Colloquio con Robert Mundell di Piergiorgio Odifreddi, L’Espresso 12/3/2009, 12 marzo 2009
SCACCO MATEMATICO
Da qualche anno abbiamo tutti imparato a convivere con l’euro, nel bene e nel male, ma pochi di noi sanno chi ha sviluppato la teoria delle aree monetarie ottimali, che ha portato all’introduzione di una moneta unica nell’Unione europea, e al tramonto delle monete locali. L’ideatore di questa teoria è Robert Mundell, un canadese che oggi ha 77 anni (è nato nel 1932), che nel 1999 ha appunto vinto il premio Nobel dell’economia «per la sua analisi delle politiche monetarie e fiscali in differenti regimi di tasso di scambio e perla sua analisi delle aree monetarie ottimali». In realtà, questo non è l’unico impatto che Mundell ha avuto sull’economia mondiale e sui nostro modo di stare al mondo. Negli anni ’80 è stato Mundell a suggerire a Ronald Reagan la politica di «economia dalla parte dell’offerta» (supply-side economics), che consisteva nel favorire gli investimenti e la produzione attraverso tagli delle tasse ai ricchi, all’insegna del motto: "L’offera crea la domanda". Una politica ovviamente discussa e criticata dalla scuola keynesiana, anzi il suo esatto opposto, dato che i seguaci del grande economista inglese preferiscono invece stiimolare i consumi attraverso un sostegno degli stipendi e dei salari, all’insegna dei motto: "La domanda crea l’offerta". Ma anche una teoria e una prassi, quella, i Mundell, a cui ora Barack Obama ha posto fine, alzando le tasse agli abbienti. quel che era buono ieri (o poteva esere considerato tale diventa cattivo oggi. Ma non bisogna dimenticare che senza le teorie di Mundell non ci sarebbe stata, probabilmente la globalizzazione (quella buona che elimina il protezionismo e apre le economie e i mondi, allo scambio reciproco). Fra gli economisti, Mundell è infatti noto per il famoso «teorema di non esistenza della Santissima Trinità»: la dimostrazione matematica, cioè, dei fatto che un paese non può allo stesso tempo mantenere un tasso di cambio fisso, permettere la libera circolazione dei capitali e avere una politica monetaria indipendente. Due delle tre condizioni si possono soddisfare, a scelta, ma tutte e tre insieme no, da cui il fantasioso nome dato al teorema. Se vogliamo, quel teorema sta alla base della giobalizzazione. L’eclettismo di Mundell non si limita al campo dell’economia: al Festival di Matematica, che aprirà al pubblico il 19 marzo 2001) all’Auditorium di Roma (dopo la prima tappa a York) con una sua conferenza su "Economia, matematica e scacchi", egli mostrerà di essere versato anche nel campo del gioco più razionale e complesso del mondo: gli scacchi, appunto. Abbiamo intervistato Mundell, che ci ha parlato di questo gioco, del leggendario e controverso campione Bobby Fischer, scomparso nell’esilio islandese un anno fa, e del rapporto tra scacchi, economia e matematica. Ecco cosa ci ha detto, in questa conversazione che può essere letta come un apologo su come nasce e ragioni un genio della razionalità.
Professor Mundell, quando ha imparato a giocare a scacchi?
«Mi insegnò mio padre, quando avevo orto anni. Non ci volle troppo tempo perché
diventassi meglio di lui, ma non c’erano litri con cui giocare: vivevamo in Canada, in una comunità agricola isolata, con una scuola che aveva un’unica aula per tutte le classi elementari e medie messe insieme, e nessun scolaro giocava».
Come fece, allora, a progredire?
«Grazie a mia nonna, che non giocava bene, ma si divertiva a farlo con me. Un giorno venne a visitarci e mi portò in regalo il mio primo libro di scacchi: "Le mie migliori partite" del campione del mondo Alexander Alekhine, che descriveva le sue partite giovanili. Fu quel libro ad aprirmi gli occhi, non solo sugli scacchi, ma sul modo di pensare ovviamente».
Ne parleremo ancora. Intanto. E’ mai arrivato ad avere un punteggio ufficiale?
«No, perché non ho mai partecipato a competizioni ufficiali. E comunque, alla fine degli anni ’30 e all’inizio degli anni ’40 non esisteva ancora il sistema Elo che si usa oggi».
So che lei ha incontrato Bobby Fischer, esiliato dagli Stati Uniti per aver violato l’embargo contro la Jugoslavia nel 1992, e poi vissuto in Islanda da uomo un po’ paranoico...
«Sono andato in Islanda a un convegno, un paio d’anni fa, e ho trovato un amico che conosceva un suo amico. Così abbiamo organizzato un incontro al mio hotel».
E come andò?
«Dopo che ci presentarono, lui noto che avevamo lo stesso nome. Per qualche motivo andammo subito d’accordo, e passammo ore insieme in uno dei suoi bar preferiti, dove la gente gli permetteva di stare in pace. Ogni volta poi che sono tornato a Reykyavik l’ho rivisto, spesso con sua moglie e dei suoi amici».
Di cosa parlavate?
«Io di scacchi con lui, e lui di economia con me. Ci scambiavamo le informazioni, nei nostri rispettivi ambiti. Abbiamo passato un sacco di tempo a discutere la storia degli scacchi e a classificare i giocatori».
Cosa gli interessava dell’econornia?
«Le applicazioni all’Isianda, ad esempio: pensava che andasse nella direzione sbagliata, e che si sarebbe trovata nei guai prima o poi. E non aveva tutti i torti, visto che l’Islanda è stato uno dei primi paesi a risentire dell’attuale crisi finanziaria, nell’ottobre 2008, e uno dei più fortemente toccati da essa. Un bravo scacchista capisce anche di economia. E’ la razionalità».
Ha mai giocato a scacchi con Fischer?
«Una volta. In una delle mia visite, l’avevo invitato a pranzo all’hotel con sua moglie e i suoi amici, ma quando arrivarono il ristorante non era ancora pronto. Allori siamo saliti nella mia suite, io gli ho chiesto se voleva giocare, e lui accertò. Ma dapprima mi chiese qual era il mio punteggio Elo. dovetti confessare che non ne avevo nessuno. Lui giocava con il bianco, e fece la sua apertura preferita: la Ruy Lopez, col pedone di re. A un certo punto io gli mangiai un pedone col cavallo, lui mi avverti che così avrei perso un pezzo, e lo gli risposi che lo sapevo. Effettivamente persi il cavallo, ma guadagnai due pedoni, trovandomi in ottima pisizione e minacciando uno scacco».
Lui come la prese?
«Si appoggio allo schienale della sedia e mi disse: "Giochi molto meglio di quanto pensassi! Credevo che fossi solo uno spingi-pezzi". Poi studiò la scacchiera per un minuto o due, e riprese a giocare. Dopo un pò il suo re riuscì a scappare nelle caselle centrali, e lo rimasi in svantaggio di un pedone, anche se leggermente in vantaggio di posizione. In quel momento vennero a dirci che il pranzo eri servito, e io mi ritirai perché pensai che tutto sommato lui stava messo meglio di me».
E lui concordò?
«A tavola valutammo i pro e i contro, e lui decise che alla fine avrebbe vinto».
Le è mai capitato di giocare con lui ai cosiddetti scacchi di Fischer, in cui si mettono i pezzi (quasi) a caso agli inizi?
«No, ma ne abbiamo parlato. A me sembra un’ottima idea, come il rimescolare le carte di un mazzo: partendo da posizioni iniziali casuali, la creatività e il talento prendono il sopravvento sulla memorizzazione delle aperture. Sarebbe anche un’ottima scuola di pensiero per gli economisti».
Lei, professore di economia a New York, ha recentemente organizzato un torneo di scacchi a Nanchino.
«E’ la curiosità. Ho un amico che è un alto funzionario del Partito comunista cinese. Qualche tempo fa, quand’era al governo, gli proposi di fare un torneo a Pechino, ma per qualche motivo non fu possibile. Poi lui divenne segretario del partito a Nanchino, io gli riproposi il progetto. e questa voita la cosa funzionò. Ma, c’è senso storico in questo evento: Nanchino, il cui nome significa Capitale meridionale, è probabilmente il luogo di nascita degli scacchi cinesi, ecco la diversita nella giobalizzazione».
Quali sono le relazioni tra scacchi ed economia?
«L’economia è la scienza della scelta in condizioni di scarsità: la sua ipotesi è che ci si comporti razionalmente, e i suoi strumenti sono il risparmio, l’efficienza, l’ottimizzizione, la produttività, la scelta. Tutte queste cose sono l’essenza degli scacchi, e la maggior parte dei concetti economici ha qualche analogo nel gioco: scarsità, concentrazione, potenza, costi, benefici, liquidità, breve e lungo termine, conservazione e allocazione delle risorse, pianificazione».
E tra gli scacchi e la matematica?
«La scelta delle mosse negli scacchi è un tipico problema di ottimizzazione, o di massimizzazione sotto restrizione: esattamente il genere di cose per le quali sono stati sviluppati gli strumenti tecnici della matematica, che poi sono utili pure in economia»
E, infatti, le stavo per chiedere dei rapporto tra matematica ed economia.
«L’economia fornisce la fondazione empirica per la teoria dei comportamento razionale e la matematica gli strumenti per derivare le implicazioni della teoria e estrarne previsioni riguardanti gli eventi nel mondo reale. Vede che tutto si tiene, un buon scacchista è anche un buon economista».