Il Messaggero, 23 marzo 2018
André Laug: Il parigino di Roma, mezzo secolo di stile
Ricordate la signora in giallo che avvertiva un certo languorino mentre l’autista Ambrogio le scodellava una piramide di Ferrero Rocher? Lei era Lee Skelton Borghese, lo spot imperversava negli anni 90 e il tailleur con cappello giallo era firmato André Laug. Ma gli abiti del parigino di Roma oltre che nel nostro immaginario sono appesi al Met di New York, con le sue linee rigorose, i ricami preziosi, i fiocchi che inventò negli anni 70 e che restarono il suo segno distintivo. Compie cinquant’anni a luglio la maison di alta moda italiana André Laug, romanissima, atelier al numero 12 di Rampa Mignanelli, finestre che guardano quelle di Valentino. Le sarte si salutano al mattino. Si preparano i festeggiamenti e la capsule del mezzo secolo, mentre si chiude la collezione estiva. Come sarà? Colorata: verde lime, rosa acceso, albicocca, molto chiffon, molto plissè. Alla domanda chi veste oggi André Laug, la risposta è «la donna che a un matrimonio non vuole rischiare di vedere il suo abito indossato da altre».
L’ESCLUSIVITÀ
«È successo a un ricevimento a Venezia con settecento persone: c’è chi si è ritrovata con lo stesso vestito di altre invitate. Noi avevamo quattro abiti a quella festa, tutti diversi». Sorride come se fosse ovvio Laura della Croce di Dojola, 78 anni, anima e testa della maison, perché questo è sempre stato un punto d’onore: l’esclusività di abiti e ricami rigorosamente fatti a mano in tessuti pregiati e su misura. E «se i vestiti da sposa sono romanzi a puntate, ora lavoriamo a quelli da cerimonia per alcune clienti americane che andranno alle nozze di Meghan», aggiunge la nuora Maddalena Loy della Croce che nell’azienda si occupa di comunicazione e social. È stata lei a riordinare migliaia di bozzetti realizzati da André Laug tra il 1963 e il 1984, a ritrovare tutte le foto delle collezioni e a digitalizzare l’archivio. Insieme al marito Vibaldo (che segue l’amministrazione) hanno chiamato la giovane stilista Allegra Bortone con il compito di rendere contemporaneo uno stile nato cinquant’anni fa. Le storiche premières hanno tramandato il mestiere alle sarte più giovani, è stata arruolata una designer francese che ha creato nuovi tessuti ispirandosi a gioielli anni 20 e 30. L’operazione pare riuscita: nel laboratorio aumentano i manichini personali delle clienti (che ogni 6 mesi vengono imbottiti o smagriti a seconda del peso) e alla porta bussano clienti sempre più giovani.
LE STAR
«Il mondo si è ribaltato – spiega Laura – dalla moda da giorno che era l’eccellenza di Laug, adesso le giovani cercano la sera. Di giorno non si vestono più, arrivano in jeans e calzettoni». Si vestivano invece le star internazionali per cui Laug era lo stilista di riferimento: Audrey Hepburn, Jackie Kennedy, Barbara Bush, Diana Ross, Ira Fürstenberg, Estèe Lauder. «Finché era la moglie di Mel Ferrer Audrey vestiva Givenchy, quando sposò Andrea Dotti e si trasferì a Roma scelse noi e Valentino. Abitava in via Sassoferrato ai Parioli, veniva in atelier, le abbiamo fatto il vestito rosso in crêpe per il matrimonio del figlio Sean».
Ma la storia parte da più lontano. Il giovane stilista francese André Laug che si era formato a Parigi da Courrèges e Nina Ricci, si trasferisce a Roma e nel 1968 con l’aiuto di Susy Gandini, produttrice di tessuti, apre il suo atelier a piazza di Spagna. La Camera della moda gli concede uno strapuntino nel calendario delle sfilate, lo mettono alle 8 di mattina immaginando il fallimento. E invece il marchio va, quelle linee essenziali e rigorose piacciono, il défilé segna l’inizio di un successo internazionale. Con i suoi abiti sfilano Linda Evangelista, Brooke Shields, Iman e una giovanissima Uma Thurman. A fotografare le sue creazioni sono Helmut Newton, David Bailey, Oliviero Toscani. Laura della Croce di Dojola è una giovane cliente e Lang le chiede di lavorare per la maison occupandosi delle sue amiche vip. La collaborazione continua quando lui muore nel 1984 e a prendere le redini è il compagno Olivier; alla scomparsa di quest’ultimo nel 2005 la proprietà passa a lei.
LE COLLEZIONI
Ma in tempi di crisi, sia pure post crisi, è pensabile spendere migliaia di euro per vestirsi? «Non è immorale questo – risponde Maddalena – quanto mettere in discussione il concetto di esclusività dell’alta moda, ingannando i clienti e facendo credere loro che possa diventare più accessibile. L’alta moda è talento, fatica, sacrificio. Odio quando le chiamano petits mains ha detto Pier Paolo Piccioli, che nell’ultima collezione ha dato il nome di una sarta ad ogni abito. Condivido». A visitare l’atelier sembra che il tempo si sia fermato, le sarte cuciono piume e paillettes, nelle scatole sono conservati i pizzi francesi, qui c’è una blusa con gli elefanti, lì un cappotto con le antilopi, su un manichino un boudoir coat con tre pantere di Swarovski. E poi quelle meravigliose camicie bianche di organza che ai tempi costavano la follia di due milioni di lire. «Perché le donne – diceva Laug – si notano sedute a tavola», così si concentrava su colli e polsi creando una moda «sofisticata e lussuosa».