la Repubblica, 1 ottobre 2017
Rivoluzione in tv, film italiani d’obbligo in prima serata
ROMA Almeno un film italiano a settimana in prima serata su ogni canale tv, due nel caso delle reti Rai: dalle opere di Matteo Garrone a quelle di Paolo Sorrentino, dalle pellicole di Paolo Virzì a quelle di Silvio Soldini, dal 2019 i palinsesti delle nostre tv, nella fascia oraria 18-23, non potranno fare a meno dei registi italiani. Pena sanzioni milionarie. È questo uno degli strumenti mutuati (seppur in forma ridotta) dal modello francese che, secondo il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, dovrebbero rilanciare il cinema nostrano.
I dettagli e le quote di programmazione (insieme a quelle di investimento in «opere cinematografiche di espressione originale italiana») a cui dovranno sottostare i broadcaster sono contenute nella bozza di decreto che domani, dopo un’estate di trattative con gli operatori del settore, approderà finalmente in consiglio dei ministri. E questo nonostante la ferma opposizione di Rai, Mediaset, Sky, Discovery, La7, Viacom, Fox, Disney e De Agostini (preoccupate di una “migrazione” di spettatori verso piattaforme “on demand”) che ha già fatto slittare due volte il via libera. Due giorni fa un nuovo strappo: dopo la lettera di metà settembre, le emittenti tv ne hanno firmata una seconda, sempre indirizzata al Mibact, ancora con l’obiettivo di fermare la riforma dell’articolo 44 del Tusmar, il Testo unico della radiotelevisione: «Il provvedimento, estremamente rilevante per gli effetti che avrà all’interno del comparto audiovisivo sotto il profilo editoriale, economico e occupazionale – scrivono i broadcaster – risulta costituire di fatto una nuova imposizione insostenibile a danno dei maggiori operatori televisivi nazionali». Da parte sua, il ministro ritiene invece che «la nuova legge e gli obblighi di investimento e programmazione per la Rai e le tv private servano ad aiutare e tutelare il cinema, la fiction e la creatività italiane. So bene – aggiunge Franceschini a Repubblica – che riforme e cambiamenti se sono veri scatenano sempre resistenze e proteste. Per questo non mi stupisco e non mi fermo». E così, domani, il consiglio dei ministri approverà una norma che, per la prima volta, ha messo dallo stesso lato della barricata tutte le emittenti tv che parlano di testo «peggiorativo rispetto alla versione iniziale» nonostante un sostanzioso ritocco al ribasso rispetto alla bozza di due settimane fa. Nella nuova formulazione gli obblighi non scatteranno più nel 2018 ma dal 2019 e le quote sono state ridotte arrivando a comprendere i programmi di intrattenimento prodotti in Italia: da X Factor a Masterchef Italia, anche queste trasmissioni contribuiranno a raggiungere (dall’attuale 50%) la quota del 55% di programmazione giornaliera di opere europee nel 2019 e del 60% nel 2020 (con la metà riservata a quelle «di espressione originale italiana»).
Obbligo specifico per il prime time: le tv private dovranno riservare il 6% della programmazione settimanale in quella fascia a film, serie tv, documentari italiani, la Rai il doppio, il 12% (di cui almeno un film). Pena, appunto, sanzioni che dovrebbero dare il via a una corsa all’acquisto (e alla produzione) di film italiani. A preoccupare i broadcaster, però, sono soprattutto gli investimenti obbligatori in cinema italiano ed europeo che passano dall’attuale 10% del fatturato annuale al 15% nel 2020 (non più il 20, come nella prima versione) e per la Rai dall’attuale 15% al 20% (non più il 30%) sempre entro il 2020. Percentuali che i broadcaster giudicano ingestibili e fuori mercato tanto da definire il decreto come «anacronistico e dirigistico».