
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
L’altro giorno erano cinquant’anni dalla fallita rivolta tibetana contro i cinesi (1959) e circa 2000 fedeli sono andati ad ascoltare il Dalai Lama a Dharamsala, la località indiana dove vive da allora in esilio. Il Dalai Lama ha pronunciato un discorso tremendo, quasi urlato: il Tibet vive «l’inferno in terra», con «centinaia di migliaia di tibetani morti » sotto «una brutale repressione », i tibetani sono considerati «un popolo di criminali degni solo di morire» costretti a vivere nell’angoscia di «una paura costante » eccetera.
• Che cosa si propone con un discorso simile?
Si propone di spingere il mondo a fare quello che stiamo facendo io e lei: ricordarsi del Tibet, parlarne, premere sulle autorità cinesi perché concedano l’autonomia. Perché il Dalai Lama, lei lo ricorderà, ha smesso da un pezzo di puntare all’indipendenza del Tibet e porta avanti una proposta più mode-rata, che ritiene più a portata di mano. Dice: restiamo cinesi, ma dateci l’autonomia.
• Perché Pechino dice di no?
In Cina ci sono 58 minoranze e una minima concessione ai tibetani scatenerebbe una ridda di rivendicazioni. O almeno: questo temono a Pechino. La risposta cinese alle rivendicazioni del Tibet, come sa, è sempre stata durissima. I dirigenti comunisti sono tra l’altro convinti che si tratta solo di aspettare: il Dalai Lama ha 74 anni e non sta bene in salute. L’anno scorso gli hanno tolto dei calcoli alla bile, va continuamente in India a fare esami, ha praticamente sospeso i viaggi all’estero.
• Hanno ragione? La morte del Dalai Lama – che avvenga il più tardi possibile – segnerebbe la fine della resistenza tibetana?
Il Dalai Lama ha pubblicato l’anno scorso un libro-intervista con Thomas Laird in cui affronta anche questo problema. «E’ il popolo tibetano – dice con un passato e una cultura lunghi e ricchi, è la peculiarità della nostra comunità ciò che dev’essere riconosciuto. Quando il Dalai Lama non ci sarà più, il popolo tibetano e la sua storia continueranno a esistere ». Una frase politicamente inevitabile e che descrive quello che i cinesi hanno effettivamente fatto. Pechino ha lavorato per far scomparire i tibetani dal Tibet, invadendolo di cinesi autentici di etnia han. Le due comunità, oggi di consistenza pari (sei milioni di persone a testa), non si parlano, ma le leve del potere e della ricchezza sono in mano ai cinesi. I tibetani contano poco e col tempo conteranno sempre meno. Nello stesso tempo, Pechino ha portato in Tibet ricchezza e modernità, preservando delle antiche tradizioni dell’altopiano tutto ciò che poteva essere interessante dal punto di vista turistico. forse un metodo orrendo, ma sarebbe assurdo non tener conto del fatto che il Pil tibetano è più alto del Pil cinese. Lo sforzo per portare a Lhasa una ferrovia che sale per cinquemila chilometri e non farà mai riguadagnare ai cinesi i soldi che si sono spesi per costruirla è un fatto. Il Dalai Lama replica che tutto questo serve solo a distruggere la storia del Tibet, a sradicarne le tradizioni. tuttavia legittimo anche chiedersi: che tipo di governo instaurerebbe il Dalai Lama se ripigliasse il controllo del Tibet?
• Ma lei sta con i cinesi?
I cinesi sono dei massacratori di uomini e di diritti civili e non si può stare dalla loro parte. Il Tibet gli interessa per prendersi l’acqua, di cui hanno bisogno assoluto anche a causa delle condizioni in cui hanno ridotto lo Yang Tze. E tuttavia sarebbe assurdo non andare a vedere anche l’altra faccia della medaglia. Nelle teocrazie c’è un pericolo, basta ricordare a come l’occidente si innamorò di Khomeini al tempo dello scià di Persia. Un’infatuazione di cui non cessa di pentirsi.
• La Clinton, che è stata adesso in Cina, non ha detto niente ai capi di quel Paese sui diritti civili?
Ufficialmente non ha detto una parola, cosa che le ha attirato parecchie critiche. Oltre tutto l’anno scorso, al tempo delle Olimpiadi, Hillary criticò severamente l’acquiescenza di Bush a Pechino (anche se poi Bush il Dalai Lama l’aveva ricevuto). possibile che il segretario di Stato abbia detto qualcosa in privato a Wen Jiabao e agli altri. Ma non ci credo molto. Gli americani dipendono a questo punto in tutto e per tutto da Pechino. I cinesi hanno in cassa poco meno di duemila miliardi di dollari e potrebbero distruggere l’economia statunitense se – assurdamente – si mettessero a venderli. Obama ha bisogno di soldi e conta sui cinesi per farseli prestare. Mi creda, il Dalai Lama, nonostante tutti i discorsi e il voto di solidarietà della Camera dell’altro giorno, oggi è l’ultima preoccupazione del mondo. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 12/3/2009]
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