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 2018  marzo 23 Venerdì calendario

Che cos’hai messo nel caffè

Agatha Christie si lamentava che in Inghilterra aveva sempre il gusto di un intruglio chimico. Beethoven, un maniaco della perfezione non solo nella musica, non si fidava di nessuno e se lo preparava da solo, contando pazientemente i suoi sessanta chicchi. «Produrre caffè è un mestiere che richiede un’energia enorme» spiega Andrea Illy, l’imprenditore che è a capo di un gruppo che fattura quasi mezzo miliardo di euro in 140 Paesi. Ogni secondo oltre 20mila chicchi vengono analizzati sulla base di 10 differenti criteri di qualità.
Questa ricerca della perfetta tazza di caffè è sempre andata di pari passo con le innovazioni della tecnologia. Nell’ultimo secolo il caffè ha visto 8 grandi rivoluzioni: espresso, istantaneo, decaffeinato, pressurizzato, sottovuoto, monoporzione, ready to drink, capsula. L’ultima appena iniziata è la digitalizzazione che permette, fra le altre cose, di servire un caffè personalizzato. Forte, dolce, ristretto, allungato, più corposo, con aroma al cioccolato o profumi floreali.
Oggi con la rivoluzione hi-tech è possibile creare un caffè senza difetti e secondo i gusti del consumatore. «Il nostro progetto, la qualità aumentata – spiega il presidente dell’azienda di famiglia nata nel 1933 – è il fiore all’occhiello della digitalizzazione, una tecnologia presentata all’Expo di Milano basata su chicchi e intelligenza artificiale. Una app sul telefonino consente di fare un caffè su misura, basato sui nove ingredienti del nostro blend, la miscela di alta qualità, composta da nove tipi di pura Arabica, frutto di mille aromi differenti».
L’app viene sperimentata da un gruppo di chef coinvolti nel progetto. Inseriscono il profilo di gusto desiderato e l’applicazione calcola automaticamente la ricetta. La macchina collegata alla app conta i chicchi, la grammatura, ecc. Il caffè personalizzato si può fare con la cialda o la moka.
La digitalizzazione del caffè non è altro che una delle tante applicazioni dell’industria 4.0. La tappa finale può essere considerata la app con l’interazione diretta uomo-caffè, ma la digitalizzazione è molto più tentacolare: va dalla coltivazione della terra (piantagione), alla tostatura, alle macchine da bar per arrivare all’uomo. «Siamo pionieri del caffè tracciabile dal 1991 – racconta Illy – da quando cioè ci approvvigioniamo all’origine in oltre venti Paesi tra Sud America, America Centrale, India e Africa. Produciamo e vendiamo un’unica miscela di alta qualità».
La tracciabilità della pianta serve ad analizzare dati sul riscaldamento globale, siccità, alluvioni e quindi a rilevare eventuali malattie e danni alle coltivazioni. Questo consente sia di fare una diagnosi sulla qualità e la salute del prodotto. Il controllo di questo processo serve a escludere la presenza di residui di fertilizzanti e pesticidi. Proprio per promuovere la cultura della qualità, partendo dalla coltivazione della terra, nel 1999 Illy fonda l’Università del caffè, con 28 sedi nel mondo, tra cui Trieste. «È stata organizzata – spiega Illy – in tre dipartimenti: per agricoltori, esercenti e consumatori. L’istituto conta oltre 20 mila partecipanti l’anno, che frequentano corsi di e-learning, master in economia e scienza del caffè. L’obiettivo è migliorare le pratiche agronomiche volte a ridurre le missioni di Co² e consumare meno acqua possibile».
I dati di tracciabilità della pianta e della tostatura (durata, temperatura, ecc.) fanno parte del grande progetto dei Big Data. «Assieme alle industrie del caffè vorremmo lavorare per integrare i dati di migliaia di stazioni meteorologiche». La meta finale è creare un unico database pubblico, un super oracolo in grado di prevedere l’evoluzione del clima nelle zone di produzione e, dunque, della resistenza della pianta, delle possibili malattie e della produzione. «E in futuro vogliamo integrare i nostri dati della tostatura con quelli di questo grande database pubblico per migliorare ancora la qualità del nostro prodotto».
Altre preziose informazioni arrivano poi dalle macchine da caffè per bar. «Come test – spiega – abbiamo digitalizzato 450 macchine che misurano e inviano a un computer i dati più rilevanti per ogni singola tazzina: pressione, temperatura dell’acqua ecc.». Questi dati servono ad avvertire il barista in caso di malfunzionamento o di esaurimento della fornitura di caffè. «Sembra semplice – conclude Illy -, ma è una delle cose più difficili al mondo». Non a caso qualcuno ha detto: il caffè è una Divina Commedia da leggere in 30 secondi.