La Lettura, 1 ottobre 2017
Sei ricco? Lo dice la tua faccia
Sei ricco? O forse povero? Lo dice la tua faccia per quanto «inespressiva». Davvero? Sembra di sì perché la disposizione dei muscoli della faccia – 43 in tutto concentrati in uno spazio piuttosto piccolo – riflette la tua storia: soddisfazioni, gioie, dolori, ansie, preoccupazioni, è tutto lì stampato sul tuo viso e non si cancella. È un po’ come se giorno dopo giorno il tipo di vita che fai – o che sei costretto a fare – scolpisse, per così dire, il tuo volto (e i suoi muscoli soprattutto) fin dall’adolescenza o dai primi anni della vita adulta per creare poi col tempo uno «stereotipo facciale», il tuo, diverso da qualunque altro.
Un po’ queste cose si sapevano ma c’è qualcosa di nuovo: ricercatori dell’Università di Toronto in uno studio pubblicato sul «Journal of Personality and Social Psychology» sostengono che «a prima vista» non solo ti fai un’idea generale di chi ti sta di fronte, ma puoi persino giudicare il censo. Cosa mai avranno escogitato quegli autori per arrivare a queste conclusioni? Vediamo: premesso che il reddito medio di un gruppo familiare in Canada e specialmente dalle parti di Toronto è intorno a 75 mila dollari, i ricercatori hanno diviso i loro studenti – fra i 18 e i 22 anni – in due gruppi: da una parte quelli con un reddito familiare inferiore a 60 mila dollari, dall’altra chi superava i 100 mila. Poi hanno chiesto a ciascuno di quelli che prendevano parte a questo singolare esperimento di posare per una foto, a una condizione però, che il loro viso non tradisse alcuna emozione, se uno non ci riusciva era fuori; volevano facce inespressive, insomma. Fatto questo, chiedevano ad altra gente che non aveva mai visto quegli studenti prima di allora di esprimere un giudizio su chi di loro aveva presumibilmente alle spalle una famiglia benestante e chi no, facendosi guidare da nient’altro che dalla loro prima impressione.
Sembra incredibile, ma le persone chiamate a giudicare non si sbagliavano quasi mai, come se quegli studenti a soli vent’anni avessero accumulato abbastanza esperienza di vita che bastava una foto, senza espressione per di più, a tradire il loro stato patrimoniale. Possibile che nel nostro cervello ci sia un sistema tanto sofisticato da consentire una performance del genere? È proprio così: in una regione del cervello che i medici chiamano corteccia temporale ci sono neuroni specializzati a riconoscere le caratteristiche del volto di chi incontriamo, si tratta di cellule nervose che in pratica servono quasi solo a quello e la cosa sorprendente, almeno per me, è che fra quel gruppo di neuroni ciascuno ha un suo compito preciso, ce ne sono di specializzati a giudicare l’aspetto di un volto, altri che contemporaneamente memorizzano la forma, altri ancora che integrano questi due tipi di informazioni in un quadro d’insieme che contribuisce a formare il nostro giudizio. E succede tutto in tempi rapidissimi – basta mezzo secondo – e per di più senza che ce ne rendiamo conto o che ci siano elementi obiettivi; provate a chiedere a qualcuno su che base formula i suoi giudizi su chi incontra per la prima volta, nessuno vi saprà rispondere. Eppure queste impressioni che quasi mai vengono modificate nel tempo saranno determinanti nei tuoi rapporti con gli altri e potrebbero anche condizionare la tua vita, quella lavorativa per dirne una, ma anche quella affettiva.
Qualche esempio? Gli africani hanno più difficoltà a trovare lavoro degli altri, vengono visti con diffidenza quando non addirittura considerati criminali, e se uno a un primo sguardo ti sembra gay capita che riceva giudizi poco lusinghieri che qualche volta sono senza appello. E così i ricercatori di Toronto finiscono per sostenere che le prime impressioni che la gente riceve dal tuo volto potrebbero influenzare persino l’organizzazione della società; un po’ eccessivo forse, ma «se a giudicarti male è un potenziale datore di lavoro – scrivono – avrai meno probabilità di impiego e da quel momento i vostri rapporti saranno viziati da quella prima impressione».
E ancora se qualcuno a prima vista non ti va a genio, tenderai a evitarlo e se non ti piace proprio vedrai di emarginarlo; di questo passo si potrebbe anche creare un circolo vizioso di ineguaglianze che portano qualcuno a essere più svantaggiato di altri a parità di educazione, impegno e abilità.
Sarà proprio così? Non lo so, non lo sa nessuno, servono molta più ricerca e studi che tengano conto anche di come uno si veste per esempio o di come parla, ma sul contributo relativo di ciascuna di queste variabili al nostro giudizio finale non abbiamo ancora le idee chiare. E nemmeno sappiamo entro quali limiti l’idea che ci facciamo su qualcuno dopo averlo guardato in faccia potrà cambiare a seconda che si vesta in un modo piuttosto che in un altro. E poi quali altre regioni del cervello sarebbero coinvolte nell’integrare tutte queste informazioni e trasformarle eventualmente in un giudizio più fondato?
Come sempre la ricerca riserva sorprese, scopri qualcosa a cui nessuno aveva pensato, ti pare di essere vicino al traguardo e di colpo ti si aprono orizzonti altrettanto inesplorati e forse ancora più interessanti.