli indumenti indossati al momento del tragico evento è stata confermata pienamente», avverte Galli. Grazie al progetto di studio di tutti i calchi svolto nel 2015 sotto la direzione di Massimo Osanna gli archeologi hanno potuto riscontrare su molti esemplari tracce evidenti dei tessuti: sono state Francesca Coletti e Sylvia Mitschke studiosa e restauratrice di tessuti antichi del Ceza, Centro di Archeometria di Mannheim, a riconoscere il tipo di trama sui calchi e trovare l’esatto parallelo nei resti carbonizzati conservati nel Laboratorio di Scienze Applicate di Pompei.
Pompei era dunque una città tessile? Era cioè una città quasi alla pari con le città medievali per una produzione tessile destinata ad un ampio mercato? Oppure vigeva qui una produzione domestica, nella maggior parte dei casi funzionale alle più ristrette esigenze locali? Marco Galli ha riscontrato che in realtà anche nelle abitazioni pompeiane erano stati ricavati dopo il terremoto del 62 d.C. degli spazi destinati alla filatura e tessitura a cui lavoravano non gli appartenenti di nuclei familiari, ma veri e propri gruppi di artigiani, uomini e donne, tra i quali erano presenti anche stranieri: ad esempio greci dell’Asia Minore e, addirittura, di origine ebraica, come indicano i nomi Maria e Tamudianus (Thamud).
Presenze dovute alla realizzazione di prodotti o tecniche particolari? Le ipotesi sono aperte. Ma che Pompei fosse all’avanguardia su tecniche di filatura e tessitura lo dimostrano gli studi. «Le analisi al microscopio condotte dalla Lemorini hanno permesso di riscontrare che i fusi, su cui veniva raccolta la matassa di lana per essere filata - conclude Galli - non venivano tenuti in mano, come raccontano le immagini antiche, ma probabilmente erano utilizzati a terra all’interno di vasi, come conosciamo invece da confronti etnografici con culture contemporanee».