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 2009  marzo 12 Giovedì calendario

GIANMARIA PADOVANI PER PANORAMA 12 MARZO 2009

Claudio Santamaria Una figlia per smettere di soffrire. Nel cinema ha sfondato presto. Ma il successo gli ha portato anche angoscia, racconta il protagonista del film di Roberto Faenza «Il caso dell’infedele Klara».«Forse perché inconsciamente pensavo di non meritarlo» spiega. Ma dopo la nascita di Emma impersonare un ruolo è più lieve. Nei momenti liberi, poi, ci sono amici come Accorsi e Favino. E la musica che ha invaso la sua vita.
«Il giorno dopo mi chiama mio fratello e mi fa: ”Ma tu devi fare il cantante! Poi, ogni tanto, puoi fare anche l’attore”». Non è passata inosservata l’esibizione canora di Claudio Santamaria al Festival di Sanremo. Lo scorso 18 febbraio, nel giorno del compleanno di Fabrizio De André, sul palco dell’Ariston l’attore romano ha cantato Bocca di rosa accompagnato dalla Pfm svelando la sua anima musicale.
Niente paura: quella per le note è una passione che Santamaria, 34 anni, coltiva nei ritagli di tempo tra un film e l’altro, suonando chitarra e tromba in due band. «Facciamo un genere alla Sonic Youth» spiega «e sta per uscire il cd dei Mammouth in un cui pezzo suono la tromba».
Sarà una coincidenza che in Il caso dell’infedele Klara interpreti un musicista? Il film diretto da Roberto Faenza lo vede protagonista accanto a Laura Chiatti, la Klara del titolo, ed è tratto da un romanzo dello scrittore ceco Michal Viewegh. La pellicola racconta di un amore viziato dalla gelosia. «Non una gelosia normale» precisa «ma una vera malattia, una nevrosi».
Il suo Luca è un italiano che vive a Praga e che si rivolge a un detective, Denis, «per far spiare la fidanzata Klara» racconta Santamaria mentre si cucina un filetto di manzo («La mia dieta energizzante») sul set romano della fiction Le cose che restano, in cui recita accanto a Paola Cortellesi. «Luca è uno che per la prima volta nella sua vita concede tutto se stesso a una donna e non alla musica. Mentre giravamo mi sono domandato: perché fa così? Luca ha qualcosa di infantile, affronta una gelosia quasi adolescenziale e non ha l’ironia per superarla. La sua gelosia io l’ho provata a 16 anni, forse».
Non è più un uomo geloso?
Lo sono, ma riesco a superare la nevrosi con l’autoironia.
A molte donne piace la possessività.
Beh, a tutti piace, credo, perché ti fa sentire desiderato. Oddio, a pensarci bene non è che mi attragga molto.
La sua compagna (Santamaria ha una figlia di 1 anno e mezzo, Emma, con Delfina Delettrez Fendi, designer di gioielli) è gelosa?
Sì, ma non passa i limiti.
Altrimenti non starebbe con un attore?
 per questo che non sto con un’attrice (ride). A parte gli scherzi, mi sono concentrato su me stesso per capire Luca, perché in passato ho avuto fissazioni maniacali, anche se non coinvolgevano la gelosia. Luca scopre per la prima volta questo sentimento e vuole vivere fino in fondo questa malattia, forse per legittimare l’amore. Un po’ come se dicesse a se stesso: «Sono così geloso perché la amo davvero».
 vero che Faenza ha esordito dicendole che non gli piacciono gli attori?
No. Quello che mi ha detto, e che forse qualcuno ha travisato, è che a lui non piace star lì sul set a parlare troppo. In realtà poi è uno molto attento al lavoro degli attori.
Chi è stato il più rompiscatole tra i registi con cui ha lavorato? Qualche nome: Bertolucci, Moretti, Avati, Placido, Bechis.
Con Nanni Moretti ho lavorato un solo giorno e ci abbiamo messo più di un’ora per scegliere un maglione e una camicia. molto maniacale per quel poco che ho visto. Forse il regista che insegue di più la propria visione è Pupi Avati.
E il regista che lascia più libertà?
Bernardo Bertolucci è uno che sa prendere moltissimo dagli attori. Mi ricordo che dovevamo fare la prova di una camminata. Un giorno mi vede che ciondolo in giro e fa: «Perfetto! Cammina così in quella scena». A lui piace essere sorpreso dal cast, proprio come Placido e Muccino. Anche se Gabriele ha sempre un’idea molto precisa del film nella sua testa.
 questo che l’ha portato a Hollywood? Qual è la sua forza?
Quella di saper usare il mezzo cinematografico benissimo. Sa lavorare con gli attori e gira anche otto scene al giorno, tantissime. Marco Bechis, con cui ho girato Birdwatchers, invece ha un processo creativo continuo, fa un tipo di cinema molto stimolante.
Si considera un attore impegnato?
Per carità! Forse è un’etichetta che mi hanno dato all’ultimo Festival di Venezia, quando ho polemizzato su George Clooney: interpreta film di impegno politico e poi fa pubblicità per una multinazionale... Io cerco solo di non fare film brutti.
 contro il cinema hollywoodiano?
Non sono contro niente. A me piace il cinema d’intrattenimento, vado anche a vedere delle scemenze micidiali. Anzi, mi piacerebbe che mi offrissero una commedia intelligente, come non se ne fanno più in Italia. O un film demenziale come Zoolander di Ben Stiller.
Un «cinepanettone» non lo farebbe mai?
Non mi piacciono, non mi fanno ridere. Che fine hanno fatto i primi Fantozzi? La comicità deve far fare un salto all’intelligenza dello spettatore, non può solo cercare di farti ridere con le parolacce. Speriamo in questo nuovo impulso che hanno dato Gomorra e Il divo.
 un buon momento per il cinema italiano?
Secondo me, no. In Italia mancano i film di genere. Anzi, come dice Ago Panini (il regista di «Aspettando il sole», commedia noir in cui recita Santamaria, nei cinema in questi giorni, e che a luglio dirigerà il film in cui l’attore sarà Derek Rocco Bernabei, l’italoamericano giustiziato negli Usa il 14 settembre del 2000, ndr), adesso c’è il genere «cinema italiano». Una volta con gli incassi delle grandi commedie popolari i produttori poi pagavano film più difficili.
La colpa di chi è?
L’Italia è un mercato piccolo, i film italiani difficilmente vengono distribuiti all’estero e quindi il produttore non rischia.
«Romanzo criminale» è davvero quella covata di attori giovani, talentuosi e amici tra loro che la leggenda narra?
Sì, un po’ è così. Ma di fatto non è che ci frequentiamo spesso. sempre un piacere vedersi con Kim (Rossi Stuart), Pierfrancesco (Favino) e Stefano (Accorsi), ma lavoriamo tutti molto e non c’è mai tempo.
Che cosa fate quando vi vedete?
Cose normali. Quando ci vediamo mica siamo attori. Con Favino abbiamo visto la serata finale di Sanremo. Cazzeggiamo, non parliamo di lavoro.
Fare una figlia le ha cambiato la vita?
Sì. Lì per lì la notizia della paternità ti dà una sensazione di soffocamento, poi è stupendo. Ora lavoro in maniera più fluida e, per quanta importanza dia alla mia professione, mi dico sempre: è solo un film. Non mi sono neanche imposto delle rinunce: dopo 15 giorni che è nata Emma sono andato in Brasile per girare Birdwatchers. Non volevo che dentro di me ci fosse la sensazione che la sua nascita significasse abdicare a qualcosa. Con la mia compagna c’è stato un dialogo aperto su questo argomento e ho fatto capire le mie ragioni. Sì, alla fine un figlio ti cambia le priorità. Cose che ti sembravano importanti e pesanti perdono di significato.
Per esempio?
Il lavoro dell’attore. Ho fatto molti film volendo per forza passare attraverso una grande sofferenza. Era troppo, perché alla fine recitare dev’essere divertente. All’inizio era così, ma in seguito, forse perché mi sentivo fortunato, inconsciamente pensavo di non meritarlo. E quindi dovevo dimostrare sofferenza.
Come lavora alla costruzione dei personaggi che interpreta?
A volte parto dalla musica: mi faccio una playlist di brani che penso il mio personaggio ascolterebbe. Oppure mi scrivo una sua giornata. Altre volte è più utile partire da un atteggiamento fisico e da lì costruire la psicologia. Non ho un metodo fisso. A volte voglio avere la sceneggiatura ben chiara e allora me la ricopio tutta a mano. Un lavoro da amanuense. Per Rino Gaetano (fiction di Raiuno in onda nel 2007, ndr) ho fatto così.
 difficile avere a che fare con la fama?
C’è da stare attenti. In Italia essere un attore famoso ti dà la possibilità di scegliere i film, ma, come diceva Eduardo De Filippo, non bisogna farsi conoscere troppo dal pubblico, altrimenti si perde il mistero dell’attore. Poi in scena vedono te, non il tuo personaggio.
Si è registrato su Facebook?
No. Non mi interessa.
Non ancora?
Non ce l’avrò mai. Perché andare a cercare vecchi amici delle elementari che non vedi da anni? Se non li vedi da tanto ci sarà un motivo. Io preferisco suonare.