la Repubblica, 1 ottobre 2017
Risparmiare energia costa caro. In bolletta conto da 1,4 miliardi
ROMA Pagare di più per consumare meno energia. Dal 2004 gli italiani, più o meno consapevolmente, finanziano di tasca loro lo sforzo che tutto il sistema economico (trasporti, industria, illuminazione, riscaldamento) fa per diventare più efficiente, ma ora il meccanismo sembra essere fuori controllo: l’ultimo conto segna 1,382 miliardi di euro per l’anno 2016 (somma in via di riscossione sulle bollette del 2017), quasi il doppio dell’anno prima (726 milioni) e per il futuro la corsa rischia di farsi esponenziale.
E dire che sui “certificati bianchi” l’Italia finora era stata un vero esempio in Europa, uno dei pochi mercati del “megawatt” in grado di quantificare e prezzare l’energia non spesa. Come funziona? Un qualsiasi soggetto (azienda, produttore di energia, ente pubblico) che fa degli investimenti in grado di ridurre i consumi presenta il suo progetto al Gestore dei servizi energetici (Gse), che secondo criteri definiti da vari decreti ministeriali quantifica le “tonnellate di petrolio equivalenti evitate” (Tee): ogni tonnellata rappresenta un titolo vendibile ai dei compratori “obbligati”, i distributori di elettricità e gas, che ogni anno devono consegnare una certa quantità di titoli definiti dall’Autorità dell’energia, a testimonianza delle tonnellate risparmiate. Insomma, chi riduce i consumi guadagna due volte: pagando meno in bolletta e vendendo i certificati bianchi. I distributori a loro volta sono rimborsati per questo tipo di spese grazie ad apposite tariffe nelle bollette dei consumatori. I Tee sono scambiati alla borsa elettrica e questo ha tenuto sotto controllo i prezzi. Per anni tutto ha funzionato, milioni di progetti presentati al Gse alimentavano il mercato e gli obiettivi nazionali ed europei sono stati centrati. Poi alla fine del 2016 il giocattolo si è rotto: il costo di una tonnellata evitata è passato da 150 a 200 euro. Il primo sospetto è stato che si trattasse di pura speculazione, dettata dal fatto che da quest’anno ottenere certificati sarebbe diventato più difficile per il cambio dei criteri ministeriali. L’indagine dell’Autorità ha scoperto che la realtà era anche peggiore. Il trading pesa poco, stiamo andando verso un futuro in cui certificati saranno più scarsi e più costosi. In un mercato che riesce a “produrre” a fatica 6 milioni di Tee l’anno, gli obblighi dei distributori nel 2017-18 arrivano a 13 milioni. E infatti il 19 settembre è arrivato il record storico di 346 euro per ogni certificato. L’effetto in bolletta non sarà immediato, l’Autorità ha già fatto in modo che i rincari siano spalmati nel corso dei trimestri, ma la sostanza rimane: ad esempio nel 2013 l’efficienza energetica sulla sola tariffa elettrica costò 200 milioni, nel 2016 il conto è di 594, nel 2017 arriverà a 767.
Gli utenti, gli unici interessati a tenere i prezzi sotto controllo, non hanno potere d’intervento. I compratori di Tee, cioè i distributori, hanno la sicurezza di essere rimborsati, mentre i venditori, cioè chi fa progetti di efficienza energetica, nonostante l’aumento dei prezzi sembrano rivolgersi altrove. Come testimonia Roberto Olivieri, presidente di Assoesco (associazione di Confindustria che riunisce le società di ingegneria e consulenza che realizzano gli interventi di efficienza energetica): «Man mano che si passa dalle grandi industrie alle Pmi o all’edilizia il costo dei progetti è più alto, senza contare che il Gse riconosce risparmi solo in caso di vera innovazione, con il paradosso che molte imprese preferiscono altri tipi d’incentivi come quelli di industria 4.0».
Quindi meno efficienza, ma a un prezzo più alto. Così i certificati bianchi diventano l’ennesimo balzello privo di efficacia.