Avvenire, 1 ottobre 2017
Mps torna in Borsa. Ok il prezzo è giusto?
Il prezzo è giusto? È la grande incognita dell’imminente ritorno in borsa del Monte dei Paschi di Siena, la più antica banca del mondo che da luglio scorso è di proprietà dello stato italiano, nella fattispecie del Ministero dell’economia e delle finanze, con una quota di circa il 53%. Sarà infatti il valore al quale il titolo dell’istituto di Rocca Salimbeni verrà ricollocato sul listino a determinare se e quanto la mano pubblica, col beneplacito della Commissione europea e della Banca Centrale Europea, ha fatto davvero un affare oppure se è imminente una perdita secca.
Mps è stato salvato all’inizio dello scorso agosto attraverso un aumento di capitale sottoscritto dallo stato italiano e la dismissione di 28,6 miliardi di ’sofferenze’, cioè i crediti di difficile esigibilità, ad un valore pari al 21%.
Nel dettaglio l’aumento di capitale è stato di 8,3 miliardi di euro, con azioni per 3,9 miliardi sottoscritte dal Mef a 6,49 euro l’una e gli altri 4,473 miliardi dovuti alla conversione dei subordinati in azioni a 8,65 euro l’una.
La banca guidata da Marco Morelli sta definendo proprio in queste ore con Consob i dettagli del Documento di Registrazione per tornare su quel listino dal quale è assente dallo scorso 23 novembre. Ma c’è già chi ha fatto i conti sull’incognita prezzo prevedendo una capitalizzazione pari ad un valore di 4,3 euro ad azione, quindi ben inferiore al valore sottoscritto nell’ultima ricapitalizzazione, il che comporterebbe una perdita pesante per lo stato ’cavaliere bianco’. L’anticipazione, che se risultasse vera alla prova della borsa sarebbe drammatica, è arrivata dal mercato dei derivati e in particolare dall’ultima asta dei cosiddetti ’credit default swap’ (sono contratti che offrono una sorta di assicurazione, ndr)sulle obbligazioni subordinate di Mps, che tenutasi pochi giorni fa ha determinato in 49,5 centesimi il tasso di recupero. Ciò implica per la banca senese una capitalizzazione pari a 4,9 miliardi, appunto un prezzo di 4,30 euro per ogni azione, con perdite ancora più rilevanti per gli obbligazionisti subordinati.
Non a caso gli analisti finanziari già stimano un prezzo-obiettivo appunto di 4,3 euro prevedendo nel 2019 un utile di 410 milioni di euro rispetto al target di 570 milioni che s’è dato Morelli e anche se la banca senese ha per gran parte completato la normalizzazione della raccolta (+9 miliardi di euro di raccolta da inizio 2017 contro i +11 miliardi di obiettivo del piano e i -18 miliardi di euro di deflussi nel 2016), gli esperti non vedono grandi spazi di progresso per il margine d’interesse. E quanto al coefficiente patrimoniale, il Cet1 è al 14,7%, ma il significativo impatto negativo derivante dal principio contabile internazionale IFRS9 (-1 miliardi di euro), legato alle previste cessioni di altri crediti non performanti (per 6,5 miliardi di euro al 2021), comporta una riduzione del parametro al 12% circa.
Come dire che la cura da cavallo imposta da Morelli (5.500 esuberi e 600 filiali da chiudere) forse non basterà e che più prima che poi Mps avrà bisogno di unirsi ad una banca più forte. Con buona pace dello stato padrone.