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 2018  marzo 23 Venerdì calendario

Arrivano dai Balcani le armi per i jihadisti

L’anno scorso la Bosnia-Erzegovina ha registrato un aumento del 13,3% nelle esportazioni di armi e munizioni che hanno raggiunto un valore di quasi 100 milioni di euro. I dati, emersi dalla Camera per il commercio estero di Sarajevo, sono rilevanti per un piccolo paese la cui produzione militare è limitata per lo più ad armi leggere e munizioni mutuate dalle più conosciute armi ex-sovietiche, dai fucili kalashnikov ai lanciarazzi Rpg. 
Armi rustiche, affidabili ma non certo l’ultimo grido in fatto di hi-tech: Per questo non stupisce che tra i clienti dell’industria bellica di Sarajevo vi sia l’Afghanistan i cui militari hanno dimestichezza con armi di tipo russo, ma potrebbe sorprendere invece che i principali acquirenti siano Arabia Saudita, Stati Uniti, Turchia ed Emirati Arabi Uniti. Paesi che sono in grado di produrre e acquistare equipaggiamenti ben più sofisticati e moderni di produzione occidentale ma che si rivolgono ai fornitori bosniaci per armare non i propri eserciti ma le milizie siriane che si oppongono al governo di Damasco. 
INCASSI MILIONARI 
Un business non certo nuovo per la Bosnia, che cresce di anno in anno: nel 2016 gli incassi furono pari a 87 milioni di euro contro i 70 del 2015, mentre gli acquirenti principali restano gli stessi gli stessi: nel 2017 l’Arabia Saudita è stato il maggior importatore di armi e munizioni bosniache. I maggiori sponsor dei ribelli siriani e delle milizie sunnite yemenite sono quindi i più importanti acquirenti di armi bosniache. Se gli Usa sembrano aver rinunciato ad armare le milizie jihadiste siriane per puntare sui curdi, i paesi arabi e la Turchia continuano invece a sostenere gruppi legati ai movimenti islamisti. 
Fin dal 2012 la ex Jugoslavia ha garantito un continuo flusso di armi verso i ribelli siriani. Lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) stimava che il solo Qatar avesse speso almeno tre miliardi di dollari per acquistare e far pervenire ai miliziani 3.500 tonnellate di armi e munizioni attraverso i confini turco e giordano. I sauditi, d’intesa con la Cia, comprarono quell’anno oltre 50 milioni di dollari di armi leggere croate per lo più fucili d’assalto, lanciagranate e lanciarazzi trasportati in Giordania da decine di voli militari. 
L’ISIS NE APPROFITTA 
Un sostegno militare diretto ai cosiddetti «ribelli moderati», come sostenevano gli Usa e alcuni Paesi europei coinvolti nel programma di addestramento ed equipaggiamento dei ribelli. Quelle stesse armi croate vennero però fotografate nell’estate 2014 imbracciate dai miliziani dello Stato Islamico che proclamarono il Califfato dopo aver messo in fuga l’esercito di Baghdad. Poco dopo l’Isis in Iraq si impadronì anche di armi bosniache di che il governo di Sarajevo aveva regalato a Baghdad per riequipaggiare il suo esercito. 
Nel settembre 2017 è emerso che solo gli stanziamenti Usa per forniture belliche al costituendo esercito curdo-siriano di 30 mila uomini ammontano a 2,2 miliardi di dollari entro il 2022. Un’inchiesta del Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) e dell’Organized Crime and Corruption Reporting Project (OCCRP), organizzazioni di giornalisti investigativi, ha evidenziato come il Pentagono si affidi anche a fornitori da Kazakistan, Georgia e Ucraina, considerato che i Paesi balcanici e dell’Est Europa non riescono a soddisfare la crescente domanda di armi. Secondo il rapporto, le armi verrebbero trasportate in Turchia, Giordania e Kuwait con documenti che non indicherebbero la Siria come destinazione finale e da lì trasferite in territorio siriano.