DLui, 1 ottobre 2017
Il mondo secondo Jeff Bezos
È uno dei tre uomini più ricchi del mondo. Anzi, durante l’estate appena trascorsa ha compiuto persino un fugace passaggio in vetta. Condivide il podio con l’investitore Warren Buffett il fondatore di Microsoft Bill Gates. Ma a differenza dei due colleglli Paperoni. Jeff Bezos – creatore di Amazon, oltre 160 mila dipendenti e 130 miliardi di dollari di fatturato. 23 anni fa non sapeva nemmeno se avrebbe mai avuto abbastanza soldi per sfuggire al mal di schiena: Ricordo bene quando guidavo per portare io stesso i pacchi da spedire all’ufficio postale», ci ha detto, sperando che un giorno mi sarei potuto permettere un carrello elevatore per caricarli».
Si definisce la persona più fortunata del mondo, Bezos. Non per il denaro, ma per le scelte e le passioni. Nessun rimpianto. Una volta, in un discorso all’università, affermò: «A 80 anni, vi guarderete indietro e la cosa più importante saranno le scelte che avrete fatto». L’anno scorso, interrogato sulle sue, ha risposto: «L’80 per cento della tua felicità dipende da chi scegli come compagna o compagno. Sono stato fortunato. Sono sposato da 23 anni con Mac Kenzie. È stata la mia miglior scelta... finora. Non ho rimpianti. Di solito si rimpiange quel che non hai fatto, un amore non dichiarato. Se segui le tue passioni non avrai rimpianti. Scegli con chi vuoi passare il tuo tempo, individua le tue battaglie: voglio combattere da questa parte o inventare dall’altra? Sono scelte personali. Ognuno deve trovare la propria». Basta questo per capire che sarebbe un errore rinchiudere la storia di quest’uomo di 53 anni, che si è inventato il negozio globale che vende ogni cosa, nel cliché del multimiliardario. Chi lo conosce bene afferma piuttosto che i soldi – un patrimonio personale di oltre 80 miliardi di dollari – per lui siano stati una sorta di prerequisito. Uno strumento per permettergli di inseguire quel che gli stava davvero a cuore. F poi perché lui stesso rifiuterebbe uno schema predefinito: ironia per chi ha avuto successo vendendo libri, Bezos è noto per diffidare delle narrazioni, perché in genere semplificano la realtà. Semmai, se fosse una forma geometrica, il fondatore di Amazon sarebbe un ipercubo. Uno di quei solidi a mille facce: spartano e spietato pioniere temuto dai dipendenti – le condizioni di lavoro in Amazon sono spesso oggetto di critiche per la loro durezza – ma al tempo stesso curioso cultore dell’errore e del fallimento come passo fondamentale per la crescita. Uno capace di riconoscere che «è più facile dire cose intelligenti che gentili».
Un uomo in grado di tenere insieme molte contraddizioni apparenti. Da piccolo venne dimenticato e, a sua volta, non avrebbe mai più cercato il padre naturale, venditore e riparatore di biciclette in Arizona, che solo qualche anno fa seppe che quel figlio avuto a 18 anni era diventato uno degli uomini più importanti del pianeta. Oggi, in modo assai discreto, è sempre vicino alla sua famiglia, ai quattro figli e alla moglie scrittrice. Ancora: appassionato di imprese impossibili. ma scettico delle scorciatoie per giungere a meta; testardo e granitico nella visione di lungo periodo, ma sempre pronto a cambiare strada per arrivarci; concentrato f ino alla paranoia sulla soddisfazione dei clienti e sul bisogno di Amazon di essere amata. Fino a stilare liste di ciò che rende un’azienda cool agli occhi dei consumatori. «La maleducazione non è cool, sconfiggere i piccoli non è cool. affidare potere agli altri è cool, gli esploratori sono cool, i conquistatori non sono cool». si legge nella minuta riportata dal suo biografò, Brad Stolte. Anche la sua mitica risata, una specie di tuono gutturale e roboante, improvviso e spesso fuori luogo, ha diversi effetti: diverte, spiazza, intimidisce gli interlocutori.
Che il giovane Jeff non fosse proprio come gli altri ragazzi fu presto chiaro alla madreJacklyn e al padre adottivo Miguel Bezos, un immigrato cubano. Nel suo tema da studente modello, intitolato Spazio ultima frontiera, raccontava di quando sarebbero state fondate colonie umane su stazioni orbitanti, trasformando così la terra in una riserva naturale, come del resto ha cercato di fare di recente nel nuovo campus della società, a Seattle. Quando gli ricordai di quella previsione di scolaro, la risposta, preceduta dalla celebre risata, fu: «Sì, a questo sto ancora lavorando».
Nel frattempo la passione per la saga di Star Trek- anche l’aspetto fisico ricorda quello di uno dei protagonisti, il comandante della nave spaziale Enterprise Jean-Luc Picard – lo ha portato un paio di anni fa a recitare un carneo in Beyornl, uno dei film della saga, in cui impersona un alieno. «Avevo mendicato la parte», ha commentato divertito. F poi: «Il mio sogno è che la prossima generazione possa vivere lo stesso spirito di espansione imprenditoriale nello spazio che abbiamo visto all’opera negli ultimi vent’anni su internet».
Di questa espansione Amazon è uno degli esempi più clamorosi. Partita dai libri, che all’inizio venivano impacchettati usando le porte degli uffici come tavoli improvvisati, oggi non solo è il più importante negozio digitale al mondo insieme con il cinese AliBaba, ma primeggia anche in altri settori come i servizi tecnologici alle imprese, l lntelligenza Artificiale – a breve aprirà un centro sperimentale a Torino – e si è di recente allargata al commercio fisico. Prima con l’apertura di alcune librerie, poi con l’acquisto quest’estate di Whole Foods, la più importante catena americana di supermercati di prodotti biologici, per la cifra di 13.7 miliardi di dollari in contanti.
Ogni impresa, quando diventa così rilevante, produce anche una propria cultura. F di sicuro Amazon non sfugge a questa regola. Una delle sue caratteristiche è la filosofia del day one, il giorno uno, del guardare al lungo periodo più che ai guadagni immediati, sempre con un’ottica da innovatori. Perché le aziende del giorno due, nel pensiero del fondatore, sono quelle che cessano di evolvere per avviarsi al declino. Un’adesione al cambiamento anche quando non lo si controlla a pieno, un invito a rimettere sempre tutto in discussione e una sollecitazione ai manager a dissentire, per creare il conflitto, lo scontro di idee che porta alla crescita.
Fra le molte leggende, c’è anche quella che Bezos legga personalmente tutte le e-mail che arrivano all’indirizzo jeff@amazon.com. Quando un utente pone un problema che gli pare rilevante, il responsabile di quell’area si vede inoltrare il reclamo del cliente in questione, con l’aggiunta di un punto di domanda in testa. Perii malcapitato è meglio trovare in fretta una spiegazione plausibile.
Una delle fissazioni più curiose dell’imprendiiore è la sua avversione al PowerPoint, il programma usato per presentare i nuovi progetti. Al suo posto, preferisce documenti di massimo sci pagine, scritti come se fossero il comunicato stampa che annuncia il lancio del prodotto di cui si discute. Quando gii chiesi perché, spiegò: «Devi scrivere frasi complete, con verbi e nomi, argomenti, paragrafi. 11 problema delle presentazioni è che sono facili per l’autore, perché basta mettere in fila una lista di punti, ma difficili per chi ascolta. Quando devi scrivere un documento di sei pagine, sei costretto a capire il tuo pensiero. Se scrivo, io stesso mi accorgo di aver capito meglio che cosa volevo dire. 1.e nostre riunioni durano un’ora, un’ora e mezza. I primi 30 minuti li trascorriamo in silenzio, leggendo e prendendo appunti. Nella seconda mezz’ora si discute. Leggere in silenzio migliora la qualità della conversazione». E lo stesso metodo che seguiva un suo insegnante, ai tempi della scuola.
Oltre alla scrittura, Bezos Ita anche una passione per l’editoria, che si è concretizzata quattro anni fa con l’acquisto del Washington Post. Il quotidia no è tornato al profitto e all’autorevolezza anche grazie alle inchieste sul presidente Donald Trump, che non smette di indicare pubblicamente in Bezos – infinitamente più ricco e così diverso da lui – la sua bestia nera.
Sulla sua ricetta per il giornalismo, l’editore si è soffermato anche qualche mese fa a Torino, in occasione di un evento per i 150 anni della Stampa. Al Washington Post, ha detto, «stiamo provando la transizione da una testata che traeva molti ricavi da un numero risu etto di lettori, a una che realizza meno ricavi per utente, ma con una platea assai più vasta».
La carta non morirà ma, secondo Bezos, finirà per somigliare sempre più a un piacere per pochi, «come la distinzione che dà possedere un cavallo» ai tempi delle quattro ruote, per cavalcare nel fine settimana. Pensando che per un innovatore fosse una risposta facile, l’anno scorso gli domandammo che cosa fosse per lui il futuro. Seguì un silenzio di 28 secondi: «A una conferenza ho parlato con una ventina di adolescenti per un’ora e mezzo», osservò alla fine. «Erano così svegli, coinvolti, appassionati. Se penso al futuro, mi sento ottimista. L’energia, l’entusiasmo. Li sento anche (ini, in Italia. So che ci sono un sacco di problemi. Ma quelli ci sono sempre stali, e comunque abbiamo messo un piede dietro l’altro, siamo andati avanti». Avanti, nel Bezos-pensiero, è sinonimo di meglio. «Il mondo è un posto assai migliore oggi di quanto non fosse tino, due o tre secoli fa. E sarà migliore fra 50 anni, per i nostri figli. I problemi non sono piccoli. Ma la nostra capacità di escogitare soluzioni è di gran lunga maggiore». Parola di uno che – nell’ultimo quarto di secolo – qualcuna ne ha trovata.