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 2017  ottobre 01 Domenica calendario

«Gli chef stellati stanno rovinando la cucina». Intervista a Fausto Arrighi

È un uomo discretamente elegante Fausto Arrighi, 66 anni, per una vita alla guida della Guida Michelin. Il re delle stelle corrisponde all’apparenza del critico ispettore di ristoranti: «Nelle visite quotidiane rivela sottovoce bisogna sembrare commessi viaggiatori. Quando si assegnano le stelle, invece, meglio essere in due altrimenti il titolare si insospettisce». 
Per quarant’anni ha provato i ristoranti del Belpaese e ora che è in pensione
«Lavoro a un programma televisivo che forse andrà su Sky e a consulenze per hotel e ristoranti italiani ed esteri. Ho anche organizzato con Diana Frescobaldi una gara itinerante tra cuochi stellati per creare dei nuovi piatti con l’olio Laudemio: un’etichetta che racchiude i migliori olii toscani. Una specie di viaggio in Italia dal Magorabin di Torino, al Vun e al Sushi B di Milano, dall’Antinoo’s del Centurion Palace di Venezia, al Sapori dal mondo dell’Hotel A Roma di Roma, al Comandante di Napoli». 
Che direzione sta prendendo la cucina italiana? 
«C’è stato un cambiamento generazionale e i grandi vecchi hanno tirato i remi in barca. I giovani arrivati in fretta a uno standard elevato così sono confusi perché senza riferimenti. La cucina che viene proposta nella maggior parte dei ristoranti non ha più maestri da seguire, dunque è difficile capire dove vada il mercato italiano. Che la tradizione venga rivisitata, come si dice spesso, è solo un’idea astratta. Noto, per esempio, che i giovani guardano molto all’aspetto decorativo e poco al sapore. La cucina che fanno non ha futuro perché non ha passato. I nostri cuochi non dovrebbero perdere d’occhio le materie prime italiane e la loro diversità territoriale, invece seguono le mode spagnole, danesi o sudamericane cercando spesso prodotti esteri poco saporiti». 
Adesso che ha lasciato la guida confessi: qual è il suo ristorante preferito? 
«Quello dove si sta bene e che lascia un ricordo una volta usciti. Da giovane dopo aver provato un locale aspettavo a dare i voti, arrivavo in albergo e mi addormentavo sul letto tra appunti e dépliants. Quello che restava al mattino era il mio giudizio. Se ora ne devo scegliere uno è Dal Pescatore vicino Mantova: si dice sempre che i grandi cuochi siano uomini, ma per me Nadia Santini è la migliore d’Italia. In generale mi piacciono tutti gli stellati di vecchia generazione: Da Vittorio vicino Bergamo della famiglia Cerea, l’Enoteca Pinchiorri a Firenze, La Pergola di Heinz Beck all’Hilton di Roma, Don Alfonso sulla Costiera Amalfitana, la Torre del Saracino vicino Napoli di Gennaro Esposito, il Duomo di Ragusa di Ciccio Sultano e La Madia a Licata di Pino Cuttaia». 
Non ha nominato l’Osteria francescana di Modena di Massimo Bottura
«Lui è un creativo, un comunicatore e un rappresentante della cucina moderna che però non dimentica il territorio. È una mediazione tra i grandi vecchi e i giovani d’oggi. Il problema è che la sua lasagna scomposta poi te la fa anche il ristorante sotto casa». 
E il Reale vicino L’Aquila di Niko Romito? 
«Un luogo e una persona molto estrema nel suo modo di fare, che cerca una cucina essenziale partendo da prodotti come la verza. La sua arte va sempre spiegata se no puoi rimanerne deluso. Lui come Bottura, e come Crippa del Piazza Duomo di Alba, è al vertice della cucina italiana e deve sempre stupire. Questi cuochi per restare sulla cresta dell’onda creano continuamente nuovi piatti interessanti e spendibili per il mercato internazionale. Così i loro ristoranti vengono prenotati anche dall’estero. Il problema è che spesso sono troppo rivolti a questa innovazione fine a se stessa e danno un esempio ai più giovani che non tutti sono in grado di raggiungere e così la ristorazione media ne risente». 
E il famoso Carlo Cracco? 
«Lui fa parte del gruppo dei Bottura e dei Crippa, anche se bisogna capire che segnale vuole dare col nuovo ristorante in Galleria a Milano. Certamente è stato uno dei primi a innovare e a comunicarlo mediaticamente». 
Ma i cuochi non devono stare in cucina, come diceva Marchesi? 
«Marchesi è il grande vecchio della cucina italiana e può dire quello che vuole, ma i tempi sono cambiati». 
L’accusa per lui è di aver rovinato la cucina italiana aprendo alla nouvelle cuisine francese. 
«Marchesi ha interpretato lo spirito del tempo, per questo è stato il primo tre stelle Michelin italiano e ha cresciuto una generazione di campioni. I suoi piatti, allora rivoluzionari, oggi farebbero ridere. Bisogna ricordare per esempio che all’epoca il pesce si mangiava solo al mare, adesso anche a
3mila metri! Marchesi è stato anche il primo a unire sapori diversi, a curare di più il servizio e a impiattare in cucina mentre prima lo si faceva al tavolo». 
In molti ristoranti stellati si ha un’esperienza più di arte contemporanea che di una cena vera e propria. 
«È quello cui mi riferisco quando parlo dell’ultima generazione che ha perso di vista la sostanza». 
E questa specie di avanguardia fine a se stessa da dove viene? 
«Dalla sua facilità di attuazione. Le cucine grazie alle nuove tecnologie e tecniche sono diventate come sale operatorie. Sono metodi che vengono dal Nord Europa, dove hanno meno prodotti e sviluppano queste capacità, che non aiutano i nostri cuochi a diventare bravi». 
Le trattorie autentiche però nella Michelin non le avete mai valorizzate, dunque la massa dei ristoranti si è spinta oltre. 
«Il 70 % delle segnalazioni della guida sono trattorie». 
Ma sono quelle evolute, il cui passaggio ulteriore sono quei ristoranti che lei critica. 
«Le cose cambiano con il tempo. Anche nelle trattorie c’è stata un’involuzione o un’evoluzione in alcuni casi. Poi sono arrivati i siciliani, i sardi, gli etnici, la scena dei ristoranti è varia, complessa e indipendente dall’influenza di una guida». 
Perché la Michelin è la più prestigiosa? 
«Per la sua storia e per le sue regole. Nasce nel 1900, si sviluppa nei Paesi degli stabilimenti di pneumatici e non accetta pubblicità, ora il cartaceo diminuisce e la guida va sul telefonino, ma nessuno ha un’azienda dietro per realizzare un prodotto simile. Gli ispettori, il cui numero e identità è segreto, sono tutti dipendenti e a rotazione girano ristoranti e alberghi, spesso sottoposti a ulteriori verifiche. Pagano sempre il conto e solo dopo possono presentarsi al titolare per eventuali chiarimenti sui piatti o sulla struttura. Il segreto della Michelin è la sua indipendenza».