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 2018  marzo 23 Venerdì calendario

Pechino studia contromisure senza escludere altre opzioni

Toccherà al ministro del Commercio appena riconfermato, il navigato Zhong Shan, rintuzzare prospettando misure adeguate la virulenta offensiva di Donald Trump. Da viceministro, appena quattro anni fa, tirò fuori dal cappello la minaccia di imporre dazi all’import di vino europeo per ammorbidire le posizioni di Bruxelles sui pannelli solari.
Si sa come andò a finire, la sola idea di vedersi sbarrata la strada del mercato cinese spinse francesi e spagnoli, soprattutto, ad allinearsi ai disciplinari cinesi previsti dal ministero del Commercio, e la questione pannelli dall’Europa si allargò strategicamente al globo intero.
Questa volta è diverso, specie per l’enfasi posta dagli americani sull’odiata prassi del trasferimento tecnologico obbligato, quasi un pegno da pagare per poter entrare in Cina con joint venture paritarie o presunte tali. E a Pechino non basterà far leva sull’inasprimento delle tariffe sui prodotti agroalimentari made in Usa.
Le lancette del tempo improvvisamente sembrano tornare indietro. Soltanto qualche mese fa, in occasione della visita di Trump a Pechino, molti negoziati specie nell’agroalimentare si erano sbloccati e i cinesi, oggi accusati di saccheggiare a man bassa diritti di proprietà intellettuale, si accordavano con gli Stati Uniti per trovare soluzioni comuni proprio sul tema dei prodotti alimentari e dell’IP.
L’ambasciatore cinese alla Wto Zhang Xiangchen ha preannunciato un ampio raggio di misure senza, ovviamente, specificare quali, ma aggiungendo che questa non è l’unica opzione. Anzi.
Il punto è che la Cina pensa di avere la coscienza a posto, dall’ingresso nella Wto in poi ha praticato un a politica di riduzione costante delle tariffe, soprattutto allo scopo di stimolare la domanda interna. L’ultimo taglio risale al 24 novembre scorso, ben 187 articoli sono stati rivisti, tra cui alimentari, abbigliamento, calzature, cosmetici e prodotti farmaceutici. La maggior parte di questi ultimi sono stati ridotti in media del 4%, cosmetica e profumeria del 5%, abbigliamento e accessori sono passati dal 25 al 10 per cento. Ben 480 prodotti erano stati ritoccati nel 2016, con un dimezzamento delle tariffe generalizzato su prodotti di largo consumo. Lo shopping all’estero per ridurre i costi di prodotti di lusso o comunque definiti aspirazionali aveva irritato non poco le autorità cinesi.
Insomma, per Pechino la svolta americana, peraltro annunciata, va in una direzione completamente opposta a quella prevista dalla pianificazione quinquennale cinese: sotterrando l’ascia di guerra, Donald Trump va a toccare doppiamente la strategia cinese, contromosse protezionistiche non erano assolutamente nell’agenda del segretario generale Xi Jinping che, peraltro, si pone come un campione della globalizzazione soprattutto attraverso la strategia della Nuova via della Seta che si snoda per terra e per mare.
C’è disappunto, e non è un caso, nelle parole del rappresentante cinese presso la Wto, specie quando Zhang Xiangchen ricorda che la firma di Donald Trump con la quale si avvia la procedura per inasprire i dazi sul versante Cina smentisce la promessa di Washington di risolvere i contrasti sotto l’ombrello dell’Organizzazione.