
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Stupore generale perché Giulio Tremonti, parlando a un convegno organizzato a Milano in cui si discuteva di lavoratori che partecipano all’azionariato delle imprese, s’è messo a fare l’elogio del posto fisso, come fosse un qualunque esponente della sinistra oppure un sindacalista o perfino un precario. Angeletti, il capo della Uil, alla fine ha commentato: «Sembrava uno dei nostri iscritti». Epifani, sarcastico: «Discorsi che farei commentare a Confindustria». Bonanni, capo della Cisl: «Le parole di Tremonti sull’esigenza di avere posti di lavoro stabili sono sicuramente condivisibili. un obiettivo che inseguiamo anche noi. Oggi il problema è quello di superare l’idea distorta di flessibilità. Chi è precario o flessibile deve essere pagato di più e avere più tutele e garanzie degli altri. Questo è un punto su cui la Cisl insiste da tempo».
• Dov’è il problema? chiaro che il posto fisso è meglio del posto stabile.
Allora cominciamo dalla critica del posto fisso così come lo conosciamo, vale a dire nella versione italiana. La resistenza degli imprenditori ad assumere è figlia della rigidità dell’assunto, che da noi non può essere mandato via neanche se viene sorpreso a rubare. Non si ricorda i lavoratori di Fiumicino filmati mentre saccheggiavano le valigie dei passeggeri e, dopo lunghi andirivieni giudiziari, riammessi in azienda? La contropartita di questa sicurezza è la tendenza a tenere gli stipendi bassi e infatti i nostri sono i più bassi d’Europa (ad onta di un costo del lavoro non indifferente). La conseguenza degli stipendi bassi è che il lavoratore si rifà sull’orario o sulla fatica: se il soldo è fisso, si «guadagna», per dir così, imboscandosi il più possibile. E cercando secondi lavori, magari flessibili o neri. Ho schematizzato, ho generalizzato, chiedo scusa, ma mi serviva per rendere l’idea.
• Okay, Tremonti invece dice che il posto fisso, secondo il suo ragionamento motore primo di questo mezzo sfacelo, è una bella cosa.
Faccio il malizioso e dico prima di tutto che il ministro, già apprezzato dalla sinistra per il suo libro sulle malefatte delle banche, della globalizzazione e dei cinesi, sta strizzando l’occhio all’opposizione in un momento in cui – non si sa mai quello che può succedere potrebbe diventare l’uomo della Provvidenza. C’è poi un ragionamento da economista con responsabilità politica: il posto fisso e una diffusione più generalizzata del benessere sono la premessa per una ripresa della domanda, per una ripresa generalizzata, voglio dire. Sto interpretando, perché il discorso non è ancora disponibile per intero sulle agenzie o in internet e dunque mi devo accontentare per ora delle sintesi diffuse ieri sera.
• Le quali dicono?
Più o meno: il posto fisso è «la base della stabilità sociale», «non credo che la mobilità sia di per sé un valore. Per una struttura sociale come la nostra, il posto fisso è la base su cui costruire una famiglia. La stabilità del lavoro è alla base della stabilità sociale». La globalizzazione «non ha trasformato il quantum di lavoro, ma la qualità di lavoro, passato da fisso a mobile. Era inevitabile fare diversamente». Qui i lanci di ieri riportano giudizi sugli ammortizzatori sociali negli Stati Uniti e da noi: «Un conto è avere un posto di lavoro fisso o variabile in un contesto di welfare come quello europeo, un conto è avere uno stipendio senza sanità né servizi. Negli Stati Uniti i fondi pensione dipendono da Wall Street, e se le cose vanno male ti ritrovi a mangiare Kitekat in una roulotte e neghi la scuola ai tuoi figli».
• Kitekat, se non sbaglio, è un cibo per gatti. Analisi giusta?
Analisi giusta. Dopo aver detto tutto il male possibile del posto fisso, bisognerà poi ammettere che, dati alla mano, la condizione del precario è infernale. Tra le molte ricerche disponibili, ne scelgo una dell’Isfol, di dieci mesi fa. L’Isfol è il centro studi del Ministero del Lavoro. Risulta che nel 40% dei casi l’«occupazione atipica» (si chiama così) dura più di tre anni. una condizione che riguarderebbe un milione e mezzo di persone. Il 13% è atipico da più di dieci anni. Profilo: più donne che uomini, più meridionali che settentrionali, occupati in media sei mesi l’anno. Un imprenditore su due dice di fare contratti atipici «senza nessuna ragione particolare » oppure in vista di un’assunzione a tempo determinato. Che però – provano i dati – arriva con molta difficoltà.
• Soluzioni?
Rivedere tutto. Dare qualche chance all’imprenditore che abbia bisogno di ristrutturare. Girare al precario una parte dei soldi che si risparmiano sui compensi. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 20/10/2009]
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