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 2017  ottobre 01 Domenica calendario

In Italia

Il Presidente della Repubblica è Sergio Mattarella
Il Presidente del Senato è Pietro Grasso
Il Presidente della Camera è Laura Boldrini
Il Presidente del Consiglio è Paolo Gentiloni
Il Ministro dell’ Interno è Marco Minniti
Il Ministro degli Affari Esteri è Angelino Alfano
Il Ministro della Giustizia è Andrea Orlando
Il Ministro dell’ Economia e delle Finanze è Pier Carlo Padoan
Il Ministro di Istruzione, università e ricerca è Valeria Fedeli
Il Ministro del Lavoro e delle politiche sociali è Giuliano Poletti
Il Ministro della Difesa è Roberta Pinotti
Il Ministro dello Sviluppo economico è Carlo Calenda
Il Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali è Maurizio Martina
Il Ministro di Infrastrutture e trasporti è Graziano Delrio
Il Ministro della Salute è Beatrice Lorenzin
Il Ministro di Beni e attività culturali e turismo è Dario Franceschini
Il Ministro dell’ Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare è Gian Luca Galletti
Il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione è Marianna Madia (senza portafoglio)
Il Ministro dei Rapporti con il Parlamento è Anna Finocchiaro (senza portafoglio)
Il Ministro dello Sport è Luca Lotti (senza portafoglio)
Il Ministro della Coesione territoriale e Mezzogiorno è Claudio De Vincenti (senza portafoglio)
Il Governatore della Banca d’Italia è Ignazio Visco
Il Presidente di Fca è John Elkann
L’ Amministratore delegato di Fca è Sergio Marchionne

Nel mondo

Il Papa è Francesco I
Il Presidente degli Stati Uniti d’America è Donald Trump
Il Presidente del Federal Reserve System è Janet Yellen
Il Presidente della BCE è Mario Draghi
Il Presidente della Federazione russa è Vladimir Putin
Il Presidente del Governo della Federazione russa è Dmitrij Medvedev
Il Presidente della Repubblica Popolare Cinese è Xi Jinping
La Regina del Regno Unito è Elisabetta II
Il Premier del Regno Unito è Theresa May
La Cancelliera Federale di Germania è Angela Merkel
Il Presidente della Repubblica francese è Emmanuel Macron
Il Primo Ministro della Repubblica francese è Édouard Philippe
Il Re di Spagna è Felipe VI di Borbone
Il Presidente del Governo di Spagna è Mariano Rajoy Brey
Il Presidente dell’ Egitto è Abd al-Fattah al-Sisi
Il Primo Ministro di Israele è Benjamin Netanyahu
Il Presidente della Repubblica Turca è Recep Tayyip Erdogan
Il Presidente della Repubblica Indiana è Ram Nath Kovind
Il Primo Ministro della Repubblica Indiana è Damodardas Narendra Modi
La Guida Suprema dell’ Iran è Ali Khamenei
Il Presidente dell’ Iran è Hassan Rohani

La Catalogna vota per andarsene, la Spagna in subbuglio

La storia cammina su due gambe. La prima gamba è quella dei poveri che lottano contro i ricchi per ottenere condizioni di vita migliori, e qualche volta ci riescono, e qualche altra no, ma in ogni caso, alla fine, gli assetti precedenti ne escono modificati o deformati. La seconda gamba è quella delle periferie che lottano contro il centro, per liberarsi di legacci veri o presunti che impediscono ai periferici di svilupparsi o comunque di far di testa loro. Questa seconda gamba è quella dei nostri padri del Risorgimento, gente in genere benestante perché i poveri stavano piuttosto col re o con gli austriaci. Ed è anche quella dei catalani, che oggi dovrebbero votare sì o no alla loro indipendenza dalla Spagna, e i calcoli a tavolino dicono che non si sa quanto questa eventuale separazione sia davvero conveniente. Ma il cuore, a quanto pare, non sa far calcoli.  

Che dubbi ci sono? Voteranno e i sì all’indipendenza saranno una valanga.
Ci fu già una consultazione popolare nel 2014, e vinsero i sì, ma andarono a votare il 37% degli elettori. Sondaggi di adesso dicono che gli indipendentisti stanno al 52% contro il 48% degli unionisti. Percentuali da Brexit, non proprio plebiscitarie. Si sa poi che gli indipendentisti sono abbastanza feroci con chi non la pensa come loro e tacciano senz’altro gli avversari di traditori della patria. Gli unionisti preferiscono non correre rischi, e stanno in genere zitti. Nel parlamento di Barcellona si parla di regola catalano, e fanno sensazione gli interventi della giovane Inés Arrimadas, unionista convinta, che si ostina invece a parlare la lingua di Madrid, cioè il castigliano. Potrebbe capitare che al voto questa volta siano più del 37%, perché il governo centrale ha talmente tuonato e agito contro il voto da rendere forse agli indipendentisti un gran servizio. Ce ne stiamo occupando persino noi, a cui in definitiva il voto catalano non farà un baffo.  

Come potrebbe il governo di Madrid impedire questa consultazione?
Ma, di fatto, l’ha già impedita, anche se stasera dovessero esserci qualche migliaio di urne aperte e qualche milione di votanti. Un voto regolare prevede un collegio di scrutatori neutrale, o almeno bilanciato tra le varie forze politiche; identificazione dell’elettore, per appurare che abbia diritto di esprimersi e per impedire che voti più di una volta; garanzie generali per tutte le forze in campo, a cui deve essere consentito di sostenere le proprie idee senza impedimenti di sorta. Non so se ho dimenticato qualcosa, ma diciamo che la consultazione catalana, anche per la feroce avversione del governo di Madrid, non dà nessuna delle tre garanzie. Siccome il governo spagnolo ha sequestrato 14 milioni di schede, il governo catalano ha invitato i cittadini a stamparsele a casa. La propaganda degli indipendentisti, a forza di slogan come «Donde estan las papeletas?» (slogan intonati contro la polizia), è molto carina, ma ha poco a che fare col diritto costituzionale. Gli unionisti sono stati intimiditi. Il voto in Catalogna assomiglia alle vecchie assemblee del Sessantoto dove era considerato democratico non far parlare i fascisti e i borghesi, essendo considerato, se non fascista, almeno borghese e borghese marcio persino il povero Duccio Trombadori, che faceva il cronista per l’Unità ed era pieno di coraggio perché si faceva processare ogni giorno nell’aula magna di Lettere. Di quel clima fazioso, scontiamo le conseguenze ancora oggi. Quanto a lungo pagheranno il fio di questi eccessi spagnoli e catalani?  

A meno che poi, a un certo punto, la Catalogna non riesca a staccarsi davvero.
Già, e in questo caso avrà il problema di riallacciare un rapporto proficuo con la Spagna che non potrà non essere il suo partner principale nello scambio commerciale. Il libero scambio commerciale sembra una cosa da bottegai, ma alla fine è uno dei fondamenti della democrazia.  

Perché la Catalogna potrebbe pagar cara, in termini concreti, l’indipendenza?
È certo che sarebbe fuori dall’Europa, intanto perché qualunque nuovo stato deve seguire una trafila molto lunga per essere ammesso e poi perché la Spagna porrebbe un veto assoluto al suo ingresso nella Ue. Sul piano finanziario, dovrebbe credo rinunciare all’euro e, con il suo Pil da 200 miliardi (destinato a ridursi per via della sicura contrazione degli scambi con Madrid), dovrebbe far fronte a un buco di bilancio di 9 miliardi, che Madrid non potrebbe più aggravare, ma neppure ripianare. Barcellona ha un debito proprio di 57,6 miliardi e inoltre, se uscisse, dovrebbe portarsi dietro come minimo un quinto del debito spagnolo, cioè 200 miliardi su mille. Forse non basterebbe. Secondo il ragionamento fatto ieri da Sergio Romano sul Corriere della Sera, infatti: quanti dei benefici di cui gode oggi la Catalogna sono il frutto di uno sforzo collettivo di tutto il Paese? Chi rimborserà i baschi o i galiziani o gli stessi castigliani per questa perdita?  

Che succederebbe al campionato se la Catalogna si staccasse?
Quelli del Barcellona, fieramente indipendentisi (Piqué e Guardiola in testa), hanno sempre detto che in quel caso non giocherebbero più nel campionato spagnolo. A me pare impossibile: che mondo sarebbe senza un Barcellona-Real Madrid almeno due volte l’anno? (leggi)

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