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 2009  ottobre 20 Martedì calendario

FIAT-CORRIERE, ALTA TENSIONE


Per ora è soltanto una minaccia. Parole gettate con insolita forza sul tavolo della discussione. Come un pugno: «A questo punto noi che ci rimaniamo a fare dentro Rcs?». Una domanda retorica che potrebbe precedere un clamoroso terremoto nelle élite italiane.

Scena: ai margini del consiglio d’amministrazione di Rcs Mediagroup. La data: il 14 ottobre scorso, due giorni dopo il sorprendente doppio editoriale anti-scalfariano di Ferruccio de Bortoli sul Corriere della sera, in cui il direttore scrive: «Il Corriere ha tra i principali soci la Fiat eppure ciò non ha impedito al giornale di esprimersi contro la concessione di altri incentivi al gruppo torinese». I protagonisti: John Elkann detto Yaki e Franzo Grande Stevens, che siedono per conto della Fiat nel cda del gruppo editoriale più importante del paese. Davanti a uno sconsolato Piergaetano Marchetti, presidente, i rappresentanti della Fiat consegnano agli altri azionisti un lungo sfogo contro il nuovo corso del Corriere. E lo concludono, appunto, con una minaccia: «La Fiat che interesse ha a rimanere azionista?».

La notizia trapela a fatica. Pochissime persone ne sono a conoscenza. Il racconto dello sfogo della Fiat fa pensare a una rottura che potrebbe provocare sconquassi nei salotti buoni della finanza italiana, dove da tempo si riflette anche sugli scenari di fuoriuscita dal berlusconismo. La Fiat lamenta ripetuti sgarbi da parte del Corriere debortoliano e tira in ballo anche precedenti lamentele dell’amministratore delegato Sergio Marchionne. Di conseguenza, l’editoriale del direttore del 12 ottobre scorso è solo la miccia dell’esplosione avvenuta nel cda. Si parte dalle inchieste del Mondo, il settimanale economico del gruppo, che per primo ha parlato della questione dell’eredità degli Agnelli, con la guerra tra Margherita e il resto della famiglia. Poi tutti gli articoli dedicati dal quotidiano alla faccenda, di cui gli ultimi due a cavallo della riunione del 14 ottobre. Entrambi di Mario Gerevini. Il primo del 9 ottobre, «Le 48 domande vietate sull’eredità Agnelli». Il secondo uscito il 15, dopo la minaccia della Fiat: «I conti e le nuove holding dell’Avvocato all’estero».

Infine, il sigillo del direttore, che il 12 ottobre prosegue così il suo ragionamento per argomentare il no agli incentivi: «Hanno ragione le piccole aziende e i professionisti a dolersene: i loro dipendenti non sono diversi dagli operai e dagli impiegati del gruppo torinese, specie nel momento in cui la famiglia Agnelli si candida ad acquistare, a debito, la Fideuram da Intesa Sanpaolo. Anche questa grande banca». Come nota un osservatore informato, «cose impensabili ai tempi della diarchia Montezemolo-Mieli». Al contrario - secondo alcuni - il patto tra Cesare Geronzi, anche presidente di Mediobanca, e il banchiere fu prodiano Giovanni Bazoli avrebbe portato a un ribaltamento di equilibri che avrebbe come obiettivo esclusivo quello di «dare addosso solo alla Fiat e a Passera».

A tutto questo, il direttore de Bortoli starebbe reagendo con molta calma, reclamando per sé un ruolo di piena autonomia a 360 gradi da tutti gli azionisti. Al punto che qualcuno segnala, per una sorta di par condicio negli attacchi, l’articolo di Salvatore Bragantini uscito sabato scorso su intrecci societari e cautela Consob, non propriamente favorevole a Geronzi: «Lo strapotere dei soci di controllo è la grande anomalia del nostro mercato finanziario, che espone gli azionisti non rappresentati nella stanza dei bottoni ad ogni sorta di angherie. Per rimediare a questa deplorevole situazione, una modifica al Codice Civile ha delegato la Consob, fin dal gennaio ’05, a dettare norme di comportamento nelle operazioni fra una società e le parti correlate». Una cautela, quella dell’Istituto di vigilanza della Borsa, che dura da quattro anni a causa dell’opposizione di Mediobanca.

Come finirà, dunque, la nuova guerra dentro Rcs, dopo la fine della stagione mielista che ha portato a una normalizzazione nel segno di un antiberlusconismo più tiepido? Anche perché la Fiat, stavolta versante Montezemolo, non se la passa meglio neanche con l’altro grande quotidiano letto dalla borghesia industriale del nord: il Sole24Ore di Gianni Riotta. Pare che Emma Marcegaglia abbia protestato per l’eccessivo spazio dato dal giornale in preparazione del convegno montezemoliano di Italia Futura, con il risultato che il giorno dopo sul Sole c’era solo una notizia. Segno, questo, di un ben più ampio problema, che investirebbe alcuni potenziali interlocutori della fondazione, da Rutelli e Casini a Fini. In pratica, c’è una parte delle élite che sta accerchiando il progetto neocentrista a favore di una prospettiva più pragmatica, rappresentata da una transizione pilotata dall’interno della maggioranza.

In ogni caso, nell’ultima riunione del comitato di presidenza di Confindustria, lo stesso Riotta si è dovuto difendere dal bilancio sinora negativo della sua gestione, segnata finora da un forte calo delle vendite. La presidente Emma Marcegaglia ha blindato il direttore che ha voluto a tutti i costi ma il suo messaggio contro il fronte moderato anti-Cavaliere è stato chiaro. evidente che per certi versi Corriere e Sole stanno percorrendo binari paralleli in questa fase di grandissima agitazione dei poteri forti. Agitazione che potrebbe diventare vera e propria rivoluzione se alla Fiat dovessero dar seguito alla loro minaccia della settimana scorsa nel cda della Rcs. Un siluro sganciato probabilmente anche in vista del rinnovo del patto ma che in queste ore preoccupa molti.