Piergiorgio Odifreddi, la Repubblica 20/10/2009, 20 ottobre 2009
DYSON: SIATE ERETICI COME NEWTON
L’ultimo libro del matematico ottantacinquenne raccoglie i suoi contributi per la "New York Review of Books"
"Uno degli esempi da seguire è Feynman: l´ho amato sfiorando l´idolatria"
"Non si può essere complici del potere, la nostra ricerca deve servire ad aiutare i poveri"
Ogni secolo può vantare solo una manciata di persone come Freeman Dyson, dotate di un´intelligenza luciferina, una cultura enciclopedica, uno stile magistrale e un carattere provocatorio. Una combinazione esplosiva, che può portare la stessa persona a vincere nel 2000 il premio Templeton per i legami fra scienza e religione, nel 1996 il premio Thomas Lewis per lo scienziato-poeta, nel 1981 il premio Wolf per la fisica, e a mancare nel 1965 il premio Nobel per la stessa materia soltanto perché lo si assegna al massimo a tre persone: lo presero dunque Richard Feynman, Julian Schwinger e Sin-Itiro Tomonaga ma non lui, che a soli ventisei anni aveva dimostrato la cosiddetta quantoelettrodinamica o QED.
Queste onorificenze potrebbero far pensare che Dyson sia un teologo, un letterato o un fisico in libera uscita nelle altre due discipline, e invece è un matematico: molto eclettico, naturalmente, all´insegna del motto di Terenzio humani nihil a me alienum, «nulla di umano mi è alieno». E questo eclettismo gli ha permesso di pubblicare libri meravigliosi, in ciascuno dei quali risplendono appunto l´intelligenza, la cultura, lo stile e il carattere: dalle discussioni sugli armamenti di Armi e speranza (Bollati Boringhieri, 1984) alle teorie biologiche delle Origini della vita (Bollati Boringhieri, 1987), dalle visioni futuriste di Infinito in ogni direzione (Rizzoli, 1989) alle pagine autobiografiche di Turbare l´universo (Bollati Boringhieri, 1999).
Lo scienziato come ribelle (Longanesi, pagg. 304, euro 20) è il suo ultimo libro: non solo nel senso che è stato appena pubblicato, ma anche, e purtroppo, perché l´ottantacinquenne Dyson ha dichiarato che non ne pubblicherà più altri. Ed è uno dei suoi più vari e affascinanti, in quanto raccoglie gli originali contributi per la New York Review of Books.
Il titolo, ammicchevolmente autoreferenziale, descrive il credo di Dyson nei confronti della scienza e degli scienziati: secondo lui, ciò che definisce l´una e accomuna gli altri è «la ribellione contro le restrizioni imposte dalla cultura localmente dominante, occidentale o orientale che sia». Naturalmente molti scienziati, per non dire la maggioranza di essi, accettano di «servire il popolo», o di asservirsi ad esso, ma questo libro non si cura di loro. Gli eroi di Dyson sono altri, dal professore immaginario del film L´attimo fuggente, che si scontra coi piani di studi e il preside della scuola, al reale Lord James di Rusholme, dal quale l´autore da giovane imparò che «non c´è contraddizione fra uno spirito ribelle e un inflessibile perseguimento dell´eccellenza in una disciplina intellettuale rigorosa»: in altre parole, e checché ne pensino i dandy del pensiero, la ribellione intellettuale e la competenza professionale possono benissimo andare d´accordo.
Come si può dunque immaginare, gli schizzi biografici del libro si disinteressano degli scienziati che si sono piegati al potere religioso o politico, come il nolente Galileo o il volente John von Neumann, e si interessano invece delle personalità che hanno preferito l´eresia all´abiura, come Isaac Newton, o il pacifismo al collaborazionismo, come Norbert Wiener. Ma in alcuni schizzi Dyson non disdegna di affrontare la complessità umana di colleghi ambigui come Robert Oppenheimer o Edward Teller, che avendo conosciuto bene di persona è in grado di tratteggiare nei colori della biografia, e non solo nel bianco e nero della mitologia.
Il ribelle dei ribelli, al quale va il tributo più emotivo e personale, è però sicuramente Richard Feynman, che il giovane Dyson descrisse ai genitori in una lettera come «mezzo genio e mezzo buffone», e che l´anziano Dyson definisce nel capitolo «Un uomo saggio» (purtroppo cassato dall´edizione italiana, insieme a una mezza dozzina d´altri) come «una volpe», da contrapporre a «un istrice» alla Albert Einstein: nel senso che «le volpi conoscono molti trucchi e gli istrici uno solo, le volpi sono interessate a tutto e gli istrici a poche cose, le volpi corrono in superficie e gli istrici scavano in profondità».
Il Novecento ha visto molti scienziati geniali, ma solo Einstein e Feynman (e forse Stephen Hawking) sono diventati icone pubbliche: secondo Dyson, perché «per diventare un´icona non basta che uno scienziato sia un genio, deve anche essere un attore capace di lavorarsi il pubblico, di godere del suo tributo e di annullare la barriera che separa un genio dalla gente comune». Ma un´icona deve anche saper trasmettere saggezza, e Dyson ritrova quella di Feynman in due libri: Il senso delle cose (Adelphi, 1999), che recensisce, e Il piacere di scoprire (Adelphi, 2002), nella prefazione per il quale confessa di «aver amato quell´uomo sfiorando l´idolatria».
Nel primo dei due libri Feynman vede, molto apertamente, «un conflitto tra la religione che impone agli studenti di credere senza discutere e l´etica della scienza che impone di mettere tutto in discussione», e ritiene che l´unica soluzione per la coesistenza pacifica sia una religione vaga e senza dogmi precisi: cioè, l´esatto contrario del cattolicesimo. L´argomento è centrale anche per Dyson, egli concorda con l´affermazione del premio Nobel Steven Weinberg, che «i buoni fanno il bene e i cattivi il male, ma per far fare il male ai buoni ci vuole la religione», aggiungendo però che anche «per far fare il bene ai cattivi ci vuole la religione». La sua opinione sul conflitto tra scienza e religione è netta: «La scienza tratta di cose, la teologia di parole. E le cose si comportano nello stesso modo dovunque, ma le parole no». Quanto ai miracoli, dimostra facilmente la cosiddetta legge di Littlewood: che se definiamo come miracoloso un evento significativo che accade con frequenza inferiore a uno su un milione, allora a ogni persona normale accadono miracoli al ritmo di uno al mese (come paragone, secondo la Chiesa a Lourdes ne sono accaduti meno di uno ogni due anni).
Gli argomenti ai quali abbiamo accennato, cioè la storia scientifica e la religione, non esauriscono comunque che una metà di questo libro così denso. Un altro quarto è dedicato ai problemi di «guerra e pace»: questa è la parte (dimezzata) che ha più sofferto dei tagli editoriali dell´edizione italiana, ma è anche quella meno nuova, perché salva il salvabile di Armi e speranza, ristampando i pochi capitoli non resi obsoleti dal crollo dell´Unione Sovietica.
Sparse nel rimanente quarto del libro sono infine alcune delle pagine più stimolanti, in cui Dyson ci offre il meglio delle sue conoscenze non convenzionali e delle sue idee avveniristiche. Ad esempio, quando ci fa sapere di una lettera di Newton recentemente ritrovata, che mostra il suo influsso sul pensiero politico (!) di Locke. O dell´altrettanto recente scoperta che nel Cambriano, quando ci fu l´omonima esplosione di forme viventi, l´asse di rotazione terrestre subì una rotazione di novanta gradi che scambiò l´equatore con un meridiano. O quando sogna che l´ingegneria genetica riuscirà a produrre organismi artificiali in grado di fornirci materie prime ed eliminare i rifiuti, quali ostriche in grado di secernere perle d´oro estratto dall´acqua di mare o animali progettati per digerire automobili usate. O che la vita nello spazio passerà da una cometa all´altra, finché avremo reso verde l´intera galassia con alberi riprogrammati per crescere senza atmosfera.
Lo scienziato come ribelle contiene molti altri argomenti affascinanti e molte altre pagine memorabili, ma soprattutto costituisce l´appassionata perorazione etica di uno dei grandi scienziati e dei grandi ribelli del Novecento, che ha il coraggio di osservare che «il mercato giudica le tecnologie in base alla loro efficacia nel raggiungere lo scopo che si sono prefisse, ma il vero problema è chiedersi se tale scopo è degno di essere raggiunto», e il coraggio di affermare che «la scienza è malvagia quando produce giocattoli per i ricchi, ed è buona quando supplisce alle necessità dei poveri». Godiamo dunque della sua brillante intelligenza, impariamo dalle sue profonde conoscenze, apprezziamo le sue eloquenti parole, e accettiamo le sue stimolanti provocazioni: non ci sono molte menti come la sua, né molti libri come questo.