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 2009  ottobre 20 Martedì calendario

Stupore generale perché Giulio Tremonti, parlando a un conve­gno organizzato a Milano in cui si discuteva di lavoratori che partecipano all’azionariato delle imprese, s’è messo a fare l’elogio del posto fisso, come fos­se un qualunque esponente del­la sinistra oppure un sindacali­sta o perfino un precario

Stupore generale perché Giulio Tremonti, parlando a un conve­gno organizzato a Milano in cui si discuteva di lavoratori che partecipano all’azionariato delle imprese, s’è messo a fare l’elogio del posto fisso, come fos­se un qualunque esponente del­la sinistra oppure un sindacali­sta o perfino un precario. Ange­letti, il capo della Uil, alla fine ha commentato: «Sembrava uno dei nostri iscritti». Epifani, sarcastico: «Discorsi che farei commentare a Confindustria». Bonanni, capo della Cisl: «Le pa­role di Tremonti sull’esigenza di avere posti di lavoro stabili sono sicuramente condivisibili. un obiettivo che inseguiamo anche noi. Oggi il problema è quello di superare l’idea distor­ta di flessibilità. Chi è precario o flessibile deve essere pagato di più e avere più tutele e garanzie degli altri. Questo è un punto su cui la Cisl insiste da tempo».

Dov’è il problema? chiaro che il posto fisso è meglio del posto stabile.
Allora cominciamo dalla criti­ca del posto fisso così come lo conosciamo, vale a dire nella versione italiana. La resisten­za degli imprenditori ad assu­mere è figlia della rigidità del­l’assunto, che da noi non può essere mandato via neanche se viene sorpreso a rubare. Non si ricorda i lavoratori di Fiumicino filmati mentre sac­cheggiavano le valigie dei pas­seggeri e, dopo lunghi andiri­vieni giudiziari, riammessi in azienda? La contropartita di questa sicurezza è la tendenza a tenere gli stipendi bassi e in­fatti i nostri sono i più bassi d’Europa (ad onta di un costo del lavoro non indifferente). La conseguenza degli stipendi bassi è che il lavoratore si rifà sull’orario o sulla fatica: se il soldo è fisso, si «guadagna», per dir così, imboscandosi il più possibile. E cercando se­condi lavori, magari flessibili o neri. Ho schematizzato, ho generalizzato, chiedo scusa, ma mi serviva per rendere l’idea.

Okay, Tremonti invece dice che il posto fisso, secondo il suo ragionamento motore pri­mo di questo mezzo sfacelo, è una bella cosa.
Faccio il malizioso e dico pri­ma di tutto che il ministro, già apprezzato dalla sinistra per il suo libro sulle malefatte delle banche, della globalizzazione e dei cinesi, sta strizzando l’oc­chio all’opposizione in un mo­mento in cui – non si sa mai quello che può succedere potrebbe diventare l’uomo della Provvidenza. C’è poi un ragionamento da economista con responsabilità politica: il posto fisso e una diffusione più generalizzata del benesse­re sono la premessa per una ri­presa della domanda, per una ripresa generalizzata, voglio dire. Sto interpretando, per­ché il discorso non è ancora di­sponibile per intero sulle agen­zie o in internet e dunque mi devo accontentare per ora del­le sintesi diffuse ieri sera.

Le quali dicono?
Più o meno: il posto fisso è «la base della stabilità sociale», «non credo che la mobilità sia di per sé un valore. Per una struttura sociale come la no­stra, il posto fisso è la base su cui costruire una famiglia. La stabilità del lavoro è alla base della stabilità sociale». La glo­balizzazione «non ha trasfor­mato il quantum di lavoro, ma la qualità di lavoro, passato da fisso a mobile. Era inevitabile fare diversamente». Qui i lanci di ieri riportano giudizi sugli ammortizzatori sociali negli Stati Uniti e da noi: «Un conto è avere un posto di lavoro fisso o variabile in un contesto di welfare come quello europeo, un conto è avere uno stipen­dio senza sanità né servizi. Ne­gli Stati Uniti i fondi pensione dipendono da Wall Street, e se le cose vanno male ti ritrovi a mangiare Kitekat in una rou­lotte e neghi la scuola ai tuoi figli».

Kitekat, se non sbaglio, è un ci­bo per gatti. Analisi giusta?
Analisi giusta. Dopo aver det­to tutto il male possibile del po­sto fisso, bisognerà poi ammet­tere che, dati alla mano, la con­dizione del precario è inferna­le. Tra le molte ricerche dispo­nibili, ne scelgo una dell’Isfol, di dieci mesi fa. L’Isfol è il cen­tro studi del Ministero del La­voro. Risulta che nel 40% dei casi l’«occupazione atipica» (si chiama così) dura più di tre anni. una condizione che ri­guarderebbe un milione e mez­zo di persone. Il 13% è atipico da più di dieci anni. Profilo: più donne che uomini, più me­ridionali che settentrionali, oc­cupati in media sei mesi l’an­no. Un imprenditore su due di­ce di fare contratti atipici «sen­za nessuna ragione particola­re » oppure in vista di un’assun­zione a tempo determinato. Che però – provano i dati – arri­va con molta difficoltà.

Soluzioni?
Rivedere tutto. Dare qualche chance all’imprenditore che abbia bisogno di ristrutturare. Girare al precario una parte dei soldi che si risparmiano sui compensi. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 20/10/2009]