la Repubblica, 1 ottobre 2017
L’amaca
È veramente impietoso riascoltare il discorso in Campidoglio di Virginia Raggi nel 2015, quando, dai banchi dell’opposizione, invitava con severità il governo cittadino (era sindaco Ignazio Marino) a tenere nel massimo conto i rilievi mossi al bilancio comunale dall’autorità di controllo (l’Oref). Rilievi quasi identici, mossi dalla stessa identica autorità tecnica, oggi vengono respinti dalla Raggi, diventata sindaca, come “intromissioni politiche”. Ciò che vale per “gli altri”, non vale per “noi”: tra tutti i vizi della politica questo è il più decrepito, dunque il più inaudito per un movimento che si propone, rispetto alla politica “di prima”, una profonda rottura di spirito e di prassi.
Raggi parla come capo di una fazione, identica per disinvoltura morale ai capifazione che l’hanno preceduta. C’è, a Roma e non solo, una lunga e penosa tradizione di politici che, quando all’opposizione, accollano al governo ogni sorta di colpa (le buche stradali, la criminalità impunita, i rifiuti malgestiti), e quando al governo si indignano perché, a parti rovesciate, l’opposizione muove loro le stesse identiche accuse. È proprio vero che è l’animo umano, ben prima delle idee politiche, a spiegare come va il mondo.