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 2016  ottobre 17 Lunedì calendario

«STORIA DI PAPA’: IL PATRON DEL MILAN ACCECATO DA MALINCONIA E CASINO’»

Non credo nelle coincidenze, credo nel fato”. Marco Buticchi toglie il grembiule e si siede a tavola. Al centro c’è un branzino al forno che pare vivo (“Il pesce me lo vende la figlia della mia balia”), di fronte la bella moglie Consuelo, ai nostri piedi il golfo di La Spezia. Le isole di Timo e Palmaria, Lerici, Portovenere, il Golfo dei Poeti.

“Questa casa l’abbiamo presa per la vista”, dice Consuelo. Vista meravigliosa e posizione strategica. D’estate Marco e Consuelo gestiscono il loro stabilimento al Lido, d’inverno Marco scrive romanzi d’avventura diventati altrettanti bestseller. Epoche lontane e mondi paralleli. Questa volta però l’avventura è di casa: Casa di mare (Longanesi) è il romanzo in cui Marco Buticchi racconta la vita di suo padre Albino, una vita come Steve McQueen.

Nato a Cadimare da una lattaia e da un riparatore di carrozze, Albino è stato partigiano, deportato dai nazisti, legionario straniero, pilota delle Mille Miglia, contrabbandiere di prodotti petroliferi, manager della Bp e infine petroliere in proprio, presidente del Milan dal 1972 al ’75. Ma anche seduttore e giocatore sfrenato: “Al gioco non sarai mai un vincente se non sei disposto a rischiare tutto”. A 55 anni tenta il suicidio, sopravvive ma la pallottola gli recide il nervo ottico e lo sprofonda nel buio.

Casa di Mare è il romanzo che Marco Buticchi ha vissuto prima di scriverlo, e per questo lo ha aspettato tanto. “Ho iniziato un sacco di volte, ma dopo poche pagine mi bloccavo. Deve passare del tempo perché il dolore diventi ricordo, e più il dolore è grande più tempo deve passare. Se uno scrive troppo presto rischia di intingere la penna nell’acredine. E poi, nemmeno sono sicuro che sia un romanzo…”.

La magia del libro sta proprio in questo equilibrio impossibile ma perfetto, nell’essere un romanzo di avventure e insieme una storia vera. “Quando ero piccolo e papà mi raccontava gli episodi della sua vita per lui era tutto normale, l’avventura scorreva nei ricordi come la cosa più naturale del mondo: ‘Alle Mille Miglia del 1957 c’era anche Alfonso, lo spagnolo, che per lo scoppio di un pneumatico andò fuori strada e morì sul colpo.’ Poi, molti anni dopo, scoprivo che Alfonso era il marchese de Portago, uno dei più grandi piloti di sempre…”.

Casa di mare è una cronaca familiare, dove come in certe conchiglie si sente il rumore del mare ma anche il rombo dell’Italia degli anni Sessanta di cui Buticchi fu un emblema vivente: il self-made man arrogante e carismatico, perfetto per un film con Vittorio Gassman. “Troppo spesso ci dimentichiamo del popolo che siamo stati. In quegli anni il paese era un cumulo di macerie, ci voleva davvero una marcia in più per tirarsene fuori e ripartire. Oggi per rincorrere quel tipo di avventure bisognerebbe andare su Marte; certo, i giovani possono correre le loro avventure in rete, ma sono avventure da scrivania”.

Riavvolgiamo il nastro dall’inizio, tornando indietro di mezzo secolo. “Avevo sei anni. ‘Il bambino deve imparare a nuotare’, disse, e mi buttò giù dalla barca. Questo è il primo ricordo di mio padre. ‘Adesso impari’. E in effetti ho imparato”.

Il secondo flashback è di dieci anni dopo. Al culmine del fulgore, Albino Buticchi rileva il Milan di Gianni Rivera e Nereo Rocco, diventa uno dei più giovani presidenti di serie A di sempre: “Non ho vissuto quel momento magico quanto avrei voluto perché dopo tre tentativi di sequestro ero stato spedito in un collegio svizzero. Ma mi restano dei lampi favolosi della vicinanza coi miei beniamini, mi ricordo per esempio che in aereo volevo sempre sedermi accanto a Benetti perché mi trasmetteva protezione”. Ma avvicinarsi al calcio vuol dire avvicinarsi agli dei, e a volare troppo alto si rischia di bruciarsi le ali.

Maggio 1973: il Milan vince la Coppa delle Coppe contro il Leeds ma soltanto tre giorni dopo deve giocare a Verona l’ultima di campionato, dove è primo con un punto di vantaggio sulla Juventus. Sarà una disfatta. Verona-Milan finisce 5-3, “i rossoneri sembravano bolliti, in totale balia degli avversari”. Lo spareggio sembra inevitabile, ma a tre minuti dalla fine il terzino bianconero Cuccureddu segna alla Roma il gol del 2-1: “La Juve vinse lo scudetto e l’astro del presidente Buticchi incominciò a tramontare”. In Casa di Mare si legge che fu Rocco a dire al presidente di non chiedere il posticipo di Verona-Milan, ma Rivera ha smentito questa versione facendo ricadere la responsabilità su suo padre… “Invece andò proprio così, e il perché lo dirò a Rivera se sarò costretto a dirlo”. Di certo dopo “la fatal Verona” nulla fu più come prima. Il destino aveva cambiato cavallo. “Rocco se ne andò e d’altra parte il paron e mio padre erano due caratteri incompatibili. L’innamorato del rischio e il catenacciaro di genio, il ligure chiuso e il triestino sarcastico…”. Albino e Nereo, il bianco e il nero.

Con Rivera andò anche peggio: dopo alcune voci sulla sua cessione, peraltro infondate, fu il capitano che costrinse il presidente alle dimissioni.

Passano altri dieci anni e arriva la notte del 14 febbraio 1983, “la notte in cui mi sono addormento rampollo milionario e mi sono svegliato uomo”. Reduce dall’ennesima batosta al Casinò di Montecarlo, Albino Buticchi si spara in testa.

“Scampò alla morte per miracolo e sulle prime si trasformò in un altro uomo. Pentito del suo gesto e grato alla vita. Ma quando si rese conto di essere condannato a rimanere cieco, il demone del gioco si rimpossessò di lui più di prima”.

Gli ultimi anni della vita si consumano in una serie di spedizioni nei privé di Sanremo e a Montecarlo dove la roulette si riprende pezzo per pezzo l’immensa fortuna che pezzo per pezzo si era costruito, fino a ridursi a vivere nell’unica stanza invenduta della villa di Cadimare.

Marco Buticchi si alza da tavola; affacciato sul Golfo, indica il minuscolo paese di cui è originaria la sua famiglia. “Al tavolo di roulette, cieco, si è mangiato tutto. Quando ho scoperto che stava per vendere anche i bagni del Lido, gli ho detto piuttosto vendili a me. Mi ha venduto la nuda proprietà, e fino all’ultimo gli ho versato i soldi dell’affitto”.

Dopo avere scritto questo libro “che forse non è un romanzo”, le è venuto da pensare che una vita vera può essere più romanzesca di un romanzo? “Me lo sono domandato. Nel mio libro c’è l’Italia più romanzesca dell’ultimo secolo. Tempi, luoghi, circostanze. E naturalmente c’è l’eroe. Non c’è il lieto fine, come nei romanzi d’avventura; ma nella vita il finale non lo scriviamo noi…”.

Ammettiamo che da qualche parte Albino Buticchi sia riuscito a scovare Casa di mare, e lo abbia letto. Che fa? “S’incazza. S’incazza come una bestia. Poi però va in giro a dire ‘guarda mio figlio come scrive bene’”.