Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Tutto in aria per le presidenze delle camere
Sembrava che si fosse trovata un’intesa tra M5s e centrodestra per le presidenze di Camera e Senato. Poi ieri è saltato tutto. E oggi il nuovo Parlamento si insedia in un clima di totale incertezza.
• Che cosa è successo?
È successo che l’uomo indicato dal centrodestra come candidato per la presidenza del Senato, ovvero Paolo Romani, è stato bollato come «invotabile» dal M5s. Già nei giorni scorsi c’erano stati mugugni e segnali negativi da parte dei grillini sulla scelta del forzista Romani. Romani è stato condannato in via definitiva a un anno e quattro mesi per peculato (la Corte d’Appello deve solo esprimersi sulle attenuanti). Quindi, per le regole del M5s, non può fare il presidente del senato. Non con i loro voti, almeno, e neanche all’interno di un patto che li riguarda. Il veto definitivo di Di Maio ha quindi fatto saltare il tavolo, forse con segreta soddisfazione anche di Salvini, perché Romani risulta a lui troppo dialogante con il Pd. Così ieri sera il M5s ha invitato i capigruppo di tutti i partiti a una riunione nella sala Tatarella di Montecitorio. Riunione – che al momento in cui scriviamo è in corso – a cui ha partecipato anche il Pd che aveva invece rifiutato l’invito di Berlusconi a Palazzo Grazioli.
• E il Pd che posizione ha?
Ufficialmente, stando alle parole del segretario reggente Martina, si è tirato fuori dalla partita dei presidenti delle Camere. E, per quanto riguarda il governo, la linea dettata da Renzi prima delle dimissioni e ribadita poi in direzione è quella di stare all’opposizione, senza alcuna ipotesi di trattativa. Eppure…
• Eppure?
I democratici si direbbero, piuttosto, in stato di attesa. Sanno che, saltato l’accordo tra grillini e centrodestra, saranno determinanti in qualsiasi caso. Se il M5s, in cambio del loro appoggio per il candidato grillino alla camera, proponesse di far eleggere un dem al senato, potrebbe Martina a dire di no? Magari non un renziano, una figura che la base grillina possa in qualche modo accettare. La cosa è possibile, dato che alla camera occorre avere il 50% + 1 dei voti e Di Maio, quel 50%, non ce l’ha, dunque con qualcuno deve intendersi. Fico, considerato l’espressione dell’anima di sinistra dei Cinque Stelle, sarebbe la figura ideale per un’intesa di questo genere. Non è uno scenario impossibile, anche perché quella del Pd è stata, in definitiva, la seconda lista più votata. Inoltre, per tradizione, fino a vent’anni fa, uno delle due camere è sempre andata all’opposizione (epoca del proporzionale). D’altra parte quella vecchia volpe di Zanda, intervistato da Cazzullo sul Corriere, ha lanciato un chiaro messaggio: l’elezione dei presidenti delle camere «è una questione non collegata con la formazione del governo». Tradotto: ben venga una delle due Camere, ma non vuol dire con questo che poi farete un governo con noi. Un modo per scompaginare l’attuale situazione di stallo senza andare alla rottura all’interno del partito. Anche se il rischio di una spaccatura tra i dem è forte. Se la componente governista di Franceschini e le opposizioni anti-renziane di Orlando ed Emiliano decidessero di trattare con Di Maio per la formazione di un esecutivo la frattura con i renziani sarebbe forse inevitabile.
• Mi sembrano comunque ipotesi remote. Restiamo alle presidenze delle camere.
Uno scenario alternativo è che al senato il centrodestra si voti da solo Romani – su cui Berlusconi sembra irremovibile – o un altro suo candidato (Bernini o Gasparri), dal momento che a Palazzo Madama, dalla terza votazione basta la maggioranza semplice e dalla quarta si va al ballottaggio tra i due più votati. A supporto di questa ipotesi ci sono le indiscrezioni di ieri secondo cui Gianni Letta e Luca Lotti, ovvero gli uomini di fiducia di Berlusconi e Renzi, avrebbero concordato l’astensione del Pd, che otterrebbe in cambio due vicepresidenze. Il problema a quel punto sarebbe alla Camera, dove per vedere eletto il suo candidato il M5s dovrebbe avere i voti del centrodestra, o almeno solo della Lega. Se il candidato del M5s venisse eletto alla Camera con i voti della Lega, il tutto risulterebbe propedeutico ad un accordo di governo tra Di Maio e Salvini. Niente di semplice o di scontato, intendiamoci, perché poi i due ipotetici partner dovrebbero discutere di premiership e programmi, ostacoli da non poco conto. Di Maio vuole fare i premier senza se e senza ma e Salvini, se non avesse con sé Berlusconi, sarebbe ridotto al ruolo di comprimario. Difficile immaginarlo.
• Ma in pratica oggi a che ora si inizia?
Alle 10,30 si riunisce il Senato. L’assemblea di Montecitorio è invece convocata per le 11. L’Aula di palazzo Madama sarà presieduta da Giorgio Napolitano, quella di Montecitorio da Roberto Giachetti. Prima dell’avvio delle votazioni per l’elezione dei due presidenti, come prevedono i regolamenti, dovranno essere svolti alcuni passaggi formali: costituire l’Ufficio provvisorio di presidenza e poi proclamare eletti ufficialmente senatori e deputati. Al Senato Napolitano annuncerà poi la nomina a senatrice a vita di Liliana Segre. Il primo scrutinio, al Senato, dovrebbe terminare intorno alle 14. Si svolgerà quindi, nel pomeriggio, una seconda votazione. Se anche questa dovesse andare a vuoto, si proseguirà domani con il terzo scrutinio, quando si potrebbe avere già il nome del successore di Pietro Grasso. Alla Camera, invece, visti i quorum diversi e più alti e l’assenza del ballottaggio, è praticamente impossibile fare una previsione sui tempi. Nella giornata di oggi dovrebbero svolgersi due votazioni. Si proseguirà poi con i successivi scrutini domani. Ogni votazione, nel suo complesso, durerà circa due ore. Contemporaneamente Gentiloni andrà al Quirinale per rassegnare le dimissioni al Presidente della Repubblica. Da oggi il governo uscente resterà in carica solo per il disbrigo degli affari correnti sino all’arrivo di un nuovo esecutivo. E c’è il rischio che questo non avvenga molto presto.
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