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 2009  ottobre 20 Martedì calendario

Turismo, l’Italia non è più tra i leader- Da destinazione numero uno al mondo è scivolata al quinto posto Tanti alberghi, ma troppo piccoli

Turismo, l’Italia non è più tra i leader- Da destinazione numero uno al mondo è scivolata al quinto posto Tanti alberghi, ma troppo piccoli. Nel 2009 presenze a -2,5% Glielo avessero detto qua­rant’anni fa ai nostri politici di allora che saremmo caduti così in basso, si sarebbero messi a ri­dere. Nel 1970 l’industria turistica ita­liana era la più fiorente del mondo. Il Bel Paese figurava in testa a tutte le classifiche planetarie: come già al tem­po di Wolfgang Goethe, il viaggio in Italia era semplicemente irrinunciabi­le. Finché ci hanno superato i france­si. Quindi gli americani. Poi gli spa­gnoli. Infine, nel 2004, i cinesi. Così siamo scesi al quinto posto, in attesa del prossimo sorpasso, quello del Re­gno Unito. Ma anche nella graduato­ria mondiale del peso economico del­l’industria turistica l’Italia ha fatto un bel capitombolo. Come sia stato possi­bile precipitare in pochi anni al setti­mo posto, dietro Stati Uniti, Giappo­ne, Cina, Francia, Germania e Spagna, prova a spiegarlo un dettagliato dos­sier del servizio studi di Intesa Sanpa­olo. Prezzi troppo alti, carenze infra­strutturali, scarsa sicurezza, dimensio­ne esigua delle aziende, confusione nelle politiche pubbliche. E investi­menti nettamente inferiori a quelli di Francia e Spagna. C’è tutto questo e altro ancora dietro la progressiva per­dita di competitività di un settore che con l’indotto contribuisce al 10% del prodotto interno lordo. Secondo il World economic forum nel 2009 l’Ita­lia è al ventottesimo posto nel mon­do. Superata, nella classifica della competitività dell’industria turistica, non soltanto dai suoi più diretti con­correnti, come Francia e Spagna, ma anche da Portogallo, Grecia, Islanda, Cipro ed Estonia. Preoccupa soprattut­to la graduatoria che riguarda la com­petitività del prezzo, dove l’Italia si piazza al posto numero 130 su 133 Pa­esi. Ma anche la sicurezza (ottantadue­simo posto), l’ambiente (cinquantu­nesimo) e l’educazione (quarantacin­quesimo) sono fattori particolarmen­te critici. Non che manchino le infrastruttu­re turistiche. Anzi. L’Italia, dice il rap­porto di Intesa Sanpaolo, «è al secon­do posto per numero di alberghi e po­sti letto, seconda soltanto agli Stati Uniti, ma le sue imprese sono piccole. Il primo tour operator italiano fattura meno del 4% del primo operatore eu­ropeo ». Ancora: in Italia ci sono un milione 34.710 camere, divise in 33.768 alberghi «30 camere per alber­go in media», contro 46,1 in Spagna e 34,6 per la Francia. Inoltre, le catene alberghiere «costituiscono solo il 4% del totale, contro una media europea del 20%». E non è soltanto colpa della crisi se fra luglio 2008 e giugno 2009, secon­do Italian hotel monitor, l’occupazio­ne delle camere d’albergo «ha subito una flessione media del 5%, che ha raggiunto il 7% a Milano e Roma» e se quest’anno gli arrivi mondiali in Ita­lia, stima il Centro internazionale di studi sull’economia turistica, diminui­ranno del 2,5%. Ma è un dato di fatto che anche a causa della frammentazione eccessi­va l’Italia non riesce ancora a intercet­tare i flussi turistici con i maggiori tas­si di sviluppo, come quello cinese. Lo scorso anno sono usciti dalla Cina in 35 milioni, il 6,2% dell’intero movi­mento turistico planetario, valutato in 924 milioni di persone. Ma è previ­sto che i turisti cinesi all’estero supe­reranno nel 2010 i 50 milioni, per rag­giungere 100 milioni nel 2020. Il bello è che nemmeno il mare e il sole riescono a fare la differenza. «Il Sud – dice il dossier di Intesa Sanpao­lo – ha la minore percentuale di co­ste balneabili d’Italia e, pur registran­do il maggior numero assoluto di spiagge con bandiere blu, ha una den­sità di diffusione di tali certificazioni di qualità ambientale nettamente infe­riore al resto del Paese». Come se non bastasse, «dei 2.57o comuni del Mez­zogiorno solo 180 sono risultati po­tenzialmente o effettivamente turisti­ci. Dalle analisi è risultato che i comu­ni potenzialmente più attrattivi non hanno saputo adeguatamente valoriz­zare tutti i fattori di attrattiva territo­riale posseduti, evidenziando flussi turistici marcatamente esigui (per esempio Siracusa, Pescara, Brindisi, Castellammare di Stabia..)» C’è chi ritiene, e non da oggi, che in una situazione del genere le struttu­re pubbliche dovrebbero rimboccarsi le maniche. Il problema però sono proprio le strutture pubbliche. Nel 1993 il ministero del Turismo venne soppresso con un referendum popola­re. Lo sostituì un Dipartimento per il Turismo alla presidenza del Consi­glio. Ma da allora, di fatto, fino alla creazione dell’attuale dicastero affida­to a Michela Vittoria Brambilla, non c’è più stata una vera struttura di co­ordinamento delle politiche turisti­che. «Le funzioni risultano frammen­tate fra diversi attori, centrali e locali, con una sovrapposizione di ruoli e re­sponsabilità e una struttura burocrati­ca che non è in grado di recepire – scrivono gli esperti di Intesa Sanpao­lo – l’evoluzione dei modelli di orga­nizzazione turistica che caratterizza­no da anni i diversi Paesi competito­ri ». Secondo lo studio, la legge qua­dro varata nel 2001 e la riforma del ti­tolo V della Costituzione voluta dal centrosinistra, che ha attribuito mol­te competenze alle Regioni, avrebbe­ro generato «una situazione di confu­sione istituzionale, in assenza di reale coordinamento centrale». Proprio la legge del 2001 ha dato vi­ta ai cosiddetti Stl, i Sistemi turistici locali che allo scopo di integrare «il la­voro di operatori pubblici e privati uti­lizzano finanziamenti regionali o sta­tali per progetti turistici specifici». Eb­bene, a dicembre del 2008 questi Stl erano ben 60, in tutte o quasi le Regio­ni italiane. Con il rischio, aggiunge il dossier, di «creare sovrapposizioni e problemi funzionali rispetto alle agen­zie di promozione turistica». Compe­tenze frazionate, inefficienze, e anche pochi soldi. Tutto questo si è tradotto in una «governance del turismo in equilibrio precario fra Stato e Regio­ni », un’azione «pubblica debole, con Regioni in gran parte passive che non intervengono in modo adeguato». Altra musica in Spagna, considera­to a ragione il principale concorrente dell’Italia. La struttura organizzativa del Paese iberico assomiglia a quella italiana, però con intrecci e sovrappo­sizioni decisamente minori. Anche in Spagna la competenza sul turismo è locale. Esiste tuttavia un forte coordi­namento centrale delle attività di svi­luppo turistico attraverso la segrete­ria di Stato del commercio e del Turi­smo. A valle del governo opera Ture­spaña, che ha compiti analoghi a quel­li del nostro Enit, ma con una forza d’urto un po’ differente. Nel 2007 l’en­te spagnolo ha avuto a disposizione 148 milioni di euro, e ne ha impiegati 77 circa per le attività di promozione internazionale. Nel bilancio dell’Enit c’erano invece 56 milioni, di cui ne so­no stati spesi per la promozione appe­na 27. Quest’anno la Spagna ha desti­nato 400 milioni di euro per il miglio­ramento delle strutture ricettive priva­te: il 109% in più rispetto allo scorso anno.